Notizie Notizie Italia Governo Meloni Mps, Eni, Poste e non solo. Privatizzazioni: tra manovra e ansia debito Meloni spinge l’acceleratore

Mps, Eni, Poste e non solo. Privatizzazioni: tra manovra e ansia debito Meloni spinge l’acceleratore

3 Settembre 2024 08:56

Imperativo: procedere sulla strada delle privatizzazioni per fare cassa.

D’altronde, la coperta è corta e il debito pubblico è alto. Il governo Meloni, al lavoro sulla nuova legge di bilancio per il 2025 e quest’anno tallonato anche dalla data imminente del 20 settembre, entro la quale dovrà presentare alla Commissione europea il Piano strutturale di bilancio di medio termine, ovvero il piano di rientro dal deficit eccessivo sfornato con il nuovo Patto di stabilità e di crescita, punta dunque a tutte le strategie possibili capaci di racimolare qualche miliardo di euro.

Tra queste, quella già annunciata delle privatizzazioni, ergo della vendita di ulteriori quote che lo Stato detiene in alcune società cosiddette partecipate.

I nomi sono quelli dei soliti noti Mps, Eni, Poste, Ferrovie dello Stato.

Ma, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Messaggero, Meloni & Co. vogliono premere ora il pedale dell’acceleratore, puntando a raccogliere qualcosa come € 5-6 miliardi dalle privatizzazioni nel 2025.

L’altro obiettivo da soddisfare, in questo processo, è garantire comunque il controllo dello Stato nelle varie società su cui si vuole fare cassa.

Privatizzazioni Meloni: a che punto siamo con Mps

Finora, ricorda il quotidiano romano, con le vendite delle partecipazioni detenute nei capitali di Mps-Monte dei Paschi di Siena ed Eni, lo Stato ha raccolto 3 miliardi di euro.

Per quanto riguarda Mps ancora Monte di Stato, il Mef maggiore azionista, forte del doppio regalo Moody’s, si è mosso smobilizzando una prima quota pari al 25% alla fine dello scorso anno, incassando 920 milioni di euro circa, con una procedura accelerata di raccolta ordini (‘Accelerated Book Building – ABB’), per vendere poi un’altra quota all’inizio di quest’anno, pari al 12,5% del capitale sociale della banca, e sempre attraverso un ‘Accelerated Book Building – ABB’, portando nelle casse dello Stato 650 milioni.

Si attende la terza mossa del governo Meloni sul Monte che, tuttavia, fino a oggi ha latitato.

Tra l’altro, a tal proposito, Equita SIM ha ricordato che lo Stato dovrebbe ridurre la propria partecipazione in Mps – che dopo i due smobilizzi è scesa dal 64% circa al 26,7% – al di sotto del 20% entro la fine del 2024, stando agli accordi presi con Bruxelles.

La SIM ritiene tuttavia che “ci sia margine per negoziare uno spostamento in avanti della scadenza”, in un contesto in cui, sulla base dei rumor riportati da Il Messaggero, il governo Meloni “starebbe facendo valutazioni di natura strategica, volendo evitare di esporre” il Monte di Stato “al rischio di OPA da parte di un player estero e valutando l’eventualità di un partner industriale (nelle settimane passate si era parlato di Unipol come potenziale nuovo partner nel comparto assicurativo)”.

Sempre che il governo Meloni voglia davvero dare l’addio all’istituto senese.

“Rimane a nostro avviso da valutare l’effettiva volontà politica di uscire completamente dal capitale della banca“, sottolinea infatti Equita.

Per ora, dalle indiscrezioni risulta che Mps rimane tra le pedine che l’esecutivo intende muovere per dare una nuova scossa al processo di privatizzazioni, attraverso la vendita di una ulteriore quota, magari entro la fine di quest’anno.

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Eni: altra pedina piano privatizzazioni

Alla metà di maggio, l’altra pedina del piano di privatizzazioni che il governo Meloni ha deciso di muovere è stata  Eni:

smobilizzate 91.965.735 azioni ordinarie del colosso petrolifero guidato dal ceo Claudio Descalzi, pari a circa il 2,8% del capitale sociale, con una operazione, anche in questo caso, di ‘Accelerated Book Building – ABB’ riservata agli investitori qualificati in Italia e agli investitori istituzionali esteri, per un controvalore pari a 1,4 miliardi di euro.

Totale: tra Mps e Eni lo Stato ha incassato 3 miliardi di euro, nell’ambito di un piano di privatizzazioni triennale calcolato in 20 miliardi di euro, finalizzato a tamponare l’emorragia dei conti pubblici.

Un piano che tuttavia, secondo le indiscrezioni raccolte da Il Messaggero, dovrebbe essere a questo punto velocizzato, per consentire la raccolta di una cifra doppia rispetto a quella attuale, entro la fine del 2024, dunque fino a ben 6 miliardi di euro.

L’idea. Gestione porti ai privati?

Come fare? Semplice, almeno sulla carta:

smobilizzare per l’appunto altre quote di Mps (che vede lo Stato ancora maggiore azionista con una partecipazione, pari al 26% circa), ma anche di Enav (dove il Tesoro è azionista di maggioranza con una quota pari al 51%), e dell’altro gioiello di casa, ovvero di Poste italiane. Magari avviando anche la “privatizzazione dei porti”.

Su quest’ultimo punto, i tecnici starebbero considerando la possibilità di replicare il modello aeroporti, “con l’apertura ai privati della gestione dei porti”, consentendo così l’ingresso nell’azionariato di fondi di investimento, “visto che il business portale e della logistica ha costi e andamenti dei ricavi abbastanza certi”.

Secondo il quotidiano non è però ancora chiaro se l’apertura ai privati avrebbe per oggetto “ogni singolo porto” o se “possa nascere una super Autorità portuale”.

In ogni caso, nel super polo “lo Stato dovrebbe comunque conservare la maggioranza o una quota di controllo visto che si tratta di infrastrutture strategiche per il Paese”.

A partire dal 2025, potrebbero essere poi valutate altre privatizzazioni aventi per oggetto FS e Trenitalia.

Come riassume Equita nel riportare i rumor, le intenzioni del governo Meloni non finirebbero però qui:

allo studio ci sarebbe, infatti, anche “la costituzione di un fondo ad hoc in cui conferire un pezzo dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico (stimato in €1,8 trilioni), dove, secondo il Mef, il valore degli immobili ‘cedibili’ ammonta a € 300 miliardi circa”.

Tornando a Enav, l’ipotesi sarebbe una cessione del 20% del capitale, con cui lo Stato incasserebbe 400 milioni di euro.

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Ma è il gruppo guidato da Matteo Del Fante, riporta il quotidiano, a restare “tra i più appetibili sul mercato”, ed è da almeno “prima dell’estate” che si discute dell’atto con cui il Tesoro potrebbe muoversi su Poste Italiane.

“Lo Stato detiene una quota complessiva del 64,3% in Poste, di cui il 29,3% dal MEF e il 35% attraverso CDP – ha ricordato Equita SIM che, nell’esprimersi sull’ipotesi di una eventuale mossa di Meloni sul gruppo quotato sul Ftse Mib di Piazza Affari, ha scritto di ritenere che “Poste Italiane rappresenti un’opzione concreta su cui lo Stato potrebbe intervenire per raccogliere nuove risorse”.

“Sulla base degli accordi con i sindacati, il Governo si sarebbe impegnato a mantenere una quota di almeno il 50% di Poste, anche se il decreto varato dal Consiglio dei Ministri a gennaio (mai formalizzato dopo il parere favorevole delle commissioni parlamentari) consentirebbe di scendere fino al 35% – ricorda la SIM, riportando i rumor del quotidiano – Dalla cessione del 15% di Poste Italiane, l’incasso per lo Stato sarebbe di circa €2,4 miliardi ai prezzi correnti”, sottolinea ancora Equita.

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La SIM ha cura anche di precisare quello che è l’obiettivo dell’ambizioso piano di privatizzazioni del valore di 20 miliardi di euro, accolto subito da una ondata di polemiche dai vari partiti di opposizione:

“È importante ricordare che i proventi delle privatizzazioni costituiscono un’entrata una tantum e, pertanto, mirano principalmente alla riduzione del debito pubblico, piuttosto che all’impiego per coprire le spese previste dalla manovra finanziaria (secondo gli articoli di stampa recenti stimata tra i € 24-30 miliardi). Ricordiamo che l’obiettivo del Governo era raggiungere un totale dell’1% del PIL attraverso privatizzazioni al 2027 (o di circa € 20 miliardi)”.