Bce: countdown per l’ultimo taglio tassi del 2024 con rebus Trump e Germania
Manca esattamente un mese alla prossima riunione della Bce, l’ultima del 2024. Rispetto al taglio di ottobre, lo scenario è già mutato nuovamente, con l’elezione di Trump, la crisi politica tedesca e una manciata di dati macro in più (e altri ne arriveranno prima del 12 dicembre). Ma l’attenzione è già rivolta più in là, a quello che succederà nel 2025. In particolare, gli operatori si interrogano sulla traiettoria dei tassi che Lagarde e colleghi decideranno di seguire e sul livello del tasso neutrale; qualche indicazione in tal senso è giunta nelle ultime ore da alcuni membri del Consiglio direttivo.
Le attese sulle prossime mosse della Bce
La Bce ha già tagliato i tassi tre volte quest’anno (a giugno, settembre e ottobre), abbassando il tasso sui depositi (il riferimento per la politica monetaria) dal 4% al 3,25%.
In vista della riunione del 12 dicembre, le previsioni implicite negli swap overnight danno per certo un altro intervento di almeno 25 punti base, ma negli ultimi giorni stanno crescendo anche le ipotesi di una riduzione maggiore, di mezzo punto percentuale.
Nelle cinque riunioni da qui a giugno 2025, i trader scommettono su altrettante mosse da 25 bp ciascuna, che porterebbero il tasso sui depositi dall’attuale 3,25% al 2,0%.
I pro e contro dei nuovi tagli dei tassi
Diversi funzionari della Bce hanno aperto ad un taglio a dicembre, pur senza sbilanciarsi sul ritmo e sull’entità degli interventi.
Da un lato, l’ottimismo sul processo disinflazionistico “ben avviato” e le preoccupazioni per il rallentamento dell’economia nella regione dell’euro fanno propendere per un allentamento monetario piuttosto rapido.
Dall’altro, gli ultimi dati macro hanno evidenziato una crescita e una risalita dell’inflazione entrambe superiori alle attese, suggerendo una certa cautela e supportando la visione dei “falchi” della Bce, contrari ad una riduzione troppo frettolosa del costo del denaro.
Il punto di vista del funzionario Bce Rehn
Come sottolineato dal membro finlandese del Consiglio direttivo, Olli Rehn, la discesa dell’inflazione è “sulla buona strada” e le prospettive di crescita “sembrano indebolirsi”. Secondo il capo della banca centrale finlandese, “ciò rafforza la causa per un taglio dei tassi a dicembre“.
Rehn ha eluso una domanda su un’eventuale mossa da mezzo punto nella prossima riunione, sostenendo che la Bce deve avere “libertà di azione”. Guardando più avanti, ha affermato che la direzione dei tassi è chiara, “ma la velocità e l’entità dipenderanno dalle informazioni in arrivo e dalla nostra analisi”.
Tuttavia, ha anche aggiunto che la Bce “potrebbe abbandonare il territorio restrittivo nella primavera del prossimo anno”. Supponendo tagli da 25 bp in ogni riunione, a marzo il tasso sui depositi si attesterebbe al 2,5% e ad aprile al 2,25%. Le parole di Rehn lasciano dunque intendere che il tasso neutrale, nell’idea della Bce, potrebbe essere più elevato rispetto al 2,0% ipotizzato dai mercati.
Allo stesso tempo, il funzionario greco della Bce, Yannis Stournaras, ha affermato che il costo del denaro potrebbe “probabilmente avvicinarsi al 2% intorno al prossimo settembre”.
L’ombra di Trump e di nuovi dazi incombe su Bce
In ogni caso, la Bce dovrà fare i conti con alcuni elementi di incertezza emersi nelle ultime settimane. Innanzitutto, la netta vittoria elettorale di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, che lascia presagire un aumento delle tariffe sulle importazioni statunitensi.
“Per quanto riguarda la tempistica dell’effetto dei dazi, sarà a medio-lungo termine, ma la politica monetaria può reagire solo agli sviluppi economici che conosciamo, vediamo e sentiamo”, ha affermato Rehn, aggiungendo che “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora è un’altra guerra commerciale”.
Parlando separatamente a Vienna, il suo omologo austriaco Robert Holzmann ha affermato che la Bce dovrà rispondere se le politiche di Trump dovessero portare a un’inflazione più rapida del previsto negli Stati Uniti e ad una reazione della Fed (un allentamento monetario meno rapido), spingendo potenzialmente il tasso di cambio euro-dollaro verso la parità.
Secondo gli economisti di Goldman Sachs, le ricadute economiche della presidenza di Donald Trump porteranno la Bce a tagliare i tassi di interesse di ulteriori 25 punti base a luglio 2025, all’1,75%. “La nostra analisi indica un impatto dello 0,5% sul PIL reale dell’area euro, dallo 0,6% in Germania allo 0,3% in Italia”. Atteso invece un effetto limitato sull’inflazione europea, complice un’economia più debole che limiterebbe le pressioni sui prezzi.
Cambio euro/dollaro verso la parità
Come accennato, uno dei mercati maggiormente sotto osservazione è il forex. Molti strategist (tra cui Barclays, Deutsche Bank e Nomura International) hanno tagliato le loro previsioni sull’euro a cavallo delle elezioni statunitensi e alcuni, come Pictet Wealth Management, hanno cominciato a ipotizzare un cambio con il dollaro vicino alla parità. Mizuho International Plc prevede un euro a quota $1,01 entro marzo, mentre ING Groep stima che questo livello possa essere raggiunto entro l’inizio del 2026.
Anche per le banche di Wall Street che non hanno rivisto le proiezioni, la parità è uno scenario da tenere in considerazione. Goldman Sachs non esclude nemmeno che la moneta comune venga scambiata al di sotto del dollaro.
Ricordiamo che, prima del voto, il futuro presidente ha minacciato dazi del 60% su tutti i beni provenienti dalla Cina e del 10-20% sulle importazioni da altri paesi. Questo rischia di spingere l’inflazione negli Usa e rallentare l’allentamento della Fed, ampliando la divergenza con la Bce e incidendo sul tasso di cambio, anche per via del deterioramento della fiducia in Europa.
Germania, elezioni il 23 febbraio e calo indice Zew
A tutto ciò si somma la delicata situazione politica ed economica della Germania. I socialdemocratici del cancelliere tedesco Olaf Scholz e i legislatori dell’opposizione hanno raggiunto un accordo per tenere elezioni anticipate il 23 febbraio, dopo il voto di fiducia del 16 dicembre che dovrebbe aprire la strada verso le urne.
La prima economia europea è precipitata nell’incertezza politica la scorsa settimana, dopo che Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze Christian Lindner, rompendo la coalizione di governo al culmine di una disputa sui finanziamenti all’Ucraina.
La crisi politica si è aperta in un momento difficile per l’economia tedesca, frenata soprattutto dalla debolezza del suo settore manifatturiero e dalla avversità dei suoi produttori automobilistici, in un contesto di domanda estera in calo, tassi elevati e altri problemi strutturali. Alcuni economisti prevedono una nuova contrazione del Pil nel 2024, la seconda consecutiva per la Germania.
Oggi, intanto, l’istituto Zew ha diffuso l’aggiornamento mensile sul sentiment degli investitori istituzionali. L’indice ha segnato un peggioramento inaspettato a novembre, riducendosi a 7,4 punti dai 13,1 del mese precedente. Gli economisti avevano previsto un aumento a 13,2 punti. In calo anche l’indicatore sulla situazione corrente (da 86,9 a 91,4 punti, consensus 85).