Il Def light-monco di Meloni-Giorgetti: tutto su deficit-Pil e sorpresa debito. Tassi BTP e spread pagheranno Superbonus?
Un Def solo con il quadro tendenziale, orfano degli obiettivi programmatici su deficit, debito pubblico e crescita dal 2024 fino al 2026, che ha già scatenato contro il governo Meloni e il Mef di Giancarlo Giorgetti le aspre critiche delle opposizioni.
Oggi è il giorno clou per il Documento di economia e finanza, per l’appunto Def, con il Consiglio dei ministri che si è riunito alle 11.15 per la sua approvazione, per poi dare il via libera al testo dopo un’ora circa.
Per ora lo spread BTP-Bund tiene, viaggiando attorno ai 133 punti base, in calo rispetto alla sessione della vigilia.
I tassi dei BTP a 10 anni viaggiano attorno al 3,77%, in lieve ribasso.
- Def: terminata la riunione del Cdm. Le stime su Pil, debito, deficit
- Deficit-Pil sotto al 3% stabilito dall’Ue solo nel 2027
- Il Def monco è qui: la mossa del governo Meloni
- Schiaffo Superbonus sui conti pubblici dell’Italia. L’ahimè di Giorgetti
- Spread BTP-Bund e dei tassi BTP: mesi fa la grande scossa con Nadef 2023
- Def, il Mef di Giorgetti predica prudenza. Il suo “mantra”
Def: terminata la riunione del Cdm. Le stime su Pil, debito, deficit
E’ terminata la riunione del Consiglio dei ministri, convocato per la giornata di oggi, martedì 9 aprile, alle 0re 11.15, per approvare il testo del Def.
Le stime sul Pil
Il Def parla di una crescita del Pil italiano, nel 2024, attesa al ritmo dell’1%, a un tasso dunque inferiore rispetto all’outlook di una espansione pari a +1,2% che era stato previsto con la Nadef di settembre.
Gli outlook per il 2025 e il 2026 per il Pil dell’Italia incisi nel Def sono di una espansione pari a +1,2% e a +1,1%, contro le stime della Nadef per il biennio, che erano rispettivamente di tassi di crescita pari a +1,4% e +1%.
Il Def prevede poi un Pil in rialzo dello 0,9% nel 2027.
Debito-Pil sotto il 140%, ma la traiettoria torna a essere al rialzo
Occhio alle stime sul debito-Pil del 2024 contenute nel Def: il rapporto era stato previsto al 140,1% che era stato previsto dalla Nadef.
L’Ansa, che ha potuto visionare il quadro tendenziale del Def, ha reso noto che il debito-Pil del 2024 è atteso dal governo Meloni al 137,8% per il 2024, “per poi aumentare al 138,9% nel 2025 e al 139,8% nel 2026”.
Una prima sorpresa di questo Def, che presenta tra l’altro un quadro solo tendenziale, sarebbe dunque la traiettoria di nuovo al rialzo del debito in rapporto al Pil, anche rispetto alla Nadef, che, nel quadro programmatico, aveva stimato livelli in discesa del debito-Pil, dal 140,1% stimato per il 2024 al 139,9% del 2025, fino al 139,6% del 2026.
Certo, se si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno si può dire che il rapporto è per lo meno inferiore alla soglia del 140%. Fatto sta che il trend del rapporto stesso è al rialzo, non al ribasso.
Deficit-Pil sotto al 3% stabilito dall’Ue solo nel 2027
Per quanto riguarda il rapporto deficit-Pil, il Def ricalca le stime contenute nella Nadef varata lo scorso settembre, prevedendo un ratio al 4,3%, nel 2024, dunque allo stesso livello stabilito con il quadro programmatico della Nadef.
Per il 2025 e il 2026 il governo Meloni stimerebbe deficit-Pil rispettivamente al 3,7% e al 3%. Per il 2027, il rapporto è atteso finalmente al di sotto della soglia del 3%, al 2,2%.
Per il 2025 e il 2026, le stime sul deficit-Pil sono state riviste dunque al rialzo, visto che la Nadef prevedeva valori pari rispettivamente al 3,6 per cento e al 2,9 per cento.
Come se l’Italia non fosse già alle prese con il problema eterno del debito e della spesa per gli interessi.
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Anche nel 2026, dunque, l’Italia non riuscirebbe a far scendere il proprio deficit al di sotto di quel tetto Ue del 3% confermato anche dalla nuova versione del Patto di stabilità.
Vale la pena di ricordare che il Def- come si legge nel sito della Camera dei deputati è “il principale documento di programmazione della politica economica nazionale, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall’Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo”.
Con il Def, il governo di turno “enuncia, pertanto, le modalità e la tempistica attraverso le quali l’Italia intende conseguire il risanamento strutturale dei conti pubblici e perseguire gli obiettivi in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale, energia e sostenibilità ambientale definiti nell’ambito dell’Unione europea.
Il Def monco è qui: la mossa del governo Meloni
Nel non fissare gli obiettivi programmatici, il Def sembra destinato a fare il suo debutto con una versione che è stata già battezzata “light”, per non dire monca, in linea con una strategia elaborata dal governo Meloni volta, secondo le opposizioni, a rimandare al periodo successivo alle elezioni europee la determinazione di quelle stime che oggi potrebbero avere un effetto boomerang, in tempi di campagna elettorale, sui partiti di maggioranza.
Motivo: “l’eredità pesantissima”, così come l’ha definita lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, del Superbonus, che manderebbe all’aria tutti i buoni propositi fiscali che un qualsiasi governo italiano volesse portare a termine.
Per comprendere cosa mancherà nel Def, vale la pena ricordare il contenuto del Documento, che rappresenta le fondamenta su cui si regge la legge di bilancio.
Così come ricorda il sito Openpolis, il testo del Def presenta due quadri diversi:
uno tendenziale, per l’appunto, che analizza la situazione al netto delle manovre di finanza pubblica, e un quadro programmatico, che incorpora gli effetti degli interventi definiti dalla legge di bilancio.
E’ questo quadro programmatico che il Def del governo Meloni ha deciso per ora tralasciare.
La mossa di Meloni si spiegherebbe con l’intenzione del governo di attendere l’esito delle elezioni europee, per capire il nuovo volto della Commissione europea, e poi iniziare a trattare con i nuovi vertici i vincoli di bilancio.
Nel prendere la parola subito dopo la fine del CdM che oggi ha approvato il Def, il ministro Giorgetti ha rimandato al mittente le accuse delle opposizioni, che hanno criticato il governo per aver presentato solo il quadro tendenziale, e non programmatico:
“La mancanza del quadro programmatico nel Def è un fatto non nuovo”, ha detto il ministro, ricordando che ci sono stati già alcuni precedenti.
Il fenomeno, ha detto, si è infatti “già verificato in quattro precedenti”.
Il titolare del Mef ha precisato inoltre che il Def che ha ricevuto oggi il via libera del Consiglio dei ministri considera “le nuove regole europoee” di cui mancano tuttavia ancora le “disposizioni attuative”.
Di conseguenza, il quadro programmatico per ora assente sarà incluso nel nuovo Piano fiscale strutturale di medio termine, che dovrà essere comunicato entro il 20 settembre, ma che secondo Giorgetti potrebbe essere annunciato anche prima della scadenza.
Schiaffo Superbonus sui conti pubblici dell’Italia. L’ahimè di Giorgetti
Già ai tempi della Nadef il ministro Giorgetti aveva motivato il quadro più desolante atteso per i conti pubblici italiani con l’impatto del Superbonus:
“Il motivo per cui il debito non diminuisce come auspicato è perchè il conto da pagare dei bonus edilizi, ed in particolare del superbonus, sarà di 80 miliardi, ahimè in aumento, da pagare in quattro comode rate ogni anno. In assenza di questo effetto il debito sarebbe calato di un punto ogni anno”.
Un ‘ahimé’, quello di Giorgetti del settembre del 2023, che impallidisce rispetto a quello che l’intero esecutivo starà proferendo in queste ore visto che, stando agli ultimi calcoli sulla zavorra del Superbonus sulle casse dello Stato, il costo del Superbonus sarebbe lievitato a 122 miliardi di euro. E non è finita qui, visto che vale la pena ricordare che un’ analisi de Il Corriere della Sera aveva paventato un costo pari a 135 miliardi di euro, e che ormai si teme un costo totale che sforerebbe ampiamente i 200 miliardi di euro.
Spread BTP-Bund e dei tassi BTP: mesi fa la grande scossa con Nadef 2023
La speranza è che con il Def di Meloni non si ripresenti quell’ansia che aveva fatto impennare, dopo la presentazione della Nadef, i tassi dei BTP a 10 anni e lo spread BTP-Bund:
dopo aver tirato un sospiro di sollievo grazie alla versione più light della tassa sugli extraprofitti delle banche, che tanto aveva angustiato sia i titoli delle banche italiane scambiati a Piazza Affari che gli stessi BTP , lo spread BTP-Bund si era di fatto infiammato, volando anche al di sopra della soglia di 200 punti base, a seguito delle nuove stime sul deficit-Pil e sul debito-Pil annunciate dall’esecutivo italiano con la Nota di aggiornamento al Def (Nadef).
In quei giorni febbrili di ottobre, lo spread BTP-Bund era tornato a essere osservato speciale non solo dei mercati, ma anche della Bce e dell’Fmi (Fondo Monetario Internazionale), sulla scia di un balzo dei tassi dei titoli di stato italiani schizzati al di sopra del 5%.
Per ora, nessun pericolo:
lo spread oscilla attorno alla soglia di 133 punti base, oggi in ribasso rispetto alla chiusura di ieri, mentre i tassi dei BTP a 10 anni, viaggiano attorno al 3,77%, ben al di sotto di quella soglia del 5% che era stata sfiorata dopo l’annuncio della Nadef.
Va segnalato che, dall’inizio del 2024, i rendimenti decennali dei BTP non sono mai più tornati a rivedere valori al di sopra del 4%, soglia che era stata bucata agli inizi di dicembre, quando le scommesse su eventuali imminenti tagli ai tassi da parte della Bce avevano scatenato il “buy Italia”.
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Def, il Mef di Giorgetti predica prudenza. Il suo “mantra”
In questi ultimi giorni precedenti all’annuncio del Def da parte del governo Meloni, va detto che il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha ribadito più volte la necessità, per l’Italia, di tenere sotto controllo i propri conti pubblici, in primis la spesa pubblica.
Il dito è stato puntato sempre contro il Superbonus, la misura voluta dal M5S di Giuseppe Conte che ha reso ancora più disperate le condizioni delle casse dello Stato, già notoriamente disastrate.
Ieri, in occasione di un intervento al “Selecting Italy – Attrazione investimenti esteri e catene regionali del valore”, Giorgetti ha rimarcato il bisogno di “creare fiducia rispetto ai dati fondamentali di finanza pubblica”, sfoderando quella prudenza sui conti pubblici che tanto aveva mostrato il governo Meloni nei primi mesi successivi al suo insediamento, e che appena qualche mese dopo era invece finita dietro le quinte, con la presentazione della Nadef.
“Per questo motivo – ha detto ieri Giorgetti – in ogni occasione, ripeto come un mantra che serve agire con prudenza e responsabilità per quanto riguarda i conti pubblici e la sostenibilità del nostro debito. E’ quello che faremo nelle prossime ore”.
Anche perchè, ha avvertito il ministro – che ha escluso comunque ieri una manovra correttiva di bilancio per l’Italia – “senza la fiducia dei risparmiatori italiani e della comunità iternazionale è difficile andare verso la fase nuova e anche mantenere la vecchia gestione”, in un contesto più severo caratterizzato dal nuova versione Nuovo Patto di stabilità e crescita.
Il dramma dell’Italia alle prese con l’ansia del debito è stato illustrato oggi, nel corso di una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, dall’ex Commissario per la Spending review Carlo Cottarelli, che ha riassunto la posizione del governo Meloni con le seguenti parole:
“Il governo non ha strategie taglia debito”. Altro che quel piano di privatizzazioni su cui l’esecutivo ha deciso di puntare nella speranza di far cassa con la vendita sul mercato di quote di capitale di alcuni gioielli di Stato.
La ‘consolazione’ per l’Italia è che probabilmente quel terremoto che ha scosso i BTP nell’autunno dello scorso anno non dovrebbe fare, almeno per ora, il bis:
“Non mi aspetto una reazione negativa dei mercati – ha detto Cottarelli – La risalita del debito era nota visto il peso del Superbonus. Il problema è che non c’è una strategia per una riduzione del rapporto tra debito e Pil. L’anno scorso è andata bene perché la revisione dei dati del Pil dell’Istat ha abbassato un po’ il rapporto grazie all’incremento dell’inflazione”.
Non che l’inflazione sia tuttavia la benvenuta: tutt’altro, come sa bene la Bce di Christine Lagarde che non si decide ancora a tagliare i tassi, nonostante il dietrofront significativo della crescita dei prezzi nell’area euro.
Cottarelli ha ricordato infatti subito che “l’inflazione è una vera tassa che ha pesato più del previsto” e che “l’aggiustamento è stato fatto con una tassa che erode il valore dei titoli di Stato, una sorta di patrimoniale”.
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