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MES, dopo no Italia di Meloni monito Eurogruppo: a rischio l’Unione bancaria

16 Gennaio 2024 10:37

Il no dell’Italia di Meloni alla ratifica della riforma del MES  ” è una occasione mancata per rendere l’area euro più resiliente e anche per rafforzare il sistema dell’Unione bancaria”. Così Pierre Gramegna, direttore del MES, nella conferenza stampa al termine della riunione dell’Eurogruppo di ieri, lunedì 15 gennaio. Riunione in cui i ministri delle finanze dell’area euro si sono interrogati sul futuro del MES.

La mancata ratifica da parte dell’Italia della riforma del MES Fondo Salva Stati- ha detto anche il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe – “significa che i nostri sforzi per costruire un’Unione bancaria continuano a mancare di un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico e continuano a mancare di uno strumento potente per aiutarci ad affrontare gli effetti delle difficoltà bancarie”.

A questo punto “l’unico impegno che c’è da parte di tutti noi (dell’Eurogruppo) è quello di riflettere sulle conseguenze della decisione e tornare a questo argomento nelle prossime riunioni”, ha continuato Donohoe.

No Italia a riforma MES, Gentiloni: rammarico ma volontà di andare avanti

Il numero uno dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha messo in evidenza l’impegno a “continuare a dialogare” con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ieri ha aggiornato i ministri delle Finanze dell’area euro in merito a quanto accaduto al Parlamento italiano alla fine dello scorso anno, spiegando il no della Camera alla ratifica della riforma del MES.

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“Da parte di tutti c’è il desiderio di ascoltare attentamente Giorgetti e impegnarci con lui per capire se ci sia il modo di rafforzare la nostra Unione bancaria”, ha detto Donohoe.

Della questione aveva parlato nelle ore precedenti, sempre in occasione della riunione dell’Eurogruppo, il Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni:

Certamente c’è rammarico per le decisioni ma il Parlamento è sovrano. Penso che però il rammarico debba tradursi anche nella spinta per trovare il modo per risolvere questa questione, perché non possiamo evitare la possibilità di utilizzo di queste risorse, che peraltro è sostenuta dalla quasi totalità dei Paesi europei”.

Di conseguenza, “rispetto per le decisioni del Parlamento, rammarico ma anche volontà di andare avanti“, ha aggiunto Gentiloni.

No MES cavallo di battaglia di Meloni e Salvini

L’Italia di Meloni è stata dunque ancora strigliata per non avere ratificato la riforma del MES, con il no annunciato in via ufficiale attraverso il voto contrario espresso il mese scorso dalla Camera.

ROME, ITALY -NOVEMBER 03: Prime Minister Giorgia Meloni and Vice President and Minister of Infrastructure and Transport Matteo Salvini, hold a press conference to present the measures approved in the Council of Ministers on November 3, 2023 in Rome, Italy. (Photo by Simona Granati – Corbis/Corbis via Getty Images)

D’altronde, il no al MES è un cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia (FdI) e della Lega di Matteo Salvini, che affonda le sue radici a ben prima della formazione del governo Meloni, quando i due partiti erano all’opposizione dei governi di turno.

Fin dai primi giorni del suo governo, è stata poi la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni a ribadire la propria opposizione a questo strumento.

Famosa la frase proferita da Meloni alla fine del 2022:

“Finchè io conto qualcosa l’Italia non accederà al Mes, lo posso firmare con il sangue”.

Vero è che per un anno circa i dubbi sulla possibilità che Meloni stesse solo facendo finta di tenere il punto sono stati molti. Almeno fino a quando l’opposizione dell’Italia è stata chiaramente sbandierata dal Parlamento, con Palazzo Chigi che, poco dopo il voto nell’Aula della Camera, ha sottolineato che “la scelta del Parlamento italiano di non procedere alla ratifica può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona”.

Rimarcata dal governo Meloni la solidità delle banche italiane. Palazzo Chigi ha definito infatti il “sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente”.

Le banche italiane, secondo il governo Meloni, non avrebbero insomma bisogno di un nuovo MES, che, come ha ricordato Palazzo Chigi, “come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà”.

MES, Gramegna spiega le tre conseguenze negative della mancata ratifica

Non è tuttavia questo il punto, e a rimarcarlo ieri, dopo la riunione dell’Eurogruppo, è stato lo stesso presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, che ha sottolineato che, nell’area euro, “il sistema bancario è ben capitalizzato”. E meno male, visto che se ci fosse stata invece una crisi finanziaria in corso, senza la ratifica della riforma del MES le banche si sarebbero ritrovate con una stampella in mano.

“Fortunatamente – ha detto infatti anche il direttore del MES Pierre Gramegna – il no dell’Italia e dunque la mancata ratifica della riforma del MES si sono manifestati “in un momento in cui non abbiamo una crisi finanziaria in corso”.

Detto questo, Gramegna ha messo in evidenza alcune conseguenze negative derivanti dalla mancata ratifica della riforma.

“Ce ne sono tre che vorrei indicare . ha detto il direttore generale del Meccanismo europeo di Stabilità – La prima è che il sostegno comune per il Fondo di risoluzione unico non sarà istituito o non potrà funzionare”.

A tal proposito, di fatto, “è importante sottolineare che il sostegno è lì per proteggere i soldi dei contribuenti dall’utilizzo per il piano di salvataggio delle banche, e il MES avrebbe dovuto quasi raddoppiare la potenza di fuoco del Fondo di risoluzione unico”.

Il secondo punto che vorrei indicare in questo contesto è che gli strumenti precauzionali del MES rimarranno come sono nel Trattato esistente del 2012″, quando invece l’obiettivo dell’Europa era di “modernizzare questi strumenti e rendere il MES adatto allo scopo in un mondo che presenta nuove tipologie di crisi”. E  anche quest’ambizione è rimasta insoddisfatta.

Infine, terza conseguenza negativa è che “non saremo nemmeno in grado di attuare l’accordo che il MES ha negoziato con la Commissione quando si presenteranno nuovi programmi su cui trattare”, e questo significa che, “purtroppo, non sarà possibile beneficiare delle sinergie previste in questo accordo”.

Insomma, ha concluso Gramegna, “con questa assenza di ratifica da parte di un paese ci sono diversi problemi che rimangono in sospeso”.

Unione bancaria a rischio.  Così niente backstop a Fondo risoluzione SRF

Ma soprattutto, a rischio è quella Unione bancaria il cui completamento viene periodicamente auspicato da diversi funzionari europei, e i cui obiettivi sono stati spiegati dallo stesso Consiglio UE:

Creata nel 2014, l’Unione bancaria si prepone di soddisfare l’obiettivo di “rendere le banche europee più solide e ad accrescere la fiducia nel sistema finanziario europeo di imprese, investitori e cittadini”.

Non è un caso che la sua creazione sia avvenuta a seguito della “crisi finanziaria che ha colpito l’Europa nel 2008” e della “conseguente crisi del debito sovrano nella zona euro”.

Entrambi gli eventi, spiega il Consiglio UE, “hanno dimostrato la necessità di una migliore regolamentazione e vigilanza del settore finanziario dell’UE, in particolare nella zona euro”.

Ed è da questa consapevolezza, che “i paesi della zona euro hanno deciso di perseguire una maggiore integrazione dei rispettivi sistemi bancari”.

Progressi nella realizzazione di questo ambizioso disegno dell’Unione bancaria sono stati fatti.

Ma con il suo no l’Italia ha di fatto bloccato il processo per una piena realizzazione del progetto.

Vero è che, l’Unione bancaria manca comunque di uno dei tre pilastri considerati imprescindibili per il suo completamento.

Oltre alla creazione di un meccanismo singolo di supervisione e di un meccanismo singolo di risoluzione, all’appello manca di fatto il terzo pilastro, rappresentato dalla messa a punto di uno schema unico di garanzia sui depositi.

Lasciando perdere tuttavia per un momento questa grave lacuna, con il suo no alla ratifica della riforma del MES l’Italia ha praticamente privato l’Europa dell’occasione di rafforzare il pilastro del meccanismo unico di risoluzione, nello specifico il Fondo di risoluzione unico Single Resolution Fund (SRF).

Un fondo, che “ha la funzione primaria di finanziare l’applicazione delle misure di risoluzione, per esempio, attraverso la concessione di prestiti o il rilascio di garanzie”, come spiega la Banca d’Italia, nel capitolo dedicato alla gestione delle crisi bancarie.

La riforma del MES avrebbe di fatto attribuito al MES una nuova funzione, come rimarca ancora Bankitalia:

quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie”.

Fortunatamente, per ora, il Fondo è ben capitalizzato, grazie ai finanziamenti iniettati dal sistema bancario.

Inoltre, il settore bancario dell’intera Unione europea appare in buone condizioni, come è emerso dagli ultimi risultati degli stress test lanciati dall’Autorità bancaria europea.

Rimane contraddizione tra parole Giorgetti e tecnici Mef

Ma certo quel no dell’Italia pesa come un macigno su tutta l’Europa, in quanto sempre Palazzo Koch ha ricordato che “con la riforma, che consente al MES di fungere da backstop del Fondo di risoluzione unico, il MES contribuirebbe anche a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilievo sistemico”.

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Il no al MES è stato motivato alla fine di dicembre dallo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, attaccato da più parti per quella contraddizione emersa tra quanto aveva scritto lo stesso suo ministero e la decisione dell’Italia di dire no alla riforma del Meccanismo europea di Stabilità.

Anche Giorgetti ha fatto leva sulla solidità delle banche italiane:

“Noi abbiamo il sistema bancario più solido in Europa”, ha detto il ministro, parlando alla Commissione bilancio della Camera.

Inoltre, “anche grazie a delle leggi tanto criticate e denigrate la ricapitalizzazione e la patrimonializzazione delle banche italiane è in questo momento eccezionale e quindi non credo che abbiano conseguenze”.

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Peccato che i tecnici del suo stesso Ministero avessero rimarcato tra le altre che l’approvazione della riforma avrebbe potuto avere ripercussioni positive addirittura sul rating dell’Italia che, ogni volta che ci si avvicina all’aggiornamento dei giudizi da parte delle rispettive agenzie (Moody’s, Standard&Poor’s, Fitch in primis) diventa fattore di ansia.

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La contraddizione rimane, visto che i tecnici del Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) avevano chiaramente smentito l’assunto secondo cui la ratifica della riforma del MES avrebbe rischiato di spingere l’Italia verso la ristrutturazione del debito. O magari aumentare il rischio che i mercati percepiscono sui BTP.

Il Mef aveva detto anzi il contrario, spiegando che “rispetto alle prospettive degli altri Stati membri azionisti del MES l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati”.

In tutto questo, l’appello del ministro Giorgetti, nel corso della riunione dell’Eurogruppo di ieri, a pensare a un piano B per attuare la riforma del MES, in quanto il Fondo salva stati sarebbe “obsoleto” – definizione data dalla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni – è caduto nel vuoto.

“Il muro, però, sembra invalicabile – ha riportato un articolo de La Stampa, citando quanto detto ieri sera una fonte che ha assistito alla riunione dell’Eurogruppo:

“Francamente non vedo la disponibilità a riaprire le trattative dopo che 19 Paesi hanno già ratificato la riforma”, ha detto la fonte.  Per quanto riguarda il presunto effetto stigma che la ratifica della riforma MES avrebbe avuto sull’Italia, vale la pena di riprendere quanto ha detto la stessa Bankitalia, rispondendo alle domande che martellano nella testa di diversi italiani.

Tra queste, alla domanda se sia vero che il MES non serve all’Italia e che anzi addirittura la danneggia”, la Banca d’Italia ha così risposto:

“Il MES non è un organismo inutile e, certo, non danneggia il nostro paese; serve all’Italia tanto quanto a ciascun altro paese dell’area dell’euro”. Piuttosto, “il MES attenua i rischi di contagio connessi con eventuali crisi di un paese dell’area dell’euro, rischi che in passato si sono materializzati e hanno avuto gravi ripercussioni sul nostro paese (come è accaduto, ad esempio, a partire dal 2010 con la crisi della Grecia)”.

Di fatto, “la presenza del MES riduce la probabilità di un default sovrano, almeno per i paesi le cui difficoltà sono temporanee e possono essere risolte con prestiti o linee di credito (per gli altri non cambia nulla)”. Tra l’altro, “con la riforma, che consente al MES di fungere da backstop del Fondo di risoluzione unico, il MES contribuirebbe anche a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilievo sistemico”.

E “per quanto riguarda specificamente l’Italia, il rifinanziamento dell’elevato debito pubblico del nostro paese può avvenire in maniera più ordinata e a costi più contenuti se le condizioni sui mercati finanziari restano distese”.