Dazi Trump: Italia rischia un conto salato, fino a 7 mld in più. Occhio poi a Istat su Pil
Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Le elezioni del 5 novembre ci hanno consegnato un risultato chiaro sin dall’inizio, spazzando via quella incertezza che arrivava dai sondaggi e che aveva preceduto il duello tra il repubblicano, ex presidente Usa e la Dem Kamala Harris. Un risultato che ha messo nuove ali a Wall Street (come dimostra il 49esimo record dell’anno toccato ieri dall’S&P500) ma ha visto invece l’Europa mostrare una certa cautela dopo gli annunci elettorali di Trump, soprattutto in tema dazi. Un tema, quello dei dazi, che riguarda anche le imprese italiane che lo guardano con un occhio attento.
Durante i comizi elettorali il tycoon ha, infatti, promesso che applicherà un dazio del 10% su tutte le importazioni americane e del 60% per le merci provenienti dalla Cina.
La narrazione a sostegno di questa misura? Proteggere le industrie nazionali e ridurre le tasse sui redditi da lavoro, sostituendo queste entrate con quelle legati ai dazi. Una strada che Prometeia in una analisi dal titolo “l’impatto sull’Italia della proposta di Trump sui dazi Usa” a cura di Claudio Colacurcio e Carmela Di Terlizzi definisce impraticabile per diversi motivi. “Difficile, per esempio, che gli oltre 2 mila miliardi di dollari esportati dagli Stati Uniti (e quindi produzione made in USA) non subirebbero ritorsioni dai partner esteri vessati dall’aumento al 10% di dazi che oggi pesano appena l’1.5% dell’import nel mercato – chiariscono gli esperti -. Controproducente poi l’effetto sulla competitività delle stesse aziende americane che importano circa 1.5 mila miliardi sotto forma di beni d’investimento e intermedi per realizzare i propri prodotti”.
Il tutto in uno scenario in cui l’economia italiana è tornata sotto i riflettori dopo alcuni recenti dati in chiaroscuro. Lo rimarca oggi anche l’Istat, presentando la nota sull’andamento settembre-ottobre per l’economia tricolore.
“ Nel terzo trimestre, il livello del Pil italiano, in base alla stima preliminare, è rimasto stazionario rispetto ai tre mesi precedenti, registrando un risultato peggiore rispetto ai principali partner europei e alla media dell’area euro“, scrive l’istituto di statistica.
Il peso dei dazi per Italia e Germania
Tornerà ad allungarsi l’ombra della cosiddetta “guerra commerciale”, con Paesi come la Germania e Italia, con una forte vocazione alle esportazioni che tremano più di altri in Europa. Tenendo in considerazione il fatto che il 2024 è stato già un anno a luci ed ombre con le crescenti tensioni geopolitiche hanno condizionato lo scenario macroeconomico internazionale, penalizzando l’evoluzione degli scambi commerciali e, di riflesso, il ciclo manifatturiero, soprattutto europeo.
“I dati di export dell’Italia risentono della debolezza degli scambi intra-UE, e in particolare del ridimensionamento della domanda tedesca. Nei primi 7 mesi del 2024 si è osservato un calo intenso delle esportazioni Italia-Germania del settore automotive (-19% tendenziale, a valori correnti) e nei settori della filiera metalmeccanica (Metallurgia -15%, Prodotti in metallo -9,8%, che risentono però di un trend più marcato di rientro dei prezzi)”, si legge nel rapporto analisi dei Settori Industrial realizzato da Intesa Sanpaolo con Prometeia.
I costi per l’Italia
Ma il nuovo protezionismo americano targato Trump potrebbe costare caro all’Italia, potrebbe andare da oltre 4 a oltre 7 miliardi. Da ormai un biennio, lgli Stati Uniti sono stabilmente il secondo mercato di esportazione per l’Italia dopo la Germania. Da qui la necessità per Prometeia di valutare nuovi scenari: lo scenario A simula un aumento di 10 punti per solo quei prodotti che già oggi sono sottoposti a dazi (circa 3000 codice prodotto del Sistema Armonizzato a sei cifre) e il mantenimento di dazio zero per quelli che sono invece esenti. Lo Scenario B simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti per tutti gli importati dagli Stati Uniti.
“Partendo da un valore di dazi fronteggiati pari a quasi 2 miliardi di dollari nel 2023 (il 2.5% di quanto esportato negli Stati Uniti), per l’Italia il costo aggiuntivo del nuovo protezionismo americano sarebbe di oltre 4 miliardi nel primo scenario (da 2 a 6 miliardi) e oltre 7 (da 2 a 9) nel caso di aumenti generalizzati. In termini assoluti gli impatti sarebbero superiori per la Germania, oggi primo esportatore europeo, e inferiori per Francia e Spagna”, spiegano gli esperti di Prometeia.
Questione settoriale
Ma bisogna osservare lo scenario anche da un punto di vista settoriale, con gli impatti per l’Italia riflettono soprattutto la specializzazione dell’export nazionale sul mercato statunitense, seppure con intensità differenziata nei due diversi scenari.
Secondo l’analisi di Prometeia nel caso di aumenti limitati ai prodotti già colpiti, il sistema moda, già oggi insieme all’agroalimentare uno dei più esposti nell’ambito del made in Italy, pagherebbe il costo maggiore. Nell’ipotesi di un aumento generalizzato sarebbe invece la meccanica a subire più intensamente le conseguenze del nuovo protezionismo. Questo andrebbe infatti a interessare anche i beni a media e alta intensità tecnologica (analogo il caso della farmaceutica) che proprio perché funzionali alle produzioni domestiche sono oggi meno esposti al tema delle tariffe.
Istat e la frase sul Pil
Ma non c’è solo il contesto internazionale ma anche quello nazionale messo in evidenza oggi dall’Istat che ha presentato la nota sull’andamento settembre-ottobre per l’economia tricolore.
“ Nel terzo trimestre, il livello del Pil italiano, in base alla stima preliminare, è rimasto stazionario rispetto ai tre mesi precedenti, registrando un risultato peggiore rispetto ai principali partner europei e alla media dell’area euro“, ha messo in evidenza l’istituto di statistica.
Con un focus “dipendenza e rilevanza dell’Italia nelle relazioni commerciali internazionali“, che torna a guardare fuori dai confini nazionali. In particolare, l’Istat ricorda come “lo scenario internazionale resta caratterizzato da incertezza e crescita economica stabile ma moderata. In Europa l’attività economica mostra un dinamismo inferiore ai principali partner internazionali anche a causa delle difficoltà dell’economia tedesca”.
Trattandosi del principale partner commerciale dell’Italia, spiega la nota, la performance negativa dell’economia tedesca ha costituito nel 2023 un fattore di freno per la crescita italiana, stimato dall’Istat 2 in 1 punto percentuale di export e 0,2 punti percentuali di Pil. Si tratta di un impatto significativo, poiché rappresenta un quarto dell’effetto negativo sul Pil italiano complessivamente attribuibile al rallentamento del ciclo internazionale (stimato in -0,8 p.p.).