Poste Italiane: governo Meloni fa altro passo verso privatizzazione. L’azionariato e il trend del titolo a Piazza Affari
Il governo Meloni ha fatto un altro passo verso il processo di privatizzazione di Poste Italiane, con il Mef maggiore azionista che ha annunciato venerdì scorso di avere “individuato i consulenti UBS Europe SE (advisor finanziario) e White & Case Europe LLP (per la parte legale), così come prevede il Dpcm, per l’alienazione di una quota della partecipazione di Poste Italiane in suo possesso.
Poste Italiane: l’azionariato oggi in vista della privatizzazione
Vale la pena ricordare che lo Stato italiano è il maggiore azionista dell’azienda guidata dal ceo Matteo Del Fante, controllando Poste con una quota pari al 29,26% in possesso del Mef e un altro pacchetto azionario, pari al 35%, in mano alla Cassa depositi e prestiti.
Le azioni proprie sono pari allo 0,82%, mentre gli investitori individuali e istituzionali detengono quote di Poste Italiane pari rispettivamente al 12,05% e al 22,88%.
Obiettivo del governo Meloni è quello di consegnare una quota del gruppo al mercato, nell’ambito del piano di privatizzazioni anti-debito che ruota anche attorno alla privatizzazione di altri gruppi partecipati dallo Stato italiano, come Mps-Monte dei Paschi di Siena , Eni, Ferrovie dello Stato, Rai Way.
Il titolo Poste Italiane è sotto pressione nella sessione odierna, in una seduta caratterizzata dal segno meno per l’indice Ftse Mib di Piazza Affari, alle prese oggi soprattutto con lo shock del profit warning lanciato da Stellantis.
Le azioni di Poste Italiane registrano alle 11 circa ora italiana un calo pari a -0,90% circa, che le porta a scendere a quota 12,545 euro.
Su Poste Italiane, gli analisti avevano già avvertito che la dismissione di una quota da parte del Tesoro avrebbe potuto creare una situazione di overhang sul titolo.
Detto questo, Equita in particolare aveva indicato anche che “un’OPV con una quota consistente dedicata al retail” potrebbe “contribuire a limitare l’overhang sul titolo”.
Dopo l’annuncio del piano di privatizzazioni Giorgetti-Meloni, il dossier di Poste Italiane ha iniziato a farsi più definito qualche giorno fa, con un comunicato ad hoc da parte del governo, con cui è stato precisato che lo Stato rimarrà azionista di controllo con “una quota, anche per il tramite di società direttamente o indirettamente controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, superiore al 50%”.
Decisamente superiore, dunque, rispetto alle intenzioni iniziali, che avevano illustrato uno scenario in cui la quota di maggioranza detenuta sarebbe stata pari al 35%.
La novità della vendita di azioni che il governo Meloni sta per lanciare vede protagonista il collocamento rivolto non solo agli investitori istituzionali, ma anche ai risparmiatori e dipendenti del gruppo.
In particolare “per questi ultimi – ha scritto di recente Il Sole 24 Ore – è prevista una quota di azioni dedicata (in genere attorno al 3% dei titoli in vendita)”.
Non solo: la notizia che potrebbe portare gli investitori retail a puntare su Poste, rilanciata da alcune indiscrezioni stampa, è che il governo italiano dovrebbe dare priorità proprio ai retail (dunque, ancora piccoli risparmiatori e dipendenti), “anche con incentivi ad hoc come possibili sconti sulle azioni”.
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Il titolo Poste è reduce da un guadagno settimanale pari a +1,25% circa, mentre è ingessato su base mensile (-0,16%).
Dall’inizio del 2024 il trend è stato di un rialzo di quasi il 22%, mentre su base annua la performance è di un rialzo del 26% circa.
Il commento del ceo Matteo Del Fante e dei sindacati
La scorsa settimana, a parlare del dossier Poste e dell’intenzione del governo Meloni di piazzare una quota sul mercato (l’operazione dovrebbe chiudersi entro il mese di ottobre), è stato lo stesso amministratore delegato Matteo Del Fante, in audizione presso la commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera.
Nel commentare l’imminente vendita di una quota del capitale del gruppo pari al 15% da parte del Tesoro, in particolare in merito al rischio che lo Stato soffra una perdita, Del Fante ha così risposto:
“Non è una decisione nostra. Noi non possiamo rispondere. Cosa perde lo stato privatizzando è una domanda che non può essere fatta a noi, non è una nostra decisione, noi siamo i mananger di un’azienda con un Piano, e che viene valutata da mercato e azionisti sulla base o meno del rispetto un piano”.
Il piano di privatizzazione di Poste, sebbene limato dall’intenzione del governo di continuare a detenere una quota superiore al 50%, rimane intanto nel mirino della politica e dei sindacati, che accusano il governo di svendere uno dei cosiddetti gioielli di Stato.
Più clemente il sindacato Slp Cisl, il cui segretario generale Raffaele Roscigno ha definito “positivo che il Ministero dell’Economia abbia confermato che lo Stato non scenderà sotto la soglia del 50 per cento nella quota di proprietà di Poste Italiane”.
“Bisogna salvaguardare il grande patrimonio pubblico rappresentato dall’azienda postale, mettendola al riparo da eventuali scalate di multinazionali o di investitori selvaggi“, ha sottolineato Roscigno.
Decisamente più severo il giudizio della Cgil e la Slc, che hanno definito l’operazione “miope e malsana”.
“Gli asset strategici che portano ricchezza al Paese – hanno sottolineato in una dichiarazione congiunta il segretario confederale Cgil, Pino Gesmundo e il segretario nazionale di Slc, Nicola Di Ceglie – non si vendono, ed è sbagliato metterli in gioco per fare cassa”.
Commento simile anche da parte di Maurizio Landini, segretario della Cgil, anche lui dell’idea che la privatizzazione di Poste sia stata decisa “solo per fare cassa”, e che ha affermato che grande assente è “un’idea di politica industriale”.
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