Fed e taglio tassi: Powell, l’inflazione Usa e l’ammissione attesa dai mercati

Il presidente della Fed Jerome Powell è tornato a parlare, proferendo una frase che ha confermato la maggiore disponibilità della banca centrale a fare finalmente il grande passo, ovvero a tagliare i tassi di interesse Usa.
Intervenendo all’Economic Club di Washington, Powell ha ricordato che la politica monetaria tende a produrre effetti con “ritardi di durata lunga e variabile” e che, dunque, non è necessario che il ritmo di crescita dell’inflazione centri il target del 2% prima di iniziare a tagliare i tassi.
Tassi Fed, Powell parla del rischio di aspettare troppo a tagliare
Nell’illustrare il funzionamento della politica monetaria, il presidente della Fed Jerome Powell ha affermato che “nell’attendere che l’inflazione scenda al 2%, il rischio probabile è quello di finire con l’aver aspettato per troppo tempo (a iniziare a tagliare i tassi)”.
Il motivo?
Powell ha spiegato che “la restrizione in atto, o il livello di restrizione presente, sta producendo tuttora effetti che probabilmente porteranno l’inflazione al di sotto del 2%”.
Il numero uno della Fed ha praticamente ricordato una delle regole, se non la regola principale, alla base della politica monetaria :
un qualsiasi intervento sui tassi, che si tratti di una stretta monetaria o di un taglio, non produce conseguenze immediate sull’economia.
E’ proprio questo uno dei motivi che hanno portato diversi economisti a criticare in modo particolare la Bce di Christine Lagarde per i rialzi dei tassi continui e aggressivi lanciati a partire dal luglio del 2022, al fine di far rientrare la minaccia dell’inflazione che ha colpito l’area euro:
secondo alcuni esperti, alzando ripetutamente i tassi, a loro avviso in modo affrettato e significativo, la Bce non avrebbe dato neanche a se stessa, infatti, il tempo di valutare la reazione dei fondamentali economici alle sue strette, rischiando così di raffreddare la crescita del Pil del blocco in modo eccessivo, fino a strozzarla.
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Vero è che i numeri e i fatti hanno confermato che quella grande paura di provocare gravi danni all’economia si è rivelata anch’essa eccessiva, dal momento che i fondamentali dell’Eurozona hanno dato una grande prova di resilienza.
Ancora meglio (molto meglio) ha fatto il Pil Usa, rispetto a quei worst case scenario che paventavano addirittura un hard landing per l’economia degli States.
Detto questo, con il suo discorso di ieri, il presidente della Fed Jerome Powell ha dimostrato che la banca centrale Usa non ha alcuna intenzione di giocare con il fuoco sebbene, ha sottolineato, “un hard landing” per l’economia Usa non sia uno “scenario probabile”.
Allo stesso tempo, il timoniere della Fed ha messo in chiaro fin dall’inizio del suo discorso all’Economic Club di Washington che non darà alcun segnale sul momento in cui la banca centrale potrebbe iniziare a tagliare i tassi Usa, ancora inchiodati al range compreso tra il 5,25% e il 5,50%, record degli ultimi 23 anni, dopo l’ultimo rialzo dei tassi del luglio del 2023.
Per fare un paragone, i tassi Usa viaggiavano nella forchetta compresa tra lo zero e lo 0,25% durante gli anni più drammatici della pandemia Covid-19 mentre, prima dello shock provocato dal coronavirus nel 2020, erano stati fissati al range compreso tra l’1,5% e l’1,75%.
Scherzando, Powell ha detto di incontrare spesso persone che gli chiedono di abbassare i tassi.
“Persone che non conosco mi dicono sempre: ‘ehi, taglia i tassi. Stamattina me lo hanno detto in ascensore”.
Fed, Powell: ultimamente dati positivi su inflazione Usa
Dalla sua parte il presidente della Fed Jerome Powell ha finalmente di dati macro che possono rendere a suo avviso meno azzardato l’arrivo (finalmente per molti) del primo taglio dei tassi Usa.
Il processo disinflazionistico, che si era arenato all’inizio del 2024, portando molti economisti e Wall Street a temere addittura un nuovo rialzo dei tassi sui fed funds, è tornato infatti a riattivarsi negli ultimi mesi.
E così Powell ieri ha fatto la gioia di Wall Street nel sottolineare, dopo aver affermato che la Fed sta cercando di avere “una maggiore fiducia” nel far ritornare il ritmo di crescita dell’inflazione Usa al target del 2%, che “ciò che aumenta questa fiducia è l’arrivo di ulteriori dati positivi sull’inflazione, e ultimamente ne stiamo ricevendo un po’”.
Le parole di Jerome Powell non hanno tardato a produrre i loro effetti su Wall Street, facendo sì che l’indice Dow Jones, nella seduta di ieri, testasse un nuovo record, così come l’indice benchmark S&P 500: a incidere sull’azionario anche la scommessa sulla vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa da parte dei mercati, rafforzata dall’attentato al tycoon di venerdì 13 luglio.
A tal proposito va detto che la candidatura alla Casa Bianca di Donald Trump ha ottenuto ieri la benedizione formale dei repubblicani in occasione della convention Gop che si è aperta a Milwaukee, nello stato americano del Wisconsin.
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Powell: la ‘prima’ dopo il dato sull’inflazione CPI
Quello di ieri di Powell è stato il primo discorso proferito dopo la pubblicazione del dato clou relativo all’inflazione Usa, ovvero dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) di giugno, che ha dato praticamente semaforo verde alla Fed per iniziare a tagliare i tassi.
L’indice, tra i parametri principali per monitorare il trend dell’inflazione, è salito a giugno su base annua del 3%, a un ritmo inferiore rispetto al +3,1% atteso dal consensus degli analisti, rallentando rispetto al +3,3% di maggio.
Sorprendente soprattutto la performance su base mensile, che ha messo in evidenza un calo del CPI pari a -0,1%, rispetto al +0,1% stimato e al +0,1% precedente.
Quel calo è stato, su base mensile, il più forte dal maggio del 2020, ovvero dal periodo più drammatico dello shock della pandemia Covid-19.
Importanti indicazioni pro-taglio tassi sono arrivate anche dalla componente core dell’indicatore.
L’interrogativo, tuttavia, rimane: così come per la Bce, anche la Fed darà ai mercati un semplice contentino, annunciando un mini taglio?
Una cosa è sicura: quanto emerso dall’ultimo dot plot non basterà certo a soddisfare i desideri dei mercati (fermo restando che Wall Street, inanellando nuovi massimi, se la passa decisamente bene) e soprattutto dei cittadini americani: anche loro, così come i cittadini dell’area euro, sono ancora alle prese con rate dei mutui tuttora troppo alte.
E tuttavia, dopo la pubblicazione dell’indice CPI, l’impressione è che i toni di Powell si siano fatti meno hawkish, anche rispetto al recente intervento in occasione del forum delle banche centrali di Sintra, organizzato dalla Bce, che lo ha visto intervistato al fianco della presidente di quest’ultima, Christine Lagarde, e dopo le parole proferite nel corso delle sue audizioni al Congresso americano.
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Nel commentare il discorso proferito ieri da Jerome Powell, David Pascucci, analista dei Mercati per XTB, ha sottolineato che ieri il numero uno della Fed, “in occasione dell’incontro con David Rubenstein, presidente dell’Economic Club di Washington, ha rimarcato come l’economia Usa sia in salute, che l‘economia Usa é nettamente diversa (in positivo) rispetto all’Europa e come il tasso di disoccupazione non sia poi una preoccupazione per il futuro”.
Powell, ha ricordato Pascucci, si è anche augurato che “i prossimi dati possano effettivamente essere ancora positivi”.
Per l’analista di XTB, tuttavia, la realtà è un po’ meno positiva:
“l’economia Usa sta vedendo dei chiari segni di rallentamento provenienti dal mercato del credito, soprattutto per quanto riguarda l’aumento dei delinquency rates, ossia i tassi di insolvenza su prestiti e carte di credito che hanno di fatto superato al rialzo le loro medie storiche segnando quella che é una fase di contrazione del potere dei consumatori”.
Questo fenomeno “si riflette anche sull’andamento dell’inflazione misurata sui campioni statistici piú ampi come quelli misurati dal Truflation, che di fatto vede un’inflazione ben al di sotto dei target a ridosso del 1,8%, un dato molto diverso da quello rilasciato dal BLS”.
“Inoltre – ha concluso Pascucci – ricordiamo l’andamento della disoccupazione che, per quanto storicamente basso, non é assolutamente buono, in quanto al rialzo rispetto alla sua media storica, situazione statistica che ha sempre portato ad un peggioramento del quadro macro e ad un forte ribasso dei tassi nel lungo periodo”.
Occhio anche al commento sui tassi della Bce che è arrivato dall’esponente dovish del Consiglio direttivo dell’Eurotower, il governatore di Bankitalia Fabio Panetta. Nel suo discorso proferito in occasione dell’assemblea nazionale dell’ABI (Associazione bancaria italiana), il numero uno di Palazzo Koch si è riferito proprio alla preoccupazione, segnalata dagli analisti, relativa alla dinamica dell’inflazione dei servizi, consigliando agli esperti di non essere troppo preoccupati per il trend di questa componente:
“Pur nell’attuale fase di disinflazione, taluni osservatori manifestano preoccupazioni riguardo alla dinamica dei prezzi nel comparto dei servizi, tuttora pari al 4,1 per cento”. Panetta, pur non volendo minimizzare la questione, ha invitato esperti e forse anche la stessa Lagarde a non focalizzarsi tuttavia troppo su questo aspetto, spiegando il perché della necessità di non esserne troppo intimoriti. Qualche giorno prima sempre Panetta aveva invitato l’Eurotower a gestire eventuali shock politici, riferendosi al caos esploso in Francia dopo la decisione del presidente Emmanuel Macron di indire le elezioni anticipate. Detto questo, finora la Bce – sulla scia anche dello smorzarsi delle tensioni sui mercati francesi, non è intervenuta in nessun modo per blindare Parigi, sia in attesa delle elezioni che successivamente, una volta appreso il risultato del voto.
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