Debito, deficit e Pil 2023 dell’Italia di Meloni: l’Istat annuncia le nuove stime
L’Istat ha presentato oggi il trend del Pil e dei conti pubblici italiani, annunciando di avere rivisto al ribasso la crescita del prodotto interno lordo del 2023, migliorando contestualmente le stime sul Pil del 2022 e del 2021.
Per il Pil dell’Italia del 2023, le stime dell’Istat sono ora pari a una crescita dello 0,7%, rispetto al +0,9% precedentemente reso noto e, anche, al +0,9% preventivato dal governo Meloni con la pubblicazione, in primavera, del Def 2024.
Per il 2021, il tasso di crescita del Pil in volume (ora pari a +8,9%) è stato rivisto in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto alla stima di marzo, mentre nel 2022 il rialzo stimato ora dall’Istat è pari a +4,7%, migliorato rispetto al + 4,0% inizialmente annunciato dall’Istat.
Reso noto anche il rapporto debito-Pil dell’Italia, che si è attestato l’anno scorso al 134,6%.
In questo caso, il rapporto è migliorato, se si prende in considerazione il fatto che sia nel Def del governo Meloni che nell’ultimo outlook dell’Istat, la previsione era di un valore pari al 137,3%.
In particolare, nel Def si leggeva che “per quanto riguarda il debito pubblico, per il 2023, i primi dati ufficiali indicano che il rapporto debito-Pil è sceso al 137,3 per cento, in calo di 3,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente”.
Il rapporto deficit-Pil del 2023 è migliorato anch’esso, sulla base di quanto annunciato oggi dall’Istat, attestandosi al 7,2%, meglio di quanto reso noto ad aprile, quando era stato stimato al 7,4%.
Sono stati questi i dati salienti annunciati oggi dall’Istat con la pubblicazione del Rapporto Conti economici nazionali – Anno 2023.
- Pil Italia, Istat rivede al ribasso crescita 2023 da +0,9% a +0,7%
- Istat: il trend delle componenti del Pil dell’Italia
- Istat: i dati 2023 su unità di lavoro e retribuzione lorda
- Deficit-Pil: la revisione delle uscite e delle entrate
- Istat annuncia saldo primario e corrente, entrate e uscite PA
- Pil, UNC: dato maggiore crescita pre-Lehman, ma non ci siamo
Pil Italia, Istat rivede al ribasso crescita 2023 da +0,9% a +0,7%
Per quanto riguarda la voce singola del Pil dell’Italia relativo al 2023, l’Istat ha annunciato che il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è ammontato a 2,128 miliardi circa di euro correnti, con un aumento del 6,6% rispetto all’anno precedente.
In volume il Pil è cresciuto dello 0,7%: si tratta di una revisione al ribasso rispetto al +0,9% comunicato in precedenza.
“Nel 2023 il Pil ai prezzi di mercato risulta pari a 2.128.001 milioni di euro correnti, con una revisione al rialzo di 42.625 milioni rispetto alla stima di marzo scorso. Per il 2022 il livello del Pil risulta rivisto verso l’alto di 34.209 milioni di euro. Per il 2021 la revisione al rialzo è stata di 20.572 milioni di euro”, recita la nota dell’Istat, precisando:
Nel 2023 il tasso di variazione del Pil in volume è pari a 0,7%, al ribasso di 0,2 punti percentuali rispetto alla stima del marzo scorso. Sulla base dei nuovi dati, nel 2022 il Pil in volume è aumentato del 4,7%, al rialzo di 0,7 punti percentuali, nel 2021 è cresciuto dell’8,9%, con una revisione di +0,6 punti percentuali.
In particolare, a essere stato rivisto al ribasso è stato il valore aggiunto in volume, attraverso un downgrade di 0,4 punti percentuali.
A livello settoriale, modifiche al ribasso per il Pil del 2023 hanno interessato l’agricoltura (-1,0 punti percentuali), l’industria in senso stretto (-0,5 punti percentuali), le attività finanziarie e assicurative (-6,4 punti), le attività professionali (-1,6 punti), il settore che comprende le AP, difesa, istruzione, salute e servizi sociali (-0,2 punti) e attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, riparazione di beni e servizi per la casa (-1,1 punti percentuali).
Sono state registrate invece variazioni al rialzo per le costruzioni (+2,8 punti) e per le attività immobiliari (+1,7 punti percentuali).
Da segnalare che le modifiche della performance dei Pil del triennio 2021-2023 sono avvenute, ha ricordato l’Istituto, nell’ambito di “una revisione generale dei conti nazionali, volta ad aggiornare e migliorare alcune componenti del processo di stima, in accordo con le raccomandazioni a livello europeo che prevedono operazioni di questo tipo almeno ogni cinque anni. L’ultima revisione dei conti nazionali – ha comunicato l’Istat – era avvenuta nel settembre del 2019 a 5 anni di distanza dalla precedente del settembre 2014”.
“I dati diffusi in questa sede presentano, quindi – ha spiegato l’Istat – una revisione generalizzata di tutti gli aggregati dei Conti Nazionali. Al fine di descrivere le principali revisioni è opportuno confrontare i dati riferiti al 2021, che è stato individuato quale periodo di riferimento per il nuovo calcolo del livello assoluto (detto livello di “benchmark”) del Pil e di tutti gli aggregati che lo compongono”.
Istat: il trend delle componenti del Pil dell’Italia
Esaminando le componenti del prodotto interno lordo italiano del 2023, l’Istat ha reso noto che le importazioni di beni e servizi sono scese dello 0,4% in volume, mentre le risorse di beni e servizi disponibili sono salite dello 0,4%.
Dal lato degli impieghi l’Istat ha messo in evidenza una crescita dell’1,2% per i consumi finali nazionali, dell’8,5% per gli investimenti fissi lordi e dello 0,8% per le esportazioni di beni e servizi.
La spesa per consumi finali delle famiglie italiane, in particolare, è cresciuta, in volume, dello 0,9%.
Nell’ambito dei consumi finali interni, la componente dei servizi è salita del 3,3%, mentre quella dei beni è scesa dell’1,3%;
gli incrementi più significativi hanno riguardato le spese per alberghi e ristoranti (+6,4%), ricreazione e cultura (+6,3%) e trasporti (+7,8%).
Sono scese, invece, le spese per vestiario e calzature (-5,6%) e quelle per mobili, elettrodomestici e manutenzione della casa (-6,0%).
Guardando agli investimenti fissi lordi, la crescita in volume pari a +8,5% ha messo in evidenza il rialzo della componente delle costruzioni, salita del 14,5%, dei mezzi di trasporto, avanzata del 18%, e dei prodotti della proprietà intellettuale (+3%); quella delle macchine e attrezzature è scesa invece dello 0,9%.
Il valore aggiunto in volume nel 2023 è diminuito dell’1,6% nell’industria in senso stretto e del 3,5% nel
settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, mentre è aumentato del 6,7% nelle costruzioni e dell’1,1% nei servizi.
In termini di contributi alla crescita del Pil, la domanda nazionale al netto delle scorte ha fornito un apporto positivo di 2,8 punti percentuali (di cui 0,9 punti attribuibili ai consumi finali nazionali e 1,9 punti agli
investimenti fissi lordi e oggetti di valore); la domanda estera netta ha contribuito positivamente per 0,4 punti percentuali, mentre le scorte hanno sottratto alla crescita del Pil 2,5 punti percentuali.
Nel 2023 il deflatore del Pil è aumentato inoltre del 5,8%, quello degli investimenti dell’1,2%, quello della spesa delle famiglie residenti del 5,1%.
Si è registrato un miglioramento della ragione di scambio con l’estero, quale risultante di una crescita del deflatore delle esportazioni (+1,5%) e di una riduzione di quello delle importazioni di beni e servizi (-5,9%).
Istat: i dati 2023 su unità di lavoro e retribuzione lorda
Ancora, l’Istat ha reso noto che, nel 2023, le unità di lavoro (ULA) sono aumentate del 2,3%, sulla scia della crescita del 2,7% delle unità di lavoro dipendenti e dell’1,3% di quelle indipendenti.
I redditi da lavoro dipendente sono cresciuti del 5,2% e le retribuzioni lorde del 5,2%. Queste ultime in particolare hanno registrato una crescita del 7,5% nelle costruzioni, del 5,1% nell’industria in senso stretto, del 5,1% nei servizi e dell’1,1% nel settore agricolo. 2,1% nei servizi.
In termini di retribuzione lorda per ULA dipendente si è registrato un incremento del 2,4% nell’insieme dell’economia, con aumenti che hanno interessato tutti i comparti:
1,2% nell’agricoltura, 3,4% nell’industria in senso stretto, 2,8% nel settore delle costruzioni e 2,1% nei servizi.
Deficit-Pil: la revisione delle uscite e delle entrate
Tornando ai conti pubblici, il miglioramento dell’outlook sul deficit-Pil è stato il risultato della revisione delle uscite e delle entrate.
La revisione delle uscite è stata molto contenuta (-5.873 milioni) mentre le entrate sono state riviste al ribasso di 4.484 milioni principalmente per una rettifica di -3.958 milioni nelle imposte indirette.
“L’impatto sull’indebitamento netto è stato di +1.389 milioni che ha comportato un miglioramento del rapporto indebitamento/Pil di +0,2 punti percentuali, portandolo a -7,2%”.
Così l’Istituto Nazionale di Statistica dell’Italia ha commentato i dati resi noti nella giornata di oggi:
“La revisione generale dei conti nazionali, con anno di riferimento 2021, ha modificato in misura sensibile le stime dei livelli del Pil e dei principali aggregati negli ultimi anni, con un impatto tuttavia limitato sui loro tassi di variazione. In particolare, rispetto alle stime diffuse a marzo 2024, il Pil nominale del 2021 è risultato superiore di circa 21 miliardi e nel 2022 e 2023, rispettivamente, di 34 e 43 miliardi. Per effetto della revisione, il Pil in volume del 2023 si è attestato a un livello per la prima volta superiore al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008″.
Riguardo al deficit-Pil, l’Istat ha reso noto che “la revisione generale dei conti economici e degli aggregati di finanza pubblica ha comportato un miglioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil che, per il 2022 e per il 2023, si attesta rispettivamente a -8,1% e -7,2% (dal -8,6% e -7,4% nelle stime rilasciate lo scorso aprile)”.
Istat annuncia saldo primario e corrente, entrate e uscite PA
Il saldo primario (indebitamento netto al netto della spesa per interessi), ha reso noto ancora l’Istat, è stato negativo e pari a -74.748 milioni di euro, con un’incidenza sul Pil del -3,5% (-4,0% nel 2022); il saldo di parte corrente (risparmio o disavanzo delle AP) è risultato invece positivo, pari a 16.659 milioni di euro, in miglioramento rispetto a quello registrato nel 2022 che era pari a -17.934 milioni.
Tale risultato è dipeso da un aumento di circa 51,9 miliardi di euro delle entrate correnti, superiore a quello delle uscite correnti (di circa 17,3 miliardi).
Nel 2023 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche sono aumentate del 6,1% rispetto all’anno precedente, con una incidenza sul Pil pari al 46,6%.
Le entrate correnti hanno registrato una crescita del 5,7%, attestandosi al 45,5% del Pil.
In particolare, le imposte dirette sono aumentate del 10,5%, principalmente per il forte incremento dell’IRPEF, dell’IRES e delle ritenute sugli interessi e sui redditi da capitale.
Anche le imposte indirette hanno registrato una crescita marcata (+3,9%), guidata dall’incremento del gettito IVA (sostenuto dall’incremento dei prezzi al consumo), dell’IRAP e, soprattutto, delle imposte sugli oli minerali e sull’energia elettrica.
Queste ultime sono aumentate anche per effetto della graduale riduzione delle misure a sostegno di imprese e famiglie introdotte a partire dall’ultimo trimestre del 2021 a seguito della crisi energetica.
I contributi sociali sono cresciuti rispetto al 2022 (+3,5%) così come la produzione vendibile e per uso proprio (+4,9%), mentre sono diminuite dell’1,8% le altre entrate correnti.
La crescita delle entrate in conto capitale (+29,3%), ha spiegato l’Istat, è stata spinta principalmente dalla dinamica delle altre entrate in conto capitale e, in particolare, dai contributi agli investimenti dall’Unione europea relativi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
La pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata in calo e pari al 41,5% (era 41,7% nel 2022), a seguito di un aumento delle entrate fiscali e contributive (6,0%) inferiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+6,6%).
Per quanto riguarda le uscite delle amministrazioni pubbliche, il trend è stato nel 2023 di un rialzo del 4,4% rispetto al 2022, e al 53,8% rispetto al Pil.
In particolare, le uscite correnti sono aumentate dell’1,9%, principalmente per effetto delle prestazioni sociali in denaro (+4,3%) e dei redditi da lavoro dipendente (+2,1%); in diminuzione le altre uscite correnti (-5,3%) e la spesa per interessi (-4,7%, era aumentata del 29,9% nel 2022).
La crescita delle prestazioni sociali in denaro, ha spiegato l’Istituto Nazionale di Statistica, è stata provocata in particolare dall’incremento della spesa pensionistica solo in parte compensato dalla riduzione della spesa per sussidi assistenziali, derivata dal venir meno delle indennità erogate alle famiglie nel solo anno 2022 per contrastare gli effetti economici derivanti dall’emergenza energetica.
Le uscite in conto capitale sono aumentate del 19,2% per la sostenuta crescita sia degli investimenti (+29,0%), sia dei contributi agli investimenti (+28,7%) trainati dai bonus edilizi (Superbonus e Bonus facciate).
In forte calo le altre uscite in conto capitale (-51,9%), principalmente per la graduale riduzione di alcune
misure una tantum a favore delle imprese.
Pil, UNC: dato maggiore crescita pre-Lehman, ma non ci siamo
La crescita del Pil del 2023 non ha convinto l’Unione nazionale dei consumatori che, dopo i dati dell’Istat, si è così espressa, stando a quanto riporta il comunicato:
“Secondo i dati resi noti oggi dall’Istat, nel 2023 il tasso di variazione del Pil in volume è pari a 0,7%, al ribasso di 0,2 punti percentuali rispetto alla stima del marzo scorso”.
Così Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori:
“Dato negativo! La revisione al ribasso è percentualmente molto consistente, ben 0,2 punti su una crescita che si attesa a 0,7. Unica consolazione è che finalmente il Pil nel 2023 è maggiore rispetto al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers. Insomma si è usciti finalmente dal tunnel, ma per questo traguardo si sono dovuti attendere ben 15 anni, un tempo biblico”.
“Altro aspetto negativo è che, se i consumi finali nazionali crescono dell’1,2%, la componente della spesa delle famiglie residenti, che è quella che conta maggiormente, resta sempre allo zero virgola, +0,9%. Insomma i consumi delle famiglie restano asfittici“, ha concluso Dona.