Notizie Notizie Mondo Brexit: 29 marzo, mancato Independence Day per il Regno Unito. May umilata e offesa

Brexit: 29 marzo, mancato Independence Day per il Regno Unito. May umilata e offesa

29 Marzo 2019 17:51

29 marzo 2019: una data che aveva tutti i requisiti per diventare pietra miliare della storia del Regno Unito e che gli eventi hanno finito per svuotare totalmente di significato. Non ci sarà nessuna Brexit, oggi. Nessuno dei sostenitori del divorzio del Regno Unito dall’Ue, come ha scritto Allison Pearson, editorialista del Telegraph, stapperà lo champagne alle 23, ora in cui il divorzio votato quasi tre anni fa, il 23 giugno del 2016, è stato scelto dai cittadini britannici. Ironia della sorte, proprio nel giorno in cui Londra avrebbe dovuto dire addio all’Unione europea, la premier Theresa May, che si è assunta il compito di concretizzare la Brexit, ha ricevuto l’ennesimo schiaffo in faccia dal Parlamento britannico.

Derisa, umiliata, offesa, la premier non aveva mai pensato, probabilmente, che riuscire a ottenere il sì di Westminster alla proposta sui termini del divorzio concordati con Bruxelles lo scorso novembre, fosse così difficile. E invece il corso degli eventi l’ha travolta al punto che oggi, 29 marzo 2019, invece di far uscire il Regno Unito ufficialmente dall’Ue, è stata costretta a incassare la terza bocciatura: i parlamentari hanno detto no alla sua proposta sulla Brexit, ovvero all’accordo di ritiro (Withdrawal Agreement) con 344 voti contro 286, con uno scarto dunque di 58 voti.

Il 15 gennaio scorso la sconfitta era stata decisamente più cocente.

La stampa britannica non aveva fatto alcuno sconto a Theresa May, che era stata dipinta dal Sun anche come un dronte, uccello in via di estinzione. Il Guardian, aveva ripreso ‘L’urlo’ dipinto dal pittore Edvard Munch per descrivere il caos politico in cui il paese era precipitato. Era stato creato il nuovo vocabolo e altrettanto hashtag #Brextinct: ovvero estinzione della Brexit.

Quel giorno, il Parlamento britannico aveva inflitto al governo May la sconfitta più cocente che un governo UK avesse mai sofferto:  432 i voti contrari al Withdrawal Agreement, rispetto ai 202 favorevoli. Uno stacco di ben 230 voti. Ben 118, inoltre, erano stati i deputati conservatori che avevano votato contro l’intesa.

Westminster aveva dato però ancora fiducia alla leadership della premier, bocciando la mozione di sfiducia presentata contro il suo governo dal leader laburista Jeremy Corbyn.

Verso la fine di gennaio, lo spettro del no-deal Brexit si era fatto però più concreto, visto la disfatta storica di May. E l’Fmi rendeva noto che, in caso di no-deal Brexit, il Pil Uk avrebbe potuto crollare fino a -8%.

Verso la fine di febbraio, i rumor sul futuro del Regno Unito si erano inoltre infittiti: voci parlavano di un rinvio della Brexit voluto da una Bruxelles sempre più esasperata addirittura di due anni, mentre Juncker decideva di rimettersi nelle mani di Dio.

Il 27 febbraio il governo May pubblicava un report in cui snocciolava tutti i numeri monstre del Pil in caso di un no-deal Brexit, mentre la premier apriva alla possibilità di rinviare l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Ue dal 29 marzo a data da definirsi.

La probabilità che il 29 marzo si svuotasse di significato diventava sempre più alta. La seconda umiliazione da parte di Westminster sarebbe arrivata il 12 marzo.

Di nuovo gli hashtag BrexitShambles, BrexitChaos, Brextinct tornavano a sprecarsi sulle varie piattaforme social: inutile il pellegrinaggio a Strasburgo di May, che aveva dato piuttosto prova di debolezza politica.

Si parlava ormai sempre più spesso, oltre che dello spettro no-deal Brexit, anche delle opzioni rappresentate dalla revoca dell’Articolo 50 e dalla sua estensione.

La stampa britannica tornava ad assediare May, con titoli da House of Fools a Film dell’Orrore.

Lo scorso 26 marzo, il Parlamento prendeva il controllo del processo Brexit approvando l’emendamento A, che permetteva a Westminster di esprimersi su tutte le opzioni.

Tra queste, un secondo referendum; la permamenza nell’Unione doganale europea e la cancellazione della stessa Brexit con la revoca dell’Articolo 50. Queste opzioni, insieme ad altre, in tutto otto, sono state però poi bocciate indicativamente dalla stessa Westminster.

La situazione è sembrata sbloccarsi con la decisione della premier di accettare di vestire i panni dell’agnello sacrificale e di annunciare le proprie dimissioni, a patto che la Camera dei Comuni, la House of Clowns come l’ha chiamata oggi nel suo editoriale Allison Pearson, approvasse la sua proposta sulla Brexit.

Niente da fare.

Oggi, 29 marzo 2019, proprio quel giorno in cui secondo Pearson il Regno Unito avrebbe dovuto brindare all’Independence Day, Westminster ha bocciato per la terza volta la proposta sui termini di divorzio del Regno Unito dall’Unione europea. L’accordo di ritiro, il cosiddetto Withdrawal Agreement, è stato affossato con 344 voti contro 286.

Il leader dei laburisti Jeremy Corbyn ha preso subito la parola affermando che l’accordo raggiunto con l’Ue, a questo punto, deve cambiare. In caso contrario, è necessario a suo avviso ritornare alle urne.

May ha commentato l’ennesima disfatta parlando di un voto che avrà “gravi” conseguenze.

Eppure la premier non si è ancora arresa.

“Questo governo continuerà a spingere affinché si realizzi ciò che il referendum ha deciso, ovvero una Brexit ordinata”.

Theresa May ha anche aperto alla possibilità di accettare un approccio alternativo, come l’estensione dell’articolo 50 che, però, implicherebbe la partecipazione del Regno Unito alle elezioni europee di fine maggio.

Fermo restando che l’Ue ha stabilito che, in assenza di un accordo interno al paese, il 12 aprile il Regno Unito lascerà il blocco; considerando che “14 giorni non saranno sufficienti a raggiungere un’intesa, trasformarla in legge e ratificarla” (come ha ricordato la premier) e che la stessa Camera dei Comuni ha votato contro un no-deal Brexit, “lunedì la Camera continuerà i lavori – ha continuato May – per cercare di capire se esiste una maggioranza stabile che appoggi una versione alternativa (al mio piano) che disciplini le relazioni future tra il Regno Unito e l’Unione europea”.

Ma ovviamente, “tutte le opzioni richiederanno che venga accettato il Withdrawal Agreement”.

dopo la decisione del Consiglio europeo, che ha deciso la scorsa settimana che, in caso di mancata approvazione della sua proposta Brexit entro il prossimo 12 aprile la proposta di divorzio, ha stabilito – la Hard Brexit, o anche uscita disordinata del paese dall’Unione europea e, in sostanza, un no deal Brexit.

Se invece entro quella data quella proposta riceverà finalmente l’approvazione della Camera dei Comuni, allora il Regno Unito avrà tempo fino al prossimo 22 maggio, per approntare le misure e seguire l’iter legislativo che possa ‘consacrare’ la sua uscita di scena dal blocco europeo.