Tassi, Musk VS Powell: ‘Fed stupida a non tagliarli prima’. A Wall Street si rifanno i conti
La Fed è stata stupida a non tagliare i tassi. Parola di Elon Musk, numero uno di Tesla, proprietario di X ex Twitter, ceo di SpaceX e sostenitore dell’ex presidente Usa e candidato repubblicano all’Election Day Donald Trump.
In un momento in cui Wall Street si risveglia improvvisamente con il cocente dubbio che, dopotutto, l’economia americana non è poi così resiliente come si pensava fino a qualche settimana fa – complice tra le altre cose il pessimo report occupazionale Usa, pubblicato venerdì scorso -, Musk torna ad attaccare la banca centrale americana, accusandola di continuare a strozzare i fondamentali degli Stati Uniti.
E così, mentre Trump dà della stupida alla sua sfidante alle elezioni Usa, la vice del presidente americano Joe Biden e candidata democratica alla Casa Bianca Kamala Harris, Elon Musk, negli stessi giorni, dà della stupida alla Fed.
Elon Musk: ‘Fed tagli i tassi. Stupida a non averlo già fatto’
“La Fed deve tagliare i tassi – ha detto Musk in un post pubblicato su X, ex Twitter – Sono stati stupidi a non averlo già fatto”.
Nel frattempo, nelle stesse ore in cui Wall Street crolla contagiando l’azionario globale, i trader rifanno i conti sulla probabilità che la Fed tagli i tassi nella prossima riunione di settembre, dopo averli lasciati invariati al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%, record degli ultimi 23 anni, nell’ultima riunione della scorsa settimana.
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La probabilità di una sforbiciata nel prossimo meeting del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, viene considerata a questo punto quasi una certezza.
Non solo: come riporta un articolo di Bloomberg, chi fa trader sui bond governativi Usa, ovvero sui Treasury, torna a scommettere su tre tagli dei tassi da parte della banca centrale, entro la fine del 2024.
A rivedere le previsioni su quelle che saranno le prossime mosse della Fed di Jerome Powell non sono soltanto i mercati.
Tassi Fed, carrellata di tagli post occupazione Usa?
Gli analisti di Wells Fargo hanno appena annunciato di aver rivisto l’outlook sulla direzione futura dei tassi sui fed funds Usa:
ora stimano due tagli dei tassi, entrambi di 50 punti base, nelle prossime riunioni del Fomc del 18 settembre e del 7 novembre.
“Gli ultimi dati suggeriscono che i rischi che incombono sulla ‘piena occupazione’, parte del mandato della Fed, stiano aumentando”, si legge nella nota degli esperti, che ricordano quanto emerso dagli ultimi indicatori, in particolare dal rapporto sull’occupazione annunciato venerdì scorso, che ha rinfocolato ulteriormente la paura di una recessione negli Stati Uniti, dunque dell’hard landing: ipotesi che, forse, qualcuno aveva scartato troppo presto.
Di fatto, Wells Fargo ha menzionato la crescita più lenta delle buste paga e l’aumento del tasso di disoccupazione, segnali a suo avviso delle potenziali vulnerabilità del mercato del lavoro.
Il forte sell off che si sta abbattendo sui mercati azionari di tutto il mondo ha la sua genesi proprio in quei numeri relativi al mercato del lavoro Usa, diffusi venerdì scorso, che si sono confermati una sorta di prova del nove di quello scenario di recessione che i mercati avevano già iniziato a scontare nelle sessioni precedenti, sulla scia di dati macro deludenti e di trimestrali non tali da riuscire a confermare la solidità dei bilanci della Corporate America.
Nel commentare in particolare quanto emerso dal rapporto sui nonfarm payrolls di luglio Tiffany Wilding, economista di PIMCO, ha fatto notare che da quei numeri è emerso che la “creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti è rallentata a sole 114.000 unità, un dato più debole del previsto e un’ulteriore prova del fatto che l’economia statunitense sta rallentando. Il tasso di disoccupazione, nel frattempo, è salito al 4,25% non arrotondato, sfiorando la cosiddetta regola di Sahm, che in passato è stata un indicatore affidabile di recessione”.
Va detto che l’economista di Pimco ha spiegato però anche che “sebbene i dati principali siano stati più deboli del previsto e riflettano con certezza un’economia in fase di rallentamento, ci sono alcune riserve nei dettagli, che continuano a dipingere un quadro di un’economia in rallentamento ma non ancora in crisi. In primo luogo, l’uragano Beryl ha colpito il Texas durante la settimana di rilevazione, con 436.000 lavoratori impossibilitati a operare a causa del maltempo e altri 1.079.000 costretti a lavorare con orario ridotto. In secondo luogo, anche l’incapacità dei fattori stagionali di adeguarsi completamente alle assunzioni stagionali ha probabilmente contribuito alle interferenze. In terzo luogo, l’aumento del tasso di disoccupazione si è verificato senza un calo significativo del livello di occupazione. Piuttosto, l’offerta di lavoro si è espansa”.
Detto questo, anche l’economista ha ammesso che quei numeri avallano “un taglio dei tassi della Federal Reserve a settembre” con una probabilità maggiore rispetto a quella in precedenza scontata, aumentando inoltre “il rischio che la Fed riveda le sue previsioni per indicare una cadenza più rapida dei tagli futuri”.
Wilding ha concluso affermando infine che “lo slancio economico negativo potrebbe certamente autoalimentarsi, e noi potremo osservare una serie più ampia di dati alla ricerca di indizi”.
Di conseguenza, in questo contesto, “il prossimo rapporto sull’occupazione e l’eventuale ripresa dalla debolezza di luglio saranno fondamentali per porre le basi della riunione della Fed di settembre”.
Wells Fargo, da parte sua, non ha grandi dubbi.
Nel rivedere l’outlook sui tassi sui fed funds Usa, oltre a prevedere tre tagli dei tassi, di cui due di 50 punti base, fino alla fine dell’anno da parte della Fed, gli analisti del colosso di Wall Street hanno detto di stimare anche altre sforbiciate nel 2025.
Per la precisione, dopo le due riduzioni di mezzo punto percentuale attese per i mesi di settembre e novembre, la prospettiva è di un altro taglio di 25 punti base a dicembre del 2024, seguito da tre ulteriori sforbiciate sempre di 25 punti base nei meeting del Fomc di gennaio, marzo e giugno dell’anno prossimo, fino ad arrivare a un valore compreso tra il 3,25% e il 3,50% entro la metà del 2025.
Il motivo alla base di questi tagli aggressivi stimati?
“Il Fomc – hanno puntualizzato da Wells Fargo – deve tornare a una politica monetaria neutrale in modo veloce o, altrimenti, rischierà di creare un circolo vizioso di debolezza sul mercato del lavoro” Usa.
Musk attacca la Fed. E non è certo la prima volta: i precedenti
Tornando a quanto detto da Elon Musk alla Fed di Jerome Powell, non è certo la prima volta che il tycoon e ceo di Tesla attacca la banca centrale americana.
Sotto un certo punto di vista Musk è stato anche profetico visto che, nel maggio del 2023, dunque più di un anno fa, aveva avvertito che l’istituzione sarebbe stata lenta ad abbassare i tassi (di fatto, non li ha ancora tagliati).
“La Federal Reserve è stata lenta ad alzare i tassi di interesse, e sarà lenta ad abbassarli“, aveva detto Musk, paragonando le strette monetarie varate dalla banca centrale a “qualcosa di simile a un pedale che frena l’economia“.
Ancora prima, una critica contro la Fed era stata lanciata da Musk insieme a Cathie Wood, numero uno dei fondi di Ark Invest.
Entrambi avevano messo in guardia Powell & Co. sugli effetti che i rialzi dei tassi avrebbero avuto sui fondamentali dell’economia americana, con il ceo di Tesla che aveva paventato anche il problema opposto a quello di una inflazione persistente, ovvero quello della deflazione.
Gli ultimi commenti di Musk sulla Fed sono stati rilasciati in risposta a un post pubblicato su X, in cui un utente ha fatto notare al ceo di Tesla che la holding Berkshire Hathaway fondata e gestita da Warren Buffett ha deciso di aumentare la propria esposizione sugli equivalenti del cash e sui Treasury a breve termine, dopo aver tagliato le partecipazioni detenute nella sua più grande scommessa, la Big Tech Usa Apple, e in altre aziende.
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Musk ha risposto dicendo che Buffett, evidentemente, prevede “una sorta di correzione”, oppure che “semplicemente, al momento (l’oracolo di Omaha) non riesce a individuare investimenti migliori dei Treasury”.
Ad attaccare in modo anche più feroce la Fed di Jerome Powell è stato di recente lo stesso candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, Donald Trump.
In un’intervista pubblicata recentemente da Bloomberg, il tycoon è arrivato a minacciare e a ricattare la Federal Reserve Bank, presentandosi contestualmente ai cittadini americani come il presidente che riuscirà a sconfiggere la piaga dell’inflazione.
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Un commento su come potrebbe a questo punto evolvere la politica monetaria della Fed è stato rilasciato anche da Bret Kenwell, US Investment analyst di eToro che, facendo riferimento ai pessimi numeri emersi dal report occupazionale Usa, ha scritto in una nota che “tutto sembra puntare a un’ormai imminente intervento della Fed sui tassi di interesse: il mercato del lavoro continua ad ammorbidirsi e questo dovrebbe indurre la banca centrale Usa ad agire nel corso della prossima riunione di politica monetaria”.
Ormai, ha fatto notare Kenwell, “un taglio dei tassi a settembre è nei radar degli investitori, ma adesso il dibattito si è spostato dal ‘quando’ al ‘quanto’. Circolano voci di un taglio di 50 punti base e questo rapporto sui posti di lavoro più debole del previsto potrebbe aggiungere benzina al fuoco”.
“Il mercato del lavoro è la linfa vitale dell’economia statunitense e la Fed deve assicurarsi di non rischiare di indebolirlo troppo solo nel tentativo di ridurre l’inflazione”, ha ammonito l’analista di eToro, aggiungendo che “è importante notare che l’aumento del tasso di disoccupazione potrebbe indurre un repentino cambio di narrativa anche per quanto riguarda la tenuta generale dell’economia Usa. Da atterraggio morbido a recessione, a questo punto, secondo i principi macroeconomici, il passo è breve”.
“Secondo la Sahm Rule, infatti, l’inizio di una recessione viene segnalato quando la media mobile a tre mesi del tasso di disoccupazione statunitense supera di mezzo punto percentuale o più il tasso di disoccupazione medio mobile a tre mesi più basso dei 12 mesi precedenti”, ha ricordato Kenwell.
Nell’ultima riunione di luglio della Fed, Jerome Powell ha lasciato per l’appunto i tassi sui fed funds inchiodati allo stesso livello a cui sono stati lasciati fermi l’anno scorso, nel luglio del 2023.
Il timoniere della banca centrale americana ha aperto tuttavia alla possibilità di tagliare i tassi a settembre, in modo decisamente più significativo rispetto a quanto avesse fatto in passato.
“L’impressione della Commissione (Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed) è che l’economia (Usa) si stia avvicinando al punto in cui sarebbe appropriato tagliare i tassi. L’interrogativo sarà se la totalità dei dati, l’evoluzione dell’outlook e il bilanciamento dei rischi saranno coerenti con la (nostra) crescente fiducia nei confronti dell’inflazione e con un mercato del lavoro che si confermerà solido. Se questo obiettivo sarà soddisfatto, una riduzione dei nostri tassi di interesse potrebbe essere sul tavolo già a partire dal prossimo meeting di settembre”, ha detto Powell.
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Il sospetto che l’economia Usa versi in condizioni peggiori rispetto a quanto sembri ha poi convinto i trader a iniziare a darsi alla fuga. E il colpo di grazia è stato infine inferto dai numeri sul mercato del lavoro.