Poste Italiane, ai nastri di partenza privatizzazione Meloni. Le azioni anche ai risparmiatori con ipotesi sconto di Stato
La mossa del governo Meloni su Poste Italiane sarebbe ormai questione di giorni, con il Mef che ha già dato il via alla ricerca degli advisor per cedere una quota del capitale del gruppo quotato sul Ftse Mib di Piazza Affari, di circa il 15%.
Obiettivo, così come ha confermato lo stesso esecutivo la scorsa settimana, con un comunicato ad hoc, è assicurare che lo Stato italiano rimanga azionista di controllo:
La vendita della quota in mano al Mef, ha annunciato il governo Meloni dopo l’approvazione del DPCM relativo alla privatizzazione del gruppo dovrà, di fatto, “determinare il mantenimento di una partecipazione dello Stato al capitale di Poste Italiane, anche per il tramite di società direttamente o indirettamente controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, superiore al 50%”.
Il titolo Poste Italiane riporta oggi un trend all’insegna della debolezza, replicando la performance dell’indice Ftse Mib di Piazza Affari. Alle 15.30 circa, a fronte di un indice Ftse Mib praticamente piatto, le azioni di Poste riportano un lieve rialzo, viaggiando attorno a 12,465 euro.
Governo Meloni verso OPV digitale. Sconto a risparmiatori?
Nel frattempo, nuovi rumor sulla mossa di Meloni & Co. richiamano l’attenzione degli operatori di mercato, così come anche, o soprattutto, dei piccoli risparmiatori.
La grande novità, infatti, è che la privatizzazione dell’azienda avverrà attraverso una offerta di azioni che coinvolgerà anche la platea degli investitori retail, oltre che quella dei dipendenti, così come riportato oggi da un articolo de Il Sole 24 Ore.
Le azioni di Poste Italiane verranno piazzate dal Tesoro con una offerta pubblica di vendita (OPV) che “prevede il coinvolgimento dei risparmiatori e dei dipendenti”; in particolare “per questi ultimi, come confermato ieri, sarà prevista una quota di azioni dedicata (in genere attorno al 3% dei titoli in vendita)”.
Il quotidiano di Confindustria aggiunge che, con l’OPV, “saranno previsti anche incentivi dedicati, che potrebbero consistere in uno sconto sul lotto minimo rispetto al prezzo di collocamento“.
Tutto, nell’intento di chiudere l’operazione entro la fine del mese di ottobre.
Mentre il Dipartimento dell’Economia del Mef ha avviato la selezione per gli advisor, tra banche estere e italiane, ha riportato anche l’Ansa, verrà data priorità proprio a queste due categorie: risparmiatori e dipendenti di Poste, “anche con incentivi ad hoc come possibili sconti sulle azioni”.
Poste: OPV limiterebbe overhang titolo con quota retail
Così Equita commenta l’imminente mossa del governo Meloni su Poste Italiane:
“Il MEF ha avviato la ricerca dell’advisor per la cessione di una tranche di c.15% di Poste Italiane. Il processo di cessione, che dovrebbe avvenire attraverso OPV, è atteso entro la fine di ottobre (la data citata dai rumor è quella del 21 ottobre, entro cui l’operazione dovrebbe essere chiusa)”.
“Ai prezzi attuali – spiega la SIM – la dismissione della quota di Poste permetterebbe allo Stato di incassare €2.4 miliardi circa, andando dunque a coprire gran parte del target di €3 miliardi fissato dal Governo, da realizzare attraverso ulteriori privatizzazioni e necessario a sostenere la manovra di bilancio”.
“Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, l’OPV potrebbe avere una giornata limitata a 5 giorni lavorativi, con l’obiettivo di chiudere l’operazione entro la fine di ottobre”.
Il quotidiano si riferisce a una OPV digitale, ovvero a una vendita con cui Poste consentirà agli interessati di aprire un deposito titoli da remoto, oltre che nei 13 mila uffici.
La SIM milanese commenta l’operazione scrivendo di credere che “un’OPV con una quota consistente dedicata al retail possa contribuire a limitare l’overhang sul titolo”.
Equita fa notare che il titolo Poste Italiane è scambiato al momento a un valore P/E adjusted di 7,2 volte, offrendo un “dividend yield superiore all’8%, su cui riteniamo ci sia buona visibilità”.
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Il giudizio e il rating di Scope su Poste Italiane
Va ricordato il giudizio positivo che su Poste Italiane, dopo l’annuncio del governo Meloni, è arrivato la scorsa settimana da Scope Ratings, l’agenzia di rating europea.
Scope ha ribadito il rating BBB+ con Outlook Stabile, “riconoscendo il ruolo strategico dell’azienda nell’economia italiana e la sua integrazione con il governo italiano“.
Tra i punti di forza individuati dagli analisti di Scope, è emersa proprio l’integrazione strategica con lo Stato italiano, insieme ad altri fattori, come “la struttura aziendale ben diversificata, una solida gestione finanziaria con bassi livelli di debito e ampie riserve di liquidità”.
Allo stesso tempo, gli analisti dell’agenzia di rating hanno identificato la “principale debolezza” del gruppo controllato dallo Stato nella “elevata esposizione di Poste Italiane alle fluttuazioni economiche e finanziarie interne, che rappresenta un rischio per la sua stabilità a lungo termine”.
Nel rimarcare lo stretto legame con lo Stato, Scope ha ricordato che il governo detiene il 64,26% delle azioni (29,26% direttamente e 35% tramite CDP), e che “la società è responsabile della gestione del risparmio postale garantito dallo Stato”, reinvestendo “i depositi in titoli di Stato italiani, contribuendo alla stabilità del finanziamento pubblico”.
“Poste Italiane opera in quattro principali settori: posta e pacchi, servizi finanziari, servizi assicurativi e telecomunicazioni”, si legge ancora nella nota di Scope, che ha aggiunto che “la diversificazione delle attività ha permesso all’azienda di mantenere ricavi stabili, con un fatturato operativo netto di circa 11,2 miliardi di euro tra il 2019 e il 2023, e un EBITDA medio del 24,9% nello stesso periodo“.
Citato “il basso livello di debito (1,9 miliardi di euro nel 2023), con un costo di finanziamento limitato e ampie riserve di liquidità”.
“Le riserve di liquidità non soggette a restrizioni ammontavano a 1,9 miliardi di euro nel 2024, garantendo una copertura confortevole delle spese finanziarie e delle attività di investimento”, ha osservato l’agenzia di rating, che ha concluso la nota ricordando che “i servizi finanziari e assicurativi di Poste Italiane hanno registrato solide performance, con un incremento del reddito da interessi netti del 17,5% nel 2023 e flussi netti positivi di 3,4 miliardi di euro nel segmento assicurativo, dimostrando la capacità della società di adattarsi a condizioni di mercato difficili”.
Poste pedina tra le principali del piano privatizzazioni di Meloni
Da segnalare che il dossier di Poste Italiane è solo uno dei tanti su cui è incentrato il piano di privatizzazioni anti-debito lanciato dal governo Meloni, che ruota anche attorno ad altri pesi massimi del Ftse Mib di Piazza Affari, come Mps-Monte dei Paschi di Siena (che ha ricevuto nei giorni scorsi una doccia fredda da quello che era stato considerato probabile cavaliere bianco pronto a unire le sue forze a quelle della banca), ed Eni, reduce dallo stacco della cedola insieme a un’altra big del Ftse Mib.
Così ha rimarcato Equita in una nota diffusa qualche giorno fa:
“È importante ricordare che i proventi delle privatizzazioni costituiscono un’entrata una tantum e, pertanto, mirano principalmente alla riduzione del debito pubblico, piuttosto che all’impiego per coprire le spese previste dalla manovra finanziaria (secondo gli articoli di stampa recenti stimata tra i € 24-30 miliardi). Ricordiamo che l’obiettivo del Governo era raggiungere un totale dell’1% del PIL attraverso privatizzazioni al 2027 (o di circa € 20 miliardi)”.
Stando alle ultime indiscrezioni riportate dal quotidiano Il Messaggero, Meloni punterebbe a raccogliere qualcosa come € 5-6 miliardi dalle privatizzazioni nel 2025 continuando a garantire contestualmente il controllo dello Stato su quelli che sono conosciuti, per l’appunto, come gioielli di Stato.
Poste Italiane è proprio esempio illustre della strategia del governo Meloni.
Tra l’altro, l’ok al DPCM da parte del Consiglio dei Ministri, annunciato la scorsa settimana, ha incluso la modifica prevista dall’accordo con i sindacati che prevede che lo Stato mantenga una quota minima del 50% , superiore rispetto a quella ipotizzata all’inizio del 2024, attorno al 35%.