Tassa extraprofitti banche Pomo discordia governo Meloni, il calcolo sul gettito. Anche la Francia a caccia di risorse anti-debito: l’incubo patrimoniale
Niente da fare: la controversa tassa sugli extraprofitti delle banche continua a confermarsi Pomo della discordia tra i partiti della maggioranza di centrodestra, a fronte di un governo Meloni tutto intento a identificare e a carpire nuove risorse per finanziare la legge di bilancio 2025 e a tamponare, allo stesso tempo, la piaga italiana del debito pubblico. Piaga che ormai da tempo non vede più protagonista soltanto l’Italia nell’area euro, ma anche la Francia.
Ieri, l’ammissione del primo ministro francese Michel Barnier, che ha detto chiaramente che il suo governo appena formato potrebbe aumentare le tasse a carico delle grandi aziende e dei più ricchi, per arginare il problema crescente del deficit e per evitare che i mercati dei bond mollino gli OAT, i titoli di stato francesi.
“Il nostro paese versa in condizioni molto gravi – con 3 trilioni di euro di debito e 50 miliardi di interessi da pagare ogni anno”, ha detto Barnier, interpellato dal canale televisivo France 2 nella giornata di ieri.
E così in Francia il timore è che anche il governo di centrodestra di Barnier in carica soltanto dal 5 settembre del 2024 (e non solo il governo a trazione del Nuovo Fronte Popolare che tanto aveva spaventato la comunità degli investitori internazionali) finisca per pensare alla patrimoniale come alla misura ideale per tagliare la testa al toro e per fare i compiti imposti da Bruxelles con il nuovo Patto di stabilità e di crescita UE:
tutto questo, nel bel mezzo delle contestazioni esplose nel paese, a causa di un esecutivo che secondo tanti cittadini sarebbe tutto fuorché espressione del risultato delle elezioni francesi di fine giugno-inizi luglio.
- Tassa extraprofitti: spada di Damocle per le banche italiane
- Fratelli di Italia VS Forza Italia? Banche sul banco degli imputati
- Tassa extraprofitti, FdI: no intento punitivo, ma la possibilità c’è
- Tajani: lo Stato non decide quando si parla di extraprofitti
- Il commento di Salvini e l’ipotesi del contributo di solidarietà
- Francia, Barnier lancia alert debito. Verso una patrimoniale?
- Equita: il worst case scenario di una nuova tassa su extraprofitti
Tassa extraprofitti: spada di Damocle per le banche italiane
In Italia, nel fine settimana, il dossier della tassa sugli extraprofitti, o meglio di una nuova edizione di quel prelievo che venne annunciato dal governo Meloni l’anno scorso, facendo esplodere il panico a Piazza Affari – poi del tutto annacquato da una versione decisamente più light – è tornato alla ribalta, mettendo in evidenza le ampie differenze di vedute tra i partiti della maggioranza.
Fratelli di Italia non ha escluso l’imposizione una nuova tassa sulle banche, con il deputato Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera che, in una intervista rilasciata al quotidiano Corriere della Sera, ha rilanciato l’idea, la cui paternità era stata rivendicata più volte dalla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
“Mi sono assunta la responsabilità della decisione”, aveva spiegato Meloni a Maria Latella, attraverso una intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore, in cui aveva parlato, alla fine di agosto del 2023, anche dell’imminente legge di bilancio per il 2024.
“Qualcuno dice: ‘Volete tassare la ricchezza guadagnata’. Io non tasserò mai il legittimo profitto imprenditoriale, ma non intendo difendere le rendite di posizione“, aveva detto la premier.
La Caporetto a Piazza Affari per i titoli delle banche non aveva inficiato la determinazione di Meloni ad andare avanti con quella tassa, a dispetto dei sell che avevano finito con il prendere di mira anche i BTP.
Le cose sarebbero poi andate diversamente:
quella manovra d’estate, così come era stata battezzata, si sarebbe dissolta praticamente nel nulla, visto che la versione più light, poi approvata, si sarebbe tradotta in un nulla di fatto: nessuna banca italiana avrebbe versato quel prelievo.
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Le banche italiane se la cavavano e, grazie alla scappatoia di Stato, riuscivano alla fine a vedere sventata quella minaccia.
Qualche analista tuttavia aveva lanciato già alla fine dell’anno scorso l’alert, spiegando come tra i rischi per il sistema bancario italiano, oltre a quello di una Bce di Christine Lagarde pronta a tagliare i tassi, ci fosse anche la possibilità che il governo Meloni tornasse alla carica, annunciando una nuova edizione della tassa sugli extraprofitti.
Profezia che è stata di fatto confermata dalla realtà.
Fratelli di Italia VS Forza Italia? Banche sul banco degli imputati
Una previsione, quella degli analisti, che si sta rivelando fondata, almeno per quanto riguarda le intenzioni del partito Fratelli di Italia, in un momento in cui a incalzare Meloni sono anche i partiti di opposizione AVS e M5S, che stanno tallonando da parecchio il governo, accusandolo di aver fatto alla fine un favore alle banche annacquando la proposta originaria.
E così le banche italiane tornano a sedersi sul banco degli imputati del tribunale della politica, colpevoli agli occhi di diversi parlamentari impegnati a salire sul podio del populismo finanziario, di aver sfornato, questa sarebbe l’accusa, troppi profitti.
A farsi paladina del settore bancario, tra i partiti di maggioranza che sostengono il governo Meloni, rimane però Forza Italia, che ha già detto no diverse volte all’ipotesi di introdurre una nuova imposta, e che si sta mettendo sempre di più in rotta di collisione con FdI, come già accaduto qualche giorno fa, quando al no del ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ha risposto in modo alquanto piccato il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Tassa extraprofitti, FdI: no intento punitivo, ma la possibilità c’è
Nel fine settimana, a tornare sulla questione è stato il deputato di FdI Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera che, nell’intervista al Corriere della Sera, ha sottolineato che “non c’è alcuna volontà punitiva verso il sistema del credito e che non è stato ancora stabilito nulla, né una tassa né qualcosa di simile”.
Detto questo, ha continuato Osnato, “se ci dovesse essere la necessità, se il governo dovesse avere bisogno di più risorse per intervenire su famiglie e imprese, allora ci sarebbe anche questa possibilità e penso che nessuno si scandalizzerebbe, neanche le banche, anche perché credo che anche per loro possa essere un vantaggio aumentare il potere d’acquisto delle persone. Nel frattempo, sicuramente si potrà beneficiare delle maggiori entrate tributarie degli ultimi mesi e attendiamo i risultati del concordato tributario, poi si valuterà se servirà un contributo anche dalle banche”.
Ma perchè tornare a risfoderare la tassa?
Chiaro il movente di natura politica, ovvero la necessità per Fratelli di Italia di non farsi rubare l’idea dall’opposizione:
“Il clima rispetto ad un anno fa è molto cambiato – ha ammesso lo stesso Osnato – Lo scorso anno c’era l’idea che gli extraprofitti degli istituti di credito fossero guadagni ingiusti, invece è corretto dire che ci sono stati per condizioni esogene alla loro attività. Oggi non c’è alcun intento punitivo, ma si pensa piuttosto ad una misura da concordare con le banche”.
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Tajani: lo Stato non decide quando si parla di extraprofitti
Forza Italia non ha aspettato molto a intervenire, ribadendo il no a una eventualità del genere.
A parlare è stato di nuovo Antonio Tajani che, interpellato dai giornalisti a New York, dove si trova in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è così espresso:
“Il nostro è un no alla tassa sugli extraprofitti, è un sì a un dialogo con le banche, con un tavolo dove si possono trovare soluzioni positive anche per i conti pubblici”.
“Abbiamo sempre detto che bisogna lavorare con grande serietà. Siamo contro la tassa sugli gli extraprofitti. In un Paese democratico e liberale non si può porre un limite ai guadagni di un’impresa. Lo Stato non decide quando una cosa è un profitto e quando è un extraprofitto. Detto questo bisogna evitare che ci siano imposizioni dall’alto”.
Tajani ha detto di essere “preoccupato soprattutto per le banche di prossimità, perché una tassa sui profitti rischia di colpire al cuore le banche popolari e le banche di credito cooperativo”, qualcosa che noi, ha continuato, “non permetteremo mai”.
“Non porteremo mai in Consiglio dei ministri una posizione del genere”, ha sottolineato ancora il vicepremier.
Allo stesso tempo, Tajani ha affermato che si può aprire un tavolo di confronto con le banche per trovare la soluzione migliore per aiutare i conti pubblici nel nostro Paese”.
Il commento di Salvini e l’ipotesi del contributo di solidarietà
Intanto ieri ha parlato del dossier anche l’altro vicepremier, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini, a margine della sua visita ai cantieri per le Olimpiadi 2026 nella Fiera di Milano:
“Se chiediamo un contributo ad artigiani ed operai, sicuramente anche i grandi gruppi bancari e assicurativi faranno la loro parte“.
Salvini ha detto tra l’altro che il governo Meloni sta lavorando sulla questione:
sugli extraprofitti “ci stiamo lavorando”, ha fatto notare, aggiungendo di ritenere che tutti stiano dando” e “daranno il loro contributo alla crescita del Paese” e di essere convinto del fatto che “realtà importanti come quelle bancarie e assicurative, che magari spesso pagano all’estero tasse più basse rispetto a quelle che lavoratori italiani pagano in Italia (..) sicuramente faranno la loro parte“.
Proprio su questa parola, ‘contributo’, starebbe cercando di far leva il governo Meloni.
Visto che evidentemente la stessa espressione tassa sugli extraprofitti è stata criticata da più parti – per il semplice fatto che gli extraprofitti non esistono -, Meloni e i suoi starebbero secondo alcune indiscrezioni lavorando piuttosto a un “contributo di solidarietà”.
Ovvero? Quali sarebbero le differenze rispetto a un prelievo fiscale? Soprattutto, ci sarebbero delle differenze?
Equita SIM riporta quanto emerso da alcune indiscrezioni stampa:
“Relativamente al tema dell’eventuale tassa sugli extraprofitti da applicare al settore bancario, diversi articoli di stampa di oggi sottolineano come siano in corso interlocuzioni tra il governo e le banche. Al momento, l’ipotesi di una tassa addizionale tenderebbe ad essere esclusa, sostituita invece da contribuzioni volontarie/solidali da parte delle banche, le cui forme tecniche devono tuttavia ancora essere definite”.
Parlano dell’opzione della contribuzione volontaria da parte delle banche anche gli analisti di Intesa SanPaolo, che citano il contenuto di un articolo de Il Sole 24 Ore, secondo il quale il governo Meloni starebbe studiando la possibilità di arrivare a un accordo sull’ipotesi di un contributo volontario con alcune società, non solo banche, ma anche assicurazioni e società energetiche“, al fine di sostenere azioni specifiche di solidarietà (per esempio a favore delle famiglie).
“L’intento sarebbe quello di liberare in questo modo risorse che altrimenti lo stesso governo dovrebbe stanziare per gli stessi obiettivi”.
Francia, Barnier lancia alert debito. Verso una patrimoniale?
A essere alle prese con il nodo del debito pubblico ancora monstre e dunque dell’eterno problema delle spese per gli interessi che drenano le risorse dello Stato, così come con la necessità di reperire risorse per finanziare la manovram non è però ormai solo l’Italia.
La Francia ha lanciato domenica scorsa un chiaro alert sui suoi conti pubblici per voce dello stesso primo ministro Michel Barnier che, da poco, ha insediato il nuovo governo, dopo settimane di consultazioni convulse tra il presidente francese Emmanuel Macron e i partiti risultati vincenti alle elezioni anticipate.
Barnier non ha fatto tanti giri di parole, dicendosi preoccupato per il futuro delle finanze pubbliche francesi e ricordando che “molto del nostro debito è sui mercati internazionali”.
Il primo ministro ha lanciato di conseguenza il seguente appello:
“Dobbiamo preservare la credibilità della Francia”, auspicando uno sforzo collettivo per tagliare la spesa pubblica, dal momento che la Francia versa in condizioni “molto gravi”.
Ma cosa può fare a questo punto la Francia per rimpinguare le casse dello Stato?
Il primo ministro ha rassicurato la classe media e i più poveri, affermando che rimarranno blindati dall’aumento delle tasse che Parigi sta meditando di varare.
Detto questo, Barnier non ha escluso una scure contro i redditi delle persone più ricche del paese o, anche, contro le multinazionali:
“Non aumenterò ulteriormente le tasse sul popolo francese, né a carico dei più poveri, né a carico delle persone che lavorano, e neanche sulla classe media. Ma non posso escludere i più ricchi dallo sforzo nazionale teso a correggere la situazione“, ha affermato il primo ministro, facendo esplodere tra i più ricchi l’incubo della patrimoniale.
Patrimoniale il cui spettro era tornato a ripresentarsi in Francia proprio con la vittoria del Nuovo Fronte Popolare (NFP), al secondo turno delle elezioni anticipate del paese (senza una maggioranza assoluta) che, secondo i calcoli iniziali, avrebbe dovuto tradursi nell’insediamento di un governo composto dalla sinistra radicale. Una prospettiva del genere aveva fatto lanciare l’allarme, in Francia, sulla possibile reintroduzione dell’ imposta patrimoniale, che era stata abolita dal presidente Macron nel 2018. Quel governo formato dalla sinistra radicale, come si sa, non è poi mai nato.
Ma, evidentemente, le casse francesi devono versare in condizioni talmente gravi, che ora anche un governo di matrice conservatrice, quello di Barnier – che sta facendo scendere in piazza i francesi, che protestano contro un esecutivo scollegato a loro avviso dal risultato delle elezioni – starebbe a questo punto studiando l’ipotesi della patrimoniale, a conferma della grande paura che i mercati continuano a mettere a Parigi.
Equita: il worst case scenario di una nuova tassa su extraprofitti
E così sia l’Italia di Meloni che la Francia di Macron studiano tutte le opzioni possibili per raccogliere nuove risorse: che si tratti di extraprofitti delle banche e/o di patrimoniale, l’urgenza a questo punto è di assicurare la sostenibilità, in entrambi i casi, del debito pubblico, chiamando a contribuire tutti i ‘colpevoli’ di aver accumulato troppe ricchezze, che si tratti di banche o di cittadini, in modo tale che il privato finisca per salvare il pubblico.
Equita ha così le dichiarazioni che sono state rilasciate nel fine settimana dagli esponenti dei partiti di maggioranza, in merito alla tassa sugli extraprofitti delle banche, facendo riferimento alle “nuove ipotesi sul contributo di solidarietà da parte del settore bancario”.
“Nel weekend diversi esponenti della maggioranza di governo si sono espressi relativamente alla possibilità che venga richiesto un contributo addizionale al settore bancario con la finalità di trovare adeguate coperture in vista della prossima manovra di bilancio”.
Il punto è che “le dichiarazioni non danno modo di capire, al momento, come potrebbe essere strutturata una eventuale richiesta di contribuzione”.
La SIM ha ricordato che, “in un’intervista su Il Corriere, il vice-premier Tajani si è espresso in modo nuovamente contrario a una tassa generalizzata sugli extraprofitti, evidenziando però come il governo stia lavorando con le banche per individuare soluzioni tecniche che possano garantire più fondi per lo Stato. Sempre il Corriere ha avanzato l’ipotesi di un ‘contributo solidale’ dell’1%-2% dei profitti realizzati negli ultimi 12/24 mesi, allargando la richiesta anche ad altri settori oltre a quello bancario, come il settore assicurativo e le aziende energetiche”.
Equita si è espressa così sull’impatto che una nuova edizione della tassa sugli extraprofitti delle banche italiane, o del possibile contribuito di solidarietà, avrebbe sulla redditività delle banche italiane:
“Sulla base dei nostri calcoli, anche nello scenario ‘peggiore’ di un’imposizione pari al 2% dell’utile degli ultimi 24 mesi, l’impatto a livello di settore sarebbe assolutamente marginale e < 1% della market cap. Secondo i calcoli della FABI riportati da Il Messaggero – ha fatto notare ancora Equita – le risorse addizionali che lo Stato riuscirebbe a reperire complessivamente si aggirerebbero nel range €600 milioni-1,3 miliardi di euro”.
Di fatto, stando a quanto riportato dal quotidiano Il Messaggero il sindacato dei bancari FABI ha calcolato in 1,3 miliardi di euro il gettito fiscale che l’Italia potrebbe incassare con l’attuazione dell’ipotetico contributo di solidarietà a carico delle banche italiane.
Così si legge: “Secondo i calcoli dell’ufficio studi FABI un prelievo forzoso dell-1-2% impatterebbe per 661 milioni-1,3 miliardi di euro, “se applicato sugli ultimi due anni – 2022 e 2023”.
“Di fronte a profitti lordi per 25.454 milioni di euro nel 2022 e 40.643 nel 2023, per un totale di 66.097 miliardi, con un contributo dell’1% si otterebbero 405 nel 2022 e 406 milioni nel 2023 per un totale di 661 milioni, mentre portando la percentuale al 2% il contributo salirebbe a 1.322 milioni. Nel 2022 sono state pagate tasse per 4.345 milioni e nel 2023 per 8.156 per un totale di 12.501 milioni”, ha calcolato l’ufficio studi della FABI.
Il quotidiano romano ha riportato inoltre indiscrezioni secondo le quali “gli istituti di credito avrebbero una posizione contraria a una nuova tassa, mentre invece si sarebbero resi disponibili ad intraprendere azioni solidali (supporto per chi è in ritardo sui mutui, assegni alla ricerca, etc.). Questo confermerebbe l’esistenza di un dialogo tra le parti che è atteso formalizzarsi nelle prossime settimane”.