Notizie Notizie Italia Governo Meloni Fmi bacchetta l’Italia di Meloni su maxi debito. Basta Superbonus e tagli cuneo fiscale. E in pensione più tardi

Fmi bacchetta l’Italia di Meloni su maxi debito. Basta Superbonus e tagli cuneo fiscale. E in pensione più tardi

Pubblicato 21 Maggio 2024 Aggiornato 22 Maggio 2024 16:26

L’Fmi è tornato a lanciare un monito all’Italia, invitando il governo Meloni ad agire in misura più incisiva per ridurre il debito e il deficit del paese, in un momento storico in cui il destino dell’economia mondiale è ostaggio delle tensioni geopolitiche e dei venti di guerra.

Venti di guerra che, a dispetto dei processi disinflazionistici in corso che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo alle banche centrali (ma non a tutte), rischiano di innescare nuove fiammate dei prezzi a causa di altrettanti nuovi shock dell’offerta. E, dunque, di riportare il mondo a essere di nuovo alle prese con la minaccia dell’inflazione, dunque di tassi di interesse più alti e, di conseguenza, di costi di servizio del debito più alti.

I nuovi avvertimenti sono arrivati con la pubblicazione dell’esito della missione in Italia lanciata dall’Fmi per monitorare le condizioni economiche e finanziarie del paese, effettuata in linea con quanto previsto dall’Articolo IV dello statuto del Fondo Monetario Internazionale.

La missione, guidata da Rachel van Elkan, è stata lanciata il 6 maggio, giungendo alla sua conclusione ieri, lunedì 20 maggio, giorno in cui l’Fmi ha pubblicato le sue conclusioni.

Fmi sull’Italia: alert debito, dito puntato contro il Superbonus

Il quadro emerso è quello di una economia che si è ripresa in modo significativo dalla crisi esplosa nel mondo con la pandemia Covid-19, ma anche di un paese che continua a essere fortemente indebitato e alle prese con conti pubblici che i governi di turno fanno puntualmente fatica a riuscire a risanare.

Washington ha puntato il dito contro diverse misure che sono state annunciate in Italia nei periodi di crisi e che ora, a suo avviso, non hanno più ragione di esistere, in quanto “inefficienti e temporanee”:

in primis contro il Superbonus, considerato in modo ormai ufficiale alla stregua di una vera e propria maledizione per il governo Meloni, tanto che di questa misura si è parlato anche degli effetti che rischierebbe di avere sui tassi dei BTP e dunque sullo spread BTP-Bund, per ora sotto controllo.

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Tra gli altri appelli rivolti all’Italia lanciati dall’Fmi, anche quello di focalizzarsi sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (PNRR), considerato da molti vero motore di crescita (e forse il solo?) per il Pil dell’Italia.

Il rafforzamento della produttività è stato definito inoltre “urgente”, in un contesto in cui l’economia italiana fa fronte a rischi al ribasso.

Le banche italiane sono state definite nel complesso “solide”, ma l’Fmi ha avvertito anche che “i rischi che incombono sulla stabilità potrebbero aumentare, in una fase in cui i cicli di restrizione monetaria giungono a conclusione e in cui si smorzano gli effetti delle misure eccezionali di sostegno” all’economia varate negli ultimi anni, prima per rispondere all’emergenza pandemica del Covid-19, poi per tamponare gli effetti della crisi energetica esplosa con la guerra tra la Russia e l’Ucraina, nel 2022, sui conti delle famiglie e delle aziende.

Tra le ricette auspicate dal Fondo, lo stop al Superbonus e l’innalzamento dell’età di pensionamento, ma anche lo stop ai tagli del cuneo fiscale, ovvero delle tasse sul lavoro.

Tutte prescrizioni, sicuramente quella relativa all’età pensionabile, che non avranno fatto piacere a molti italiani.

Fmi auspica aggiustamento conti più veloce di quanto pianificato

Ma è questa la strada che l’Italia di Meloni, secondo il Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe prendere, per non impantanarsi ulteriormente nelle sabbie mobili del deficit e del debito pubblico.

Un aggiustamento dei conti più veloce di quanto pianificato è giustificato al fine di abbassare il rapporto debito-Pil con grande fiducia, e per ridurre i rischi legati al rifinanziamento” dei debiti, si legge nel testo relativo alle conclusioni della missione del Fondo in Italia.

Sono stati ricordati gli effetti del Superbonus che, ha avvertito l’Fmi, “aumenteranno ulteriormente il debito nei prossimi anni”.

L’Fmi ha anche fissato la soglia ‘ideale’ a cui dovrebbe tendere l’avanzo primario dell’Italia.

“Sebbene il deficit primario sia diminuito, la differenza con quel surplus primario dell’1,75% (rispetto al Pil) che ha prevalso nel periodo precedente la pandemia rimane molto ampia, a causa della lenta rimozione delle misure temporanee varate nei momenti di crisi, nonostante la posizione di forza ciclica dell’economia” italiana, ha scritto l’Fmi, poi sentenziando:

“Per assicurarsi una flessione graduale del debito-Pil, sarebbe necessario un avanzo primario decisamente più alto, vicino al 3% del Pil”.

Come fare? Secondo Washington riuscire a raggiungere un livello vicino a quel target entro il 2025-26 può essere possibile, “con un costo modesto per la crescita, ritirando in modo più veloce misure inefficienti o temporanee”:

agire dunque dicendo “stop ai sussidi elargiti per la ristrutturazione degli immobili e alle misure varate per compensare l’inflazione elevata”, a fronte di un’attività economica comunque “protetta dall’incremento delle spese e delle riforme legate all’attuazione del PNRR“.

Superbonus? Stimolo alla crescita piuttosto limitato in relazione alle spese

A proposito del Superbonus, che ha costretto tra l’altro il governo Meloni a presentare un Def con tanto di sorpresa negativa del debito, il Fondo Monetario internazionale ha tra l’altro ridimensionato quel valore salvifico che il M5S continua a riconoscere alla misura da esso promossa.

Lo stimolo alla crescita provenuto dai crediti di imposta dei bonus edilizi è stato probabilmente alquanto limitato rispetto alla dimensione delle risorse fiscali che sono state spese, a causa della fuga verso le importazioni, degli sconti significativi sulle fatture, dell’aumento dei prezzi nel settore dell’edilizia, dello spazio che è stato tolto ad altri investimenti”. E, ancora, per “l’utilizzo improprio dei fondi pubblici”.

Inoltre, lo stesso “contributo (del Superbonus) all’attività reale è diminuito nel corso del tempo”.

Ma l’Fmi non ha messo in evidenza soltanto le inefficienze del Superbonus.

Nel mirino anche “altre misure di sostegno attuali e del passato, che includono i prestiti con le garanzie pubbliche, le misure per compensare il caro bollette, i trasferimenti effettuati durante il periodo della pandemia”:

tutti provvedimenti che sono riusciti a supportare la ripresa dell’economia italiana “nonostante le restrizioni monetarie” avviate dalla Bce, ma che hanno deteriorato le finanze pubbliche del paese.

L’Fmi consiglia stop taglio cuneo e aumento età pensionabile

I consigli sfornati dall’Fmi non sono finiti qui. Per l’istituzione, oltre il breve termine, per quanto necessario, non è sufficiente che l’Italia garantisca che l’avanzo primario si avvicini al target del 3% del Pil.

“Al di là del breve termine, ulteriori risparmi creerebbero spazio per soddisfare le priorità fiscali e gli impegni da rispettare – osserva il Fondo – Mentre si mantiene un avanzo primario attorno al 3% del Pil per garantire un calo graduale del debito-Pil, ulteriori sforzi fiscali sono necessari per gli investimenti volti a rafforzare la produttività, per le pressioni latenti sulla spesa, in particolare per quelle legate all’invecchiamento della popolazione, e per creare quello spazio fiscale richiesto per affrontare un grave shock”.

Tra i risparmi a cui il governo Meloni dovrebbe tendere, l’Fmi ha auspicato in particolare la sostituzione dei tagli del cuneo fiscale e dei sussidi a sostegno delle assunzioni con misure che sostengano in misura permanente la produttività del lavoro; lo snellimento ulteriore della spesa pensionistica attraverso l’aumento dell’età pensionabile effettiva, evitando al contempo schemi costosi di prepensionamento; il miglioramento dei controlli e della supervisione dei crediti fiscali concessi nell’ambito dell’attuazione del PNRR per gli investimenti digitali e green, richiedendo in modo esplicito autorizzazioni a priori, e monitorando in tempo reale gli ammontari ricevuti.

Pil Italia: l’outlook dell’Fmi

L’Fmi ha auspicato anche l’annullamento del credito fiscale in assenza del pieno rispetto da parte del beneficiario degli obiettivi stabiliti con il PNRR.

Riguardo al fattore crescita del Pil, il Fondo ha riconosciuto che “l‘economia (italiana) si è ripresa bene dagli shock della pandemia e dei prezzi energetici, grazie alla ripresa del turismo e alle misure di sostegno significative” varate dal governo.

“Tuttavia, la crescita ha moderato il passo”.

Inoltre, “pur contribuendo alla ripresa, la politica fiscale espansiva (varata dal governo Meloni) ha mantenuto i deficit e il debito pubblico a livelli molto alti, facendo alzare il premio sul rischio dell’Italia e frenando gli investimenti nel settore privato”.

Guardando al futuro, inoltre, “la crescita è attesa moderare il passo nell’arco dei prossimi anni, con il processo di disinflazione che continuerà”.

“L’outlook – ha rimarcato il Fondo Monetario Internazionale, che aveva già reso note le nuove stime sull’Italia, con il recente aggiornamento delle previsioni di qualche settimana fa – è di un Pil che salirà dello 0,7% nel 2024 e nel 2025 grazie all’accelerazione delle spese legate al PNRR che dovranno essere finalizzate entro la metà del 2026 e che compenseranno in gran parte il ritiro degli investimenti residenziali sostenuti dal Superbonus”.

Successivamente – e queste previsioni alimentano il dubbio sul ritmo a cui il Pil dell’Italia crescerebbe in assenza della manna dal cielo arrivata con i fondi del Next Generation EU, “un rallentamento della crescita temporaneo potrebbe essere previsto nel 2026 e nel 2027 con il completamento del PNRR, mentre un indebolimento ancora più graduale potrebbe manifestarsi se il periodo di spesa (dei fondi Ue) consentito venisse esteso”.

Ancora più in là, afferma il Fondo, “la crescita dovrebbe tornare al suo potenziale, con il calo della popolazione in età lavorativa che sarebbe compensato da un aumento della produttività, che si avrebbe lanciando gli investimenti e le riforme strutturali, dalla maggiore partecipazione alla forza lavoro e dal continuo assorbimento dei lavoratori stranieri”.

L’inflazione headline dell’Italia è attesa dall’Fmi scendere a una media dell’1,7% nel 2024 per tornare poi al target del 2% nel 2025.

Nessun pericolo dal rafforzamento della crescita dei salari previsto per quest’anno e il prossimo, dal momento che le aziende dovrebbero secondo l’istituzione di Washington assorbirne l’impatto soprattutto grazie all’espansione degli utili, assicurando dunque che l’inflazione core continui a moderare il passo.

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Il punto sulle banche italiane con la fine della pacchia tassi Bce

L’Fmi non ha lanciato un avvertimento ‘solo’ sulla traiettoria del debito e del deficit:

un attenti è andato anche in direzione delle banche italiane, a dispetto della solidità confermata dalla pubblicazione recente delle trimestrali delle Big del settore.

“Gli aggiustamenti alle condizioni finanziarie più rigide sono andati avanti senza problemi e il sistema bancario italiano rimane solido”, si legge nelle conclusioni relative alla missione dell’Fmi in Italia.

Il Fondo ha ricordato tuttavia che il boom di redditività (e di dividendi) è stato sostenuto dai continui rialzi dei tassi dei tassi avviati dalla Bce di Lagarde, che ormai si sono fermati da un po’ (nessun rialzo dal settembre del 2023) e che lasceranno spazio ora all’era dei tagli, per quanto le prospettive rimangano tuttora incerte.

Washington ha spiegato il grande regalo che la Bce, con le sue strette monetarie, ha fatto alle banche, che hanno assistito a “un ampliamento dei margini netti di interesse e alla minore necessità di accantonare riserve per far fronte a perdite future sui crediti (NPL)”: fattori che hanno “fatto salire gli utili delle banche e che, insieme alla flessione degli asset ponderati per il rischio (RWA) hanno portato i ratio di capitali (delle stesse) a livelli record”.

Inoltre, “sebbene gli alti costi di finanziamento abbiano provocato una flessione significativa dello stock di crediti erogati alle aziende, alcune aziende hanno attinto ai loro cuscinetti di liquidità e ai profitti per accelerare il rimborso dei prestiti”.

Di conseguenza, “finora gli indicatori che misurano la qualità del credito (delle banche italiane) si sono erosi in modo solo marginale rispetto ai livelli solidi dell’inizio”.

Le “banche conservano inoltre una liquidità ampia anche se hanno ridotto la maggior parte delle passività di lungo termine dell’era pandemica nei confronti della Bce”.

Tutto bene, dunque? Non del tutto.

Il punto, ha avvertito il Fondo Monetario internazionale, è che infatti “la raccolta si è fatta più costosa, sulla scia dei rialzi dei tassi e della continua competizione per raccogliere i risparmi retail” tra le banche e lo stesso Tesoro italiano che, al fine di blindare il debito italiano, ha continuato a puntare sull’emissione di titoli di stato rivolti esclusivamente alla platea dei piccoli risparmiatori.

L’Fmi si è riferito nello specifico ai  BTP Valore che sono stati emessi dal governo Meloni, e che hanno fatto sì che i risparmi degli italiani parcheggiati nei depositi e nei conti delle banche venissero canalizzati nella sottoscrizione di questi titoli di stato italiani, sottraendo dunque risorse alla raccolta bancaria.

Inoltre, “sebbene i debitori siano emersi dai recenti shock della pandemia e dei costi energetici in condizioni finanziarie generalmente positive, i tassi di interesse ancora elevati e l’erosione dei cuscinetti di liquidità potrebbero provocare in futuro un indebolimento”.

L’Fmi ha accolto dunque con favore la decisione di Bankitalia di lanciare la riserva anti-shock SyRB (“systemic risk buffer), ovvero il “cuscinetto di rischio sistemico”, sottolineando che l’introduzione di queste nuove disposizioni rafforzerà le banche italiane in vista di possibili rischi futuri.

Allo stesso tempo, Washington ha auspicato l’identificazione e la gestione di quelle aree di vulnerabilità che caratterizzano le istituzioni meno importanti, consigliando alle banche di lavorare per continuare a considerare prioritario lo smobilizzo dei crediti deteriorati e delle sofferenze.

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