Europa fa i conti con Trump 2.0, Germania osservata speciale con crisi politica
Il prossimo ritorno di Trump alla Casa Bianca, dopo la schiacciante vittoria ottenuta nelle elezioni presidenziali americane, ha innescato fin da subito diverse ripercussioni sui mercati finanziari. Non solo Wall Street, ma anche l’Europa è ovviamente interessata alle future mosse politiche ed economiche della prima superpotenza mondiale e gli investitori si stanno riposizionando per trarre beneficio dal nuovo contesto. Il tutto, con la prospettiva di una divergenza sempre più marcata fra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente (e tra Fed e Bce), quest’ultimo alle prese con una crescita zoppicante e una stabilità politica sempre più fragile, ulteriormente a rischio dopo lo scoppio della crisi politica tedesca.
Banche spagnole frenate da effetto Trump
Il settore bancario europeo è stato uno dei primi a fare le spese dell’esito elettorale statunitense, malgrado i risultati resilienti di diversi istituti, in primis Unicredit.
Come sottolineato da Gabriel Debach, market analyst di eToro, “le banche spagnole, in particolare, sono state tra le più colpite a causa dell’effetto Messico: istituti come BBVA e Banco Santander generano fino al 50% dei loro profitti dal mercato messicano.”
Gli analisti di Barclays e Citigroup hanno messo in guardia sul potenziale impatto negativo di una presidenza Trump per BBVA, che metterebbe a rischio anche la potenziale acquisizione di Banco Sabadell. Per Barclays, BBVA soffrirà di una nuova amministrazione Trump date le sue “precedenti politiche in materia di immigrazione e tariffe”. Ieri il peso messicano è sceso di circa il 3% nei confronti del dollaro, salvo poi recuperare terreno nel corso della seduta e chiudere sostanzialmente invariato.
Euro/dollaro in calo e possibile divergenza Bce-Fed
Ma non sono solo le valute dei Paesi emergenti a temere il rafforzamento del dollaro con la rielezione di Trump. Anche l’euro ieri si è notevolmente deprezzato nei confronti del biglietto verde (cambio EUR/USD in area 1,075). “Le preoccupazioni si concentrano ora su una fragile economia europea, minacciata da una possibile guerra tariffaria e da una divergenza nelle politiche monetarie”, afferma Debach.
“La Bce potrebbe trovarsi costretta a sostenere maggiormente l’economia con tagli dei tassi, mentre la Fed potrebbe dover contenere spinte inflazionistiche causate da una politica fiscale troppo espansiva”.
A tal proposito, sarà da seguire con attenzione la riunione odierna della banca centrale americana. Non sembra in discussione un taglio dei tassi di 25 punti base, ma i mercati si interrogano sulle prossime mosse dell’istituto e aumentano le scommesse su una pausa a dicembre e meno riduzioni nel 2025.
L’impatto del Trump bis su valute e titoli di Stato
Una delle principali preoccupazioni legate al nuovo mandato di Trump riguarda l’incremento della spesa pubblica, con conseguente ampliamento del deficit e un impatto inflattivo sull’economia. Questo potrebbe complicare il compito della Fed, proprio ora che sembrava in procinto di vincere la lotta per riportare la crescita dei prezzi verso il target del 2% nel medio termine.
Per contro, la Bce non può permettersi di tentennare a lungo con i tagli dei tassi, se non vuole correre il rischio di frenare eccessivamente l’economia. Nei prossimi mesi potremmo dunque ritrovarci con una Fed ancora restrittiva e una Bce più accomodante, scenario che ha portato ING a rivedere al ribasso le stime sul cambio EUR/USD nell’intervallo 1,00-1,05 con rischi di ribasso massimi intorno all’inizio del 2026.
La divergenza tra politiche monetarie potrebbe anche ampliare il divario fra i rendimenti del mercato obbligazionario. Un primo assaggio si è avuto ieri con l’impennata di ieri del rendimento dei Treasury a 10 anni sopra il 4,4% a cui non ha fatto seguito un movimento analogo in Europa.
Come evidenziato da Mps Capital Services, “in area euro il movimento è stato controbilanciato dalle considerazioni macro (rischio tariffe USA, impatto sulla crescita, tagli BCE) e dal conseguente risk-off sull’azionario”, ma a tutto ciò “si è aggiunta la notizia del collasso della coalizione governativa tedesca”.
Crisi di governo in Germania richiede risposta economica
Ieri sera, al culmine di una lunga serie di crescenti tensioni all’interno del governo tedesco, il cancelliere Olaf Scholz ha licenziato il ministro delle finanze Christian Lindner e di conseguenza il partito di Lindner, l’FDP, ha lasciato l’esecutivo. Scholz ha annunciato per il 15 gennaio un voto di fiducia al parlamento tedesco. La probabile sconfitta dovrebbe aprire la strada verso le elezioni anticipate, le prime in quasi 20 anni, individuate dallo stesso Scholz per la fine di marzo.
Secondo Carsten Brzeski, Global Head of Macro presso ING, il crollo del governo tedesco potrebbe anche rappresentare “una benedizione”, viste “le infinite tensioni e il chiaro disaccordo su come far uscire l’economia tedesca dall’attuale stato di stagnazione e debolezza strutturale”. La campagna elettorale potrebbe spingere i partiti politici ad affrontare più approfonditamente la questione degli investimenti finanziati dal debito e a fornire risposte concrete sul rilancio dell’economia tedesca, alle prese con una serie di dati macro preoccupanti da diversi trimestri.
Malgrado la recente sorpresa positiva dal Pil, che ha scansato la temuta recessione tecnica, l’attività manifatturiera tedesca continua a fare i conti con una persistente debolezza. Inoltre, le esportazioni continuano a soffrire la minore domanda cinese (soprattutto nel settore automobilistico) e sono minacciate da possibili nuovi dazi con la rielezione di Trump, dato che l’export verso gli Usa pesa all’incirca per il 4% del Pil tedesco.