Notizie Notizie Italia Tassi Fed, l’Fmi risale in cattedra: non tagli almeno fino a questo preciso momento

Tassi Fed, l’Fmi risale in cattedra: non tagli almeno fino a questo preciso momento

28 Giugno 2024 09:48

L’Fmi torna a salire in cattedra, invitando la Fed di Jerome Powell a non tagliare i tassi sui fed funds Usa “almeno” fino alla fine dell’anno.

L’alt è arrivato per voce della stessa direttrice del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva che, in un incontro con la stampa avvenuto nella giornata di ieri, ha sottolineato che l’Fmi “riconosce la presenza di rischi al rialzo importanti”, e che, “considerati questi rischi, concordiamo sul fatto che la Fed dovrebbe lasciare invariati i tassi ai livelli attuali almeno fino alla fine del 2024″.

Da segnalare che è dal luglio del 2023 che la Federal Reserve ha lasciato i tassi fermi al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%.

Fmi, il punto è sempre quello: rischio al rialzo per l’inflazione Usa

Nello spiegare la sua posizione l’istituzione di Washington ha ricordato che gli Stati Uniti sono l’unica economia del G20 che assiste a una crescita del Pil superiore ai livelli precedenti alla pandemia Covid-19, e che un ritmo di espansione “robusto” comporta continui rischi al rialzo per l’inflazione.

Georgieva, ha riportato un articolo della CNBC,  ha motivato la solidità economica degli Stati Uniti, che si è manifestata anche nel 2022 e nel 2023 – stessi anni in cui la banca centrale ha alzato ripetutamente i tassi – con l’offerta di lavoro e con i guadagni della produttività.

E’ dunque necessario, ha auspicato, che ci siano “chiari prove” del fatto che l’inflazione stia scendendo al target del 2%, prima che la Fed tagli i tassi.

Allo stesso tempo, il Fondo ha ammesso di essere “più ottimista” sulla traiettoria al ribasso dell’inflazione degli Stati Uniti, grazie ai recenti dati macro, che hanno indicato un rallentamento del mercato del lavoro e un indebolimento della domanda dei consumatori.

L’attenti alla Fed lanciato da Georgieva si basa sulle stesse stime che l’Fmi ha formulato sul trend dell’indice PCE core – il trend del parametro preferito da Powell & Co. per valutare il trend dell’inflazione, che sarà tra l’altro reso noto proprio nella giornata di oggi – : stime che pronosticano un PCE core attorno al 2,5% alla fine del 2024 e attorno al target della Fed del 2% entro la metà del 2025, prima dunque delle proiezioni della stessa banca centrale Usa, che prevede che il proprio obiettivo di inflazione sarà raggiunto soltanto nel 2026.

Ma così l’Fmi lega ulteriormente le mani anche alla Bce

C’è poi il fattore incertezza, che la direttrice dell’Fmi ha ricordato: “Desidero mettere in evidenza che una lezione che abbiamo appreso negli ultimi anni è che ci troviamo in un momento di maggiore incertezza. E che questa incertezza è anche davanti a noi. Siamo in ogni caso fiduciosi sul fatto che la Fed attraverserà questa fase, certamente con la stessa prudenza che ha dimostrato negli ultimi anni”.

La cautela della Fed di cui ha parlato Georgieva è dimostrata dai fatti.

A fronte di una Bce di Christine Lagarde che, lo scorso 6 giugno, ha tagliato i tassi dell’area euro per la prima volta dall’era Draghi, la Federal Reserve ha continuato a rimanere non solo ferma, ma ha anche stracciato le proprie attese sui tagli dei tassi precedentemente attesi, come ha dimostrato l’aggiornamento del suo plot.

Il punto è che l’outlook sfornato dalla Fed ha legato ulteriormente le mani alla Bce di Lagarde che, per quanto a voce reclami l’indipendenza della sua politica monetaria da quella della Fed, è obbligata a tenere conto delle mosse di Powell, a causa del rischio dell’inflazione importata, che salirebbe nel caso in cui, per effetto della divergenza tra i tassi Usa e quelli dell’Eurozona, l’euro accusasse un dietrofront troppo sostenuto nei confronti del dollaro.

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Cosa è emerso dal Pil Usa. Il commento

Ma questa solidità dell’economia Usa di cui parla l’Fmi è davvero avallata dai dati? Proprio ieri  è stato pubblicato il dato relativo al Pil Usa, che è stato così commentato da Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm:

La terza lettura del Pil del primo trimestre degli Stati Uniti è stata dell’1,4% annualizzato secondo i dati rivisti, in rialzo rispetto alle previsioni dell’1,3%, ma inferiore alla stima del 3,4% del quarto trimestre del 2023. La tiepidità di questa crescita continua a far paventare un rallentamento economico di respiro più ampio”.

Flax ha spiegato che la crescita del Pil reale è stata sostenuto “principalmente dall’incremento della spesa dei consumatori, degli investimenti fissi residenziali e non residenziali e della spesa delle amministrazioni statali e locali”, aggiungendo che, “in prospettiva, le previsioni indicano un potenziale aumento del PIL nel secondo trimestre, con stime che suggeriscono tassi di crescita del 3% o più, in linea con la performance solida registrata nella seconda metà del 2023″.

Detto questo, “diversi fattori potrebbero ridimensionare le aspettative per il resto dell’anno, tra cui lo stato dell’inflazione, i tassi di interesse alti e le imminenti elezioni presidenziali, tutti elementi che potrebbero costringere le imprese ad adottare un atteggiamento prudente nei confronti di nuovi investimenti”.

A questo punto, indicazioni più chiare arriveranno nelle prossime ore con la pubblicazione del PCE core, che gli economisti stimano in netto miglioramento, dopo quanto emerso di recente dall’indice dei prezzi al consumo relativo al mese di maggio.

L’Fmi nel frattempo continua a dispensare consigli di politica monetaria, che spesso si scontrano con i desideri del mercato. Sotto i riflettori anche le recenti dichiarazioni sui conti pubblici che sono appena arrivate per l’Italia e le nuove proiezioni di crescita.

Sempre il Fondo Monetario Internazionale aveva inoltre già invitato le banche centrali a non affrettarsi a tagliare i tassi.

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