Notizie Notizie Italia Def: l’attenti di Bankitalia e Corte dei Conti su Superbonus e cuneo fiscale. Deficit-Pil: doccia fredda Istat

Def: l’attenti di Bankitalia e Corte dei Conti su Superbonus e cuneo fiscale. Deficit-Pil: doccia fredda Istat

22 Aprile 2024 14:29

Attenzione al nodo dei conti pubblici dell’Italia, ovvero alle eterne spine del debito e del deficit, messe oggi in evidenza sia dalle audizioni sul Def 2024 alle Commissioni di bilancio riunite di Camera e di Senato, di Bankitalia e della Corte dei Conti, che dai nuovi numeri relativi al periodo 2020-2023 aggiornati dall’Istat.

Bankitalia e la Corte dei Conti hanno lanciato entrambe un alert sulle conseguenze che la proroga del taglio del cuneo fiscale avrebbe sulle casse dello Stato, con la seconda che ha emanato un chiaro verdetto, riassumendo le difficoltà contro cui si imbatterà il governo italiano:

“La gestione della finanza pubblica continuerà ad essere difficile”, ha avvertito la Corte dei Conti.

Stamattina l’Istat ha pubblicato anche la Notifica sull’indebitamento netto e debito delle amministrazioni pubbliche  (AP), riferiti al periodo 2020-2023. Dati che sono stati trasmessi alla Commissione Europea in applicazione del Protocollo sulla Procedura per i Disavanzi Eccessivi (PDE) annesso al Trattato di Maastricht. E dati che hanno peggiorato il quadro che il Def di Meloni aveva presentato, riguardo alla dinamica del deficit-Pil dello scorso anno, atteso dal governo al 7,2%.

E che invece, si è appreso oggi dall’Istat, ha fatto peggio, attestandosi al 7,4% nel 2023.

Nel 2023 l’indebitamento netto delle AP (-154.124 milioni di euro) è stato pari al -7,4% del Pil, in diminuzione di circa 13,8 miliardi rispetto al 2022 (-167.958 milioni di euro, corrispondente al -8,6% del Pil)”.

Motivo: i costi più alti del Superbonus.

Def, Bankitalia, su Pil: rischi crescita prevalentemente verso il basso

Il capo del dipartimento di Economia e Statistica di Bankitalia Sergio Altimari ha presentato oggi, nel corso della sua audizione sul Def, il quadro dell’economia italiana, sottolineando che “i rischi per la crescita rimangono prevalentemente orientati al ribasso”.

In un contesto macroeconomico che continua a essere caratterizzato dall’incertezza, anche sul ritmo e sui tempi della ripresa prevista, il funzionario di Bankitalia ha invocato di conseguenza la piena attuazione, da parte del governo Meloni, del PNRR, anche perchè gli ostacoli alla crescita del Pil sono diversi:

“L’attesa accelerazione degli scambi internazionali potrebbe materializzarsi con ritardo, anche in relazione all’incertezza sulla ripresa dell’economia cinese; l’impatto della restrizione monetaria in corso (ovvero della carrellata dei rialzi dei tassi che la Bce di Christine Lagarde ha annunciato incessantemente, dal luglio del 2022 al settembre del 2023), potrebbe risultare più accentuato del previsto e incidere più intensamente sulla domanda interna; il ridimensionamento degli incentivi alla riqualificazione delle abitazioni in Italia (ovvero del Superbonus) potrebbe contribuire alla correzione dell’attività nel comparto edilizio”.

Di conseguenza, “in questo quadro, il contributo fornito da una attuazione piena ed efficace degli investimenti del PNRR che a partire da questo anno dovrebbero accelerare è quanto mai decisivo per conseguire i tassi di sviluppo delineati nel quadro del Governo”.

Il nodo dei conti pubblici è stato rimarcato più volte da Bankitalia, che ha fatto riferimento sia alla zavorra del Superbonus sul debito pubblico che sull’impatto, anche, della proroga del cuneo fiscale, prevista con il Def.

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Def, l’attenti su proroga cuneo fiscale da governo Meloni

Il Def, ha ricordato infatti Altimari di Bankitalia, mette in evidenza “l’intenzione di prorogare il taglio del cuneo fiscale”.

Ma in “questo caso il disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del PIL in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3 per cento in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo”.

Per la Banca d’Italia, “un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici”.

Non solo:

“D’altra parte, rendere strutturali gli sgravi aprirebbe due questioni rilevanti. In primo luogo, verrebbe meno a livello aggregato l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni che, nel medio periodo, caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza. In secondo luogo, senza una modifica della struttura degli sgravi, i lavoratori con redditi prossimi alle soglie al di sotto delle quali si matura il beneficio continuerebbero a essere penalizzati da elevate aliquote marginali effettive, con effetti potenzialmente distorsivi dell’offerta di lavoro”.

Corte dei Conti: gestione finanza pubblica continuerà a essere difficile

Dopo Bankitalia, a prendere la parola in audizione sul Def è stata la Corte dei Conti, che si è concentrata sull’angoscia della gestione della finanza pubblica che, a suo dire, sarà per l’appunto difficile.

Illustrati i seguenti motivi:

  • Risulterà impegnativo trovare le risorse per far fronte ai fabbisogni per le ‘politiche invariate’.
  • Occorrerà, inoltre, individuare le risorse per far fronte ad esigenze settoriali (la sanità o l’assistenza), per la riforma fiscale o anche per sostenere gli investimenti, specie quelli che, eliminati dal PNRR o dal PNC, devono trovare nuove coperture.
  • Sarà poi necessario, negli anni a venire, operare quel definitivo risanamento dei conti che richiederà, secondo indicazioni dello stesso Def, correzioni del saldo primario a politica invariata, nell’ordine di 6 decimi di Pil all’anno fino al 2031. Impegni che richiederanno una attenta scansione dei fabbisogni, più incisive misure per la razionalizzazione della spesa e scelte molto selettive”.

Di conseguenza, la Corte dei Conti ha aggiunto che, “se appare, quindi, comprensibile il rinvio da parte del Governo della definizione degli obiettivi programmatici al momento dell’adozione del nuovo nuova versione del  Patto di stabilità e crescita (anche in ragione della prevedibile apertura da parte della Commissione di una procedura per deficit eccessivi) e quindi della presentazione del Piano strutturale di bilancio, sarebbe stato utile che il documento, in vista di questa nuova stagione della politica di bilancio europea, contenesse l’esplicitazione, con maggior dettaglio, di quelli che sono allo stato attuale gli andamenti delle variabili che peseranno nella definizione della traiettoria della spesa netta”.

“Una traiettoria – ha continuato la Corte dei Conti – la cui messa a punto richiederà ai paesi membri di confrontarsi anche
con le prospettive dei bilanci pubblici nel periodo medio-lungo (fino al 2041) soprattutto per quel che riguarda le componenti che riflettono i costi di invecchiamento della popolazione. Un passaggio che consentirebbe di rendere fin d’ora più concreto il
coinvolgimento del Parlamento, necessità prefigurata, del resto, nello stesso Documento”.

Riguardo al debito pubblico, la Corte dei Conti ha fatto notare che, “nel 2023, la significativa revisione al rialzo dei dati relativi all’indebitamento netto non ha impedito la prosecuzione della discesa del debito in quota di Pil. Al contrario, grazie all’operare di effetti contabili connessi con l’aggiustamento stock-flussi e alla rivalutazione del Pil monetario da parte dell’Istat per il 2022 (di oltre 16 miliardi) con il conseguente effetto di trascinamento, la riduzione annua del rapporto debito/Pil delle Amministrazioni pubbliche è stata assai maggiore di quanto atteso: di 3,2 punti (al 137,3 per cento) contro gli 1,5 previsti nella Nadef “.

Dunque, progressi sul debito pubblico sono stati fatti.

I numeri del 2023 hanno consolidato la discesa del debito pubblico “dal picco pandemico (155 per cento)”.

Inoltre, ha continuato la Corte dei Conti, “sono 17,7 i punti di riduzione dal valore massimo del 2020”. Un calo che “ha trovato propulsione nelle buone capacità di recupero della crescita economica reale (-18,4 punti)”, ma che “è stato possibile soprattutto grazie all’apporto dell’inflazione (-14,1 punti) e dei menzionati fattori di aggiustamento stock-flussi (-9,6 punti), il tutto in un contesto in cui ha continuato ad esercitare un ruolo negativo il saldo primario (+13 punti) e, naturalmente, il costo medio del debito (+11,5 punti)”.

E’ lo stesso Def a prevedere traiettoria rialzista debito-Pil

Detto questo, la Corte dei Conti ha ricordato che è stato lo stesso Def 2024 a stimare una traiettoria rialzista del debito negli anni futuri:

“Secondo il Def, nel quadriennio 2024-2027 i pur tenui progressi prospettati per il rapporto debito/Pil in sede di NaDEF 2023 non saranno più conseguiti, a meno di correzioni delle tendenze a legislazione vigente, le sole fotografate nel Def di quest’anno nelle more della presentazione, in estate, del Piano strutturale di bilancio a medio termine previsto nell’ambito delle nuove regole europee in via di definitiva approvazione”.

Praticamente, stando a quanto è emerso dal Documento di economia e di finanza,  considerando “il quadro macroeconomico e finanziario” proposto, “connotato da più bassi tassi di crescita reali e nominali, la fase di riduzione si arresterebbe nell’anno in corso (dal 137,3 al 138,9 per cento) “.

Successivamente il rapporto debito-Pil salirebbe anche “su un livello prossimo al 140 per cento nel 2026 e “solo nel 2027 ritroverebbe il sentiero della discesa (139,6 per cento)“.

Tra l’altro, vanno ricordate le stime appena pubblicate dall’Fmi con il nuovo World Economic Outlook, che prevedono una dinamica del rapporto debito-Pil ancora più preoccupante, superiore alla soglia del 140% fino al 2029.

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Citato anche qui l’effetto del Superbonus, in particolare “gli effetti di cassa del Superbonus, i quali si prospettano ora più severi di prima, alla luce delle nuove stime degli impegni complessivi a cui avrebbe dato vita la misura”.

Allo stesso tempo, un “effetto di mitigazione del peggioramento della dinamica del debito”, così come prevista dal Def, è stata resa possibile dalla lieve attenuazione dell’onere medio per interessi.

“Infatti, grazie al miglioramento del quadro attuale e prospettico dei rendimenti sui titoli a lungo termine, al permanere di una elevata vita media residua del debito pubblico (7,8 anni a fine 2023 cresciuti a 7,9 a febbraio 2024) e all’effetto della significativa riduzione dell’inflazione al consumo sulla spesa per interessi connessa ai titoli indicizzati, l’onere medio implicito risulta ora più basso rispetto a quanto prefigurato a settembre nella NaDef”.

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Corte Conti auspica maggiore chiarezza su piano privatizzazioni Meloni

La Corte dei Conti non ha risparmiato di esprimere qualche dubbio riguardo al piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro su cui il governo Meloni sta puntando in modo significativo in ottica anti-debito, confermando quanto era stato già messo in evidenza in occasione delle osservazioni fatte sul Nadef 2023 dello scorso autunno:

“Nel Def viene confermata la presenza, tra le poste sotto la linea, di proventi da dismissione di asset mobiliari; tuttavia, da un lato viene ridimensionata la stima degli stessi rispetto alle valutazioni autunnali e dall’altro ne viene rideterminato il timing: si tratta ora di risorse pari, cumulativamente, a 7 decimi di Pil nel triennio 2025-27, a fronte di stime per 1 punto di Pil nel triennio 2024-2026″.

Sarebbe importante che nel Piano strutturale di bilancio a medio termine si desse circostanziato e dettagliato conto del ruolo che potrebbero e dovrebbero avere, nella visione programmatica del Governo, le politiche di gestione attiva degli asset pubblici nel prossimo futuro; ciò anche al fine di poter apprezzare la plausibilità delle stime ed evitare gli scostamenti che si sono non di rado registrati nei lustri scorsi tra risultati e previsioni iniziali”.

Tra le altre cose, anche la Corte dei Conti ha menzionato l’effetto dell’eventuale proroga del taglio del cuneo fiscale sui conti pubblici:

“Il Def, in coerenza con quanto richiesto dalla legge di contabilità e finanza pubblica, fornisce anche le previsioni a politiche invariate, per il triennio 2025-2027, tenendo quindi conto dei rifinanziamenti da adottare nel prossimo futuro, con priorità assegnata all’estensione della misura del taglio del cuneo fiscale sul lavoro. In tale prospettiva, l’indebitamento netto subisce un peggioramento lungo tutto l’orizzonte di previsione: di 0,9 punti nel 2025 (da -3,7 a -4,6 per cento) e di 1 punto per anno nel successivo biennio (da -3 a -4 per cento nel 2026 e da -2,2 a -3,2 per cento nel 2027)”.

Doccia fredda Istat: Superbonus più salato, deficit-Pil al 7,4% nel 2024

Nel frattempo, sempre oggi, l’Istat ha reso noto che “nel 2023 l’indebitamento netto delle AP (-154.124 milioni di euro) è stato pari al -7,4% del Pil, in diminuzione di circa 13,8 miliardi rispetto al 2022 (-167.958 milioni di euro, corrispondente al -8,6% del Pil)”.

“Il saldo primario (indebitamento netto al netto della spesa per interessi) è risultato negativo e pari al -3,6% del Pil, con un miglioramento di 0,7 punti percentuali rispetto al 2022″, mentre la “spesa per interessi che, secondo le attuali regole di contabilizzazione, non comprende l’impatto delle operazioni di swap, è stata pari al 3,8% del Pil, mostrando una decrescita di -0,5 punti percentuali rispetto al 2022. Nell’ultima versione dei conti pubblici 2023 comunicata oggi dall’Istat, le stime sono state aggiornate, ha spiegato lo stesso Istituto Nazionale di Statistica, per tenere conto “delle recenti evidenze sulla spesa per i crediti d’imposta connessi al Superbonus”.

Per la precisione, l’Istat ha spiegato che “i dati contenuti in questa nota si differenziano da quelli diffusi lo scorso 5 aprile (Conto trimestrale delle Amministrazioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società) in quanto tengono conto di nuove informazioni resesi nel frattempo disponibili. In particolare, questa nuova versione dei conti recepisce le più recenti evidenze quantitative sulla spesa per i crediti d’imposta connessi al cosiddetto Superbonus, dal momento che il 4 aprile 2024 è scaduto il termine per comunicare all’Agenzia delle Entrate la scelta di avvalersi della cessione del credito o dello sconto in fattura”.

L’Istat ha precisato che “tali nuove informazioni non sono ancora definitive per una possibile fisiologica stabilizzazione del dato di base nei prossimi mesi”.

Fatto sta che, per l’appunto, “rispetto ai conti dello scorso 5 aprile, la nuova versione vede un peggioramento dell’indebitamento netto in rapporto al Pil di 0,2 punti percentuali”, il che significa che nel 2023 il debito-Pil passerebbe dal 7,2% atteso dal governo Meloni al 7,4%. L’ennesima erosione dei conti pubblici italiani, che continua ad allarmare le varie istituzioni.

UPB: possibile crescita debito-Pil oltre stime Def

Oggi a parlare è stata anche la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari che, anche lei in audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nell’ambito dell’esame preliminare del Def 2024, ha spiegato le ragioni che hanno portato alla validazione del quadro macroeconomico tendenziale (a legislazione vigente).

Le previsioni validate del Def 2024, ha sottolineato Cavallari, “si attestano al limite superiore delle stime del panel UPB”, e sono “esposte a diversi fattori di incertezza”.

In generale, “i rischi sono bilanciati nel breve ma al ribasso nel medio termine”.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha sottolinato la necessità di disporre di “maggiori informazioni su bonus edilizi e PNRR”, e di “dare seguito all’impegno di coinvolgere il Parlamento nella predisposizione del Piano strutturale e di bilancio che definirà la manovra”.

Cavallari ha affermato inoltre che, per il periodo compreso tra il 2024-2027, è “possibile una crescita del rapporto debito/Pil superiore alle stime del DEF”, così come è “molto probabile l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo per l’Italia dalla UE”.

Il calcolo delle correzioni di bilancio con nuove regole UE

“Nuove regole UE – ha detto la presidente dell’UPB – potrebbero richiedere correzione di 0,5-0,6 punti di PIL annui nel 2025-2031″.

L’UPB ha sviluppato alcuni scenari di medio periodo che descrivono l’evoluzione del rapporto tra il debito e il PIL e delle principali variabili di finanza pubblica che si ritengono coerenti, in linea generale, con le traiettorie di riferimento delineate nell’accordo sulla nuova governance UE che entrerà in vigore probabilmente a giugno.

L’analisi dell’UPB ha mostrato, ha riferito Cavallari in audizione “che, nell’ipotesi di crescita del potenziale in linea con quella del periodo pre-pandemico (scenario ‘trend storico’, dove la crescita potenziale è pari a circa 1,1 per cento), un aggiustamento annuale di bilancio pari a 0,5 punti percentuali di PIL in sette anni (2025-2031), permetterebbe al rapporto tra debito e Pil di scendere in modo coerente con i requisiti del nuovo sistema di regole”.

“Nel caso di una crescita potenziale che si riducesse gradualmente dall’1,1 per cento allo 0,7 del Pil potenziale (scenario ‘trend Consensus’) l’aggiustamento annuale nel periodo 2025-2031 dovrebbe invece essere più ambizioso e pari a 0,6 punti percentuali di PIL”.

Ancora l’Ufficio Parlamentare di bilancio:

“Nello scenario ‘trend storico’, al fine di consentire una riduzione plausibile del debito in rapporto al PIL, il disavanzo dovrebbe scendere al di sotto della soglia del 3 per cento del Pil a partire dal 2029 e raggiungere il 2,1 per cento nel 2031, alla fine del piano di aggiustamento in sette anni”, mentre “con ipotesi di crescita più pessimistiche (scenario ‘trend Consensus’), il disavanzo dovrebbe scendere al di sotto del 3 per cento nel 2028 e raggiungere l’1,7 per cento del PIL alla fine del piano di consolidamento”.