Notizie Asset Class Indici e quotazioni Massacro azionario: a Wall Street Nasdaq in correzione, tonfo -6%. DJ -1000 punti. Borsa Tokyo in mercato orso. Shock Nikkei 225: -12%

Massacro azionario: a Wall Street Nasdaq in correzione, tonfo -6%. DJ -1000 punti. Borsa Tokyo in mercato orso. Shock Nikkei 225: -12%

Pubblicato 5 Agosto 2024 Aggiornato 6 Agosto 2024 13:19

Non solo le cose a Wall Street non migliorano, ma peggiorano in modo deciso, dopo che il Nasdaq Composite è scivolato venerdì scorso in fase di correzione, contagiando con i suoi sell l’azionario di tutto il mondo.

Occhio tra i listini azionari peggiori alla borsa di Tokyo, che ha visto l’indice Nikkei 225 precipitare di oltre il 12%, così come il listino Topix.

Il trend ribassista, in una situazione caratterizzata dalla forte volatilità dei mercati tipica dell’estate – acuita quest’anno dal timore improvviso che l’economia Usa rischi la recessione -, va avanti.

Wall Street inizia la prima sessione della settimana assistendo a un crollo a livelli record: il Dow Jones capitola di più di 1100 punti, o del 2,8%; lo S&P 500 scivola di 225 punti o del 4,2%, mentre il Nasdaq Composite crolla di oltre il 6%.

Azionario nel panico. Si riaffaccia dubbio hard landing Usa

Il sentiment del risk off (avversione al rischio) porta i trader a cercare conforto nei titoli di stato americani, ovvero nei Treasury che, già nelle ultime sessioni, inondati dai buy, avevano assistito al forte tracollo dei loro rendimenti.

Oggi i rendimenti dei tassi dei Treasury a 10 anni scivolano al 3,727%, minimo in un anno. I rendimenti dei Treasury a 2 anni precipitano al 3,793%.
Tra gli investimenti considerati più rischiosi, in evidenza il Bitcoin e altre criptovalute,  che sprofondano con ribassi fino a -20%.

Tra i titoli delle Big Tech le azioni Nvidia crollano fino a oltre -7%, cadendo a un livello inferiore di oltre il 23% rispetto al massimo recentemente testato.

In generale, l’indice Philadelphia Semiconductor Index che include i titoli dei produttori dei chip assiste alla fuga degli investitori più significativa dal novembre del 2022, come emerge dal grafico di Bloomberg.

A conferma del panico che sta investendo l’azionario, l’indice della paura VIX è scattato oggi fino a 64,04 punti, al record dal marzo del 2020, periodo più drammatico della pandemia Covid-19, quando salì appena al di sopra della soglia di 82 punti.

L’indice ha fatto poi dietrofront, e al momento scambia a quota 43,18, balzando di oltre +82%.

Da segnalare che la scorsa settimana il VIX era scambiato attorno ai 23,5 punti.

 

Tra i titoli hi-tech Apple segna un tonfo di quasi il 5% dopo la decisione della holding Berkshire Hathaway di Warren Buffett di dimezzare la partecipazione detenuta nella sua grande scommessa.

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I titoli Tesla cadono del 10%.

E’ panico conclamato sull’azionario globale dopo i tonfi della scorsa settimana, alimentati a Wall Street dalla paura crescente che, dopotutto, e dopo quella solidità dell’economia americana tanto sbandierata nei mesi precedenti e per tutto il 2023, i fondamentali made in Usa non stiano affatto bene.

Ad avallare le preoccupazioni degli investitori di tutto il mondo è stata la recente pubblicazione di alcuni dati macro niente affatto confortanti, che hanno riproposto lo scenario terribile dell’hard landing negli States, che sembrava ormai essere destinato a rimanere dietro le quinte.

E invece no: l’economia americana sta iniziando a perdere un bel po’ di colpi: la ciliegina sulla torta è arrivata come temuto venerdì scorso, con la diffusione del pessimo report occupazionale Usa di luglio, che ha presentato un quadro niente affatto confortante.

La crescita dei nuovi posti di lavoro (nonfarm payrolls) è stata decisamente peggiore delle attese, mentre il tasso di disoccupazione è salito al 4,3%, dal 4,1% del mese precedente.

Notizia confortante, per chi non era rimasto convinto dalla pubblicazione degli ultimi indicatori relativi all’inflazione Usa:

i salari medi orari hanno segnato un rialzo a luglio, su base mensile, pari allo 0,2%, al di sotto allo 0,3% stimato e rilevato a giugno.

Su base annua, la crescita dei salari è rallentata al ritmo del 3,6%, rispetto al 3,7% stimato e al +3,8% del mese precedente (rivisto al ribasso dal precedente +3,9% inizialmente comunicato).

Il risultato è che venerdì scorso, ultima sessione della scorsa settimana, l’indice S&P 500 ha perso l’1,84% a 5.346,56 punti, mentre il Nasdaq Composite ha lasciato sul terreno il 2,43%, a quota 16.776,16 punti.

Il Dow Jones Industrial Average ha segnato un ribasso di 610,71 punti, o dell’1,51%, a 39.737,26 punti. Oggi, almeno nella prima mezzora di contrattazioni di Wall Street, sta andando anche peggio, con il Dow Jones che affonda più di 1100 punti e il Nasdaq che scivola di oltre il 6%. Il tonfo si smorza verso le 16 ora italiana, ma rimane a livelli record: il Dow Jones crolla sempre di oltre 1100 punti, ma il Nasdaq riduce le perdite da oltre -6% a -4% circa.

A Wall Street bad news non è più good news

Da notare che, fino a qualche settimana fa, l’arrivo di dati negativi dal fronte macroeconomico americano era stato accolto positivamente da Wall Street, in linea con quello che è diventato un mantra a Wall Street: “bad news is good news”.

gli indicatori più deboli delle attese avevano portato infatti i trader ancora incerti sulla disponibilità della Fed di Jerome Powell a tagliare i tassi sui fed funds Usa, a scommettere sull’arrivo della riduzione tanto attesa, che di fatto era stata messa in dubbio più volte dall’inizio del 2024, tanto che non erano mancati  economisti e strategist, nei primi mesi del 2024, a prevedere non tanto un taglio dei tassi, ma un loro rialzo, a causa della persistenza delle pressioni inflazionistiche.

La narrativa hawkish ha iniziato a vacillare con la pubblicazione dell’ indice dei prezzi al consumo Usa di giugno, che ha dato ottime indicazioni, presentando addirittura un segno meno.

Poi, una ennesima prova del nove di come tutte quelle strette monetarie lanciate dalla Fed nel 2022 e nel 2023 stessero dispiegando i loro pieni effetti, mettendo in ginocchio l’economia americana e dunque anche il trend dei prezzi, è arrivata dal  parametro preferito dalla Fed per monitorare il trend dell’inflazione, ovvero dal PCE core (che non aveva tuttavia convinto su tutti i fronti).

Nel frattempo, tra un dato e l’altro, era stato lo stesso Jerome Powell, numero uno della banca centrale Usa, a mostrarsi più aperto alla prospettiva di iniziare a tagliare i tassi sui fed funds Usa, come confermato da alcune dichiarazioni più dovish  da lui proferite, sia prima della riunione del Fomc di luglio che in occasione del Fed Day della scorsa settimana.

Fino a quel momento Wall Street l’aveva presa bene, visto che gli investitori avevano continuato a scommettere sulla prospettiva di un’economia americana in rallentamento, ma in ogni caso resiliente anche dopo essere stata colpita dai continui rialzi dei tassi anti-inflazione.

Le cose sono poi cambiate con l’insinuarsi del dubbio che l’outlook fosse decisamente meno rassicurante di quanto creduto, e con un avvertimento lanciato da una stessa colomba della Fed.

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Di colpo, il dubbio che l’erosione in atto dei fondamentali Usa fosse non solo più forte delle attese, ma che potesse inaugurare un periodo di forte dietrofront dell’economia e tradursi in quel worst scenario dell’hard landing che fino a pochi mesi prima era stato perfino deriso da alcuni investitori, è diventato market mover di Wall Street.

Il risultato è che l’ulteriore apertura a tagliare i tassi da parte della Fed di Jerome Powell, nel Fed Day della scorsa settimana, è stata accolta positivamente dall’azionario americano solo il tempo di qualche ora.

Poi, i trader hanno iniziato a focalizzarsi più sulla paura di una recessione in arrivo negli Stati Uniti, che sullo scenario perfetto di un dietrofront dell’inflazione accompagnato da una economia americana ancora solida.

Wall Street ha contagiato così diverse volte gli altri listini: vittima illustre del bagno di realtà è stato così l’azionario di tutto il mondo, con la borsa di Tokyo che, nell’ultima seduta della scorsa settimana, aveva accusato già un crollo shock.

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Nasdaq in correzione, borsa Tokyo scivola in mercato orso

Oggi, il bis dei sell off, dopo la pessima notizia dell’ingresso in territorio di correzione da parte del Nasdaq Composite che, chiudendo venerdì scorso a quota 16,776.16, è scivolato a un livello inferiore di oltre il 10% rispetto ai massimi di sempre.

L’effetto contagio è stato tale sull’azionario asiatico da portare oggi l‘indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo a crollare fino a oltre il 12% nella sessione di oggi, entrando nel “bear market”, ovvero nel mercato orso. Il bear market, vale la pena di ricordare, è quella condizione in cui un indice di Borsa capitola a un valore inferiore pari o superiore a -20% dai massimi testati in precedenza.

Il listino Nikkei 225 ha concluso la sessione di oggi affondando del 12,4%, a quota 31.458,42, in una seduta shock che si è confermata la peggiore per l’indice dal “Black Monday” del 1987.

Il tonfo, pari a 4.451,28 punti, è stato inoltre il più forte della sua storia in termini di punti persi, cancellando i guadagni YTD del listino.

KO anche il Topix della borsa di Tokyo, che ha segnato un tonfo del 12,23%, chiudendo a quota 2.227,15 punti, mentre la borsa di Seoul ha interrotto anche il trading, dopo che l’indice Kospi è scivolato dell’8% circa, per poi riprenderle dopo un alt durato una ventina di minuti. Il Kospi della borsa di Seoul ha poi chiuso con un tonfo pari a -8,77%; a quota 2,441.55, mentre l’indice delle small cap Kosdaq è affondato dell’11,3% a 691,28.

Nel caso specifico della borsa di Tokyo, oltre al fattore Wall Street, il market mover è stato anche l’ennesimo apprezzamento dello yen che sconta la svolta storica della Bank of Japan di Kazuo Ueda, determinata a staccare ormai la spina anche al piano di QE-Quantitative easing, e a sostituirla con il programma di QT-Quantitative Tightenin. Programma QT la cui road map la Banca centrale del Giappone ha già presentato, a fronte di una Fed di Jerome Powell che sarà forse costretta a tagliare i tassi, nella prossima riunione di settembre, di ben 50 punti base.

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Lo yen oggi è balzato così nei confronti del dollaro fino al record da gennaio, portando il rapporto USD-JPY a scivolare fino a quota 142,02 circa. Alle 11.20 circa ora italiana, il rapporto USD-JPY arretra di oltre il 2,8%, a quota 142,36.

Wall Street: occhio anche a trimestrali Usa. Commento Moneyfarm

Guardando alle prospettive dell’azionario mondiale nel suo complesso, è opportuno mettere in evidenza che, tra i grandi market mover di Wall Street, oltre ai dati macro degli Stati Uniti e alle conseguenti scommesse su quelle che saranno le prossime mosse della Fed, c’è anche la stagione delle trimestrali Usa che, la scorsa settimana, ha visto protagonisti i conti di diverse Big Tech Usa, come quelle di Microsoft, Meta Platforms, Apple e Amazon:

questi conti non sono riusciti a convincere del tutto gli investitori sulla convenienza a continuare a puntare sui rispettivi titoli, che tanto hanno beneficiato della febbre sull’AI.

Riferendosi al settore tecnologico Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, ha messo in evidenza che, “soprattutto in alcune delle grandi aziende tecnologiche che hanno guidato il mercato azionario statunitense negli ultimi trimestri, “i risultati sono stati discreti, anche rispetto alle aspettative, ma non sono stati sufficienti per spingere le azioni più in alto”.

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Certo, Flax ha messo in evidenza anche il market mover dell’economia statunitense e dei tassi di interesse.

“La scorsa settimana la Federal Reserve (Fed) ha lasciato invariati i tassi, ma ha segnalato un rallentamento del mercato del lavoro”. Di fatto, “sono diversi i dati macroeconomici che suggeriscono che l’economia sta rallentando: recentemente, il rapporto sulle buste paga non agricole ha evidenziato una disoccupazione più elevata e una creazione di posti di lavoro più bassa del previsto; inoltre, il sondaggio ISM sulla produzione è risultato inferiore alle aspettative. Gli analisti in effetti si aspettavano un rallentamento dell’economia dopo un periodo di crescita più forte delle attese, ma ora che il rallentamento potrebbe essere effettivamente arrivato la preoccupazione è che sia eccessivo”.

Proprio questo mix di fattori (stagione utili, indicazioni arrivate dall’economia e conseguenti aspettative sui tagli della Fed), praticamente la “combinazione di risultati non spettacolari e preoccupazioni per un rallentamento economico, sta pesando sui mercati azionari”.

Tuttavia, ha precisato il Chief Investment Officer di Moneyfarm, “per ora rimaniamo cauti nel prendere decisioni affrettate in merito alle prospettive per gli asset rischiosi”.

Flax non crede d’altronde che “l’economia statunitense entri in recessione” Ma certo, quello dell’hard landing “è uno scenario che stiamo monitorando da vicino” e l’impressione, al momento, è che “l’indebolimento del mercato del lavoro fornirà alla Fed una buona ragione per iniziare ad abbassare i tassi di interesse, molto probabilmente già a settembre”. Cosa devono fare gli investitori? La ricetta giusta sembra essere quella della diversificazione.

E’ “rassicurante vedere manifestarsi i benefici della diversificazione”, ha fatto notare Flax, riferendosi al fatto che, “con l’aumento della volatilità azionaria, le obbligazioni hanno tenuto bene, in alcuni casi anche insieme alle materie prime”.

Guardando in avanti, il cio di Moneyfarm ha così concluso.

“È possibile che attraverseremo un periodo di volatilità del mercato azionario. A questo punto riteniamo che potrebbe essere un’opportunità per aumentare l’esposizione azionaria in alcuni dei nostri modelli“.