Juncker non esclude di posticipare data Brexit. E si affida a Dio mentre Honda molla Swindon
Mentre nel Regno Unito non si fa altro che parlare, nelle ultime ore, del caso Honda, il numero uno della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, invoca Dio e, contestualmente, alimenta le speculazioni sulla possibilità che la data ufficiale della Brexit, fissata al 29 marzo di quest’anno, possa essere rimandata.
In un’intervista rilasciata a Stuttgarter Zeitung, Juncker afferma che nessuno, in Europa, si opporrebbe a una eventuale richiesta, da parte del Regno Unito, di estendere le trattative sul divorzio da Bruxelles al di là della data.
D’altronde, visto che lo scorso 15 gennaio Westminster ha bocciato la proposta sulla Brexit della premier Theresa May, frutto di lunghi negoziati con Bruxelles, molti funzionari europei ritengono ora che rimandare la data di uscita effettiva degli Uk dal blocco sia l’unica soluzione possibile, per evitare lo scenario “no-deal Brexit”.
“Una qualsiasi eventuale decisione di chiedere più tempo spetta al Regno Unito – ha precisato Juncker – Nel caso in cui venisse presentata una tale richiesta, nessuno in Europa si opporrebbe. Se chiedete per quanto tempo il ritiro possa essere posticipato, però, vi dico che non ho nessun limite in mente”.
Le trattative potrebbero proseguire anche oltre le elezioni europee previste per il 23-26 maggio?
Finora, sottolinea Reuters, diversi funzionari dell’Unione europea avevano affermato che, visto che la prima sessione del nuovo Parlamento europeo è prevista per il mese di luglio, le trattative per la Brexit non avrebbero potuto continuare oltre la fine di giugno.
Juncker ha ammesso che un’estensione al di là delle elezioni europee sarebbe problematica, ma non l’ha esclusa:
“La Brexit ha fatto saltare già diverse scadenze. Ritengo che sia difficile immaginare la partecipazione al voto (per il rinnovo del Parlamento europeo) da parte dei britannici. Sarebbe ironico, da un punto di vista storico. E tuttavia, non posso escluderlo”.
Il presidente della Commissione europea ha concluso:
“Quando si parla di Brexit, è come essere davanti al giudice o in mare aperto: siamo nelle mani di Dio. E non possiamo mai essere sicuri quando Dio si occuperà della faccenda”.
In tutto questo, a poche settimane dalla data ufficiale della Brexit, fissata al 29 marzo, il colosso giapponese produttore di auto Honda ha annunciato la chiusura dell’impianto di Swindon, nel Regno Unito.
Il Guardian ha messo nero su bianco l’effetto della decisione: fino a 7.000 lavoratori rischiano di rimanere in mezzo alla strada. Inizialmente, la cifra circolata dei posti a rischio era la metà, pari a 3.500 unità.
La ragione delle stime riviste al rialzo si spiega con i rapporti che l’impianto di Swindon ha con altre aziende sussidiarie che fanno parte della catena di offerta e che gravitano attorno alla fabbrica.
Honda insiste che la sua decisione non è legata alla Brexit, ma non convince nessuno, tanto meno la comunità degli analisti.
Certo, spiega il Guardian, ci sono altri fattori determinanti. L’industria globale dell’auto è obiettivamente in difficoltà, alle prese con il rallentamento economico della Cina e con le nuove normative contro l’inquinamento dei veicoli diesel in Europa.
Ma i timori sulla Brexit – individuata come uno dei sette rischi maggiori del 2019 – hanno frenato indubbiamente gli investimenti nel settore, così come in molti altri. “Probabilmente, cercano di essere educati”, ha commentato il professore David Bailey dell’Aston University, facendo riferimento all’ educazione tipica della cultura giapponese.
L’addio di Honda – la chiusura dell’impianto effettiva arriverà nel 2021 – sembra decretare la fine di un’era. Quella in cui non solo Honda ma anche l’altro colosso nipponico Toyota furono attratti nel Regno Unito dall’allora governo di Margaret Thatcher, negli anni ’80, con la promessa di avere un facile accesso ai mercati europei.