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Bank of Japan: shock di Natale storico fa il bis

20 Dicembre 2022 10:56

La Bank of Japan (BoJ) guidata da Haruhiko Kuroda gela i mercati di tutto il mondo, riportando alla mente degli investitori e dei trader lo shock di Natale del 1989, quando alzò a sorpresa i tassi principali di riferimento del Giappone di 25 punti base, al 4,5%, proprio il giorno di Natale.

Motivo dello shock ‘consegnato’ oggi, martedì 20 dicembre 2022, più di 30 anni dopo: la crescita dell’inflazione inizia a far paura anche qui, paese noto più che altro per la persistenza della deflazione.

Di fatto, in quello che è stato il suo ultimo atto del 2022, la BoJ, mosca bianca tra le principali banche centrali del mondo per la politica monetaria ultra espansiva che continua a perseguire – basata sui tassi negativi e su un QE a dir poco scatenato – ha annunciato di aver lasciato il costo del denaro invariato a -0,1% ma di aver apportato anche una modifica al YCC (Yield Curve Control), ovvero allo strumento di controllo della curva dei rendimenti.

In che senso?

La Bank of Japan ha aumentato il range di oscillazione dei tassi dei titoli di stato del Giappone, dalla precedente forchetta compresa tra -0,25% e 0,25% alla nuova banda, compresa tra il -0,5% e il +0,5%.

Bank of Japan sciocca i mercati con aggiustamento YCC

Di primo acchito, la mossa della BoJ è hawkish:

la modifica annunciata all’YCC corrisponde di fatto a una manovra di politica monetaria restrittiva visto che, in questo modo,  la banca centrale del Giappone permetterà  ai tassi di lungo termine di salire da 25 punti base (il precedente limite fissato con la politica YCC) a 50 punti base, il limite annunciato oggi.

Tuttavia, le novità non finiscono qui.

Se innalzare il limite del range di oscillazione a 50 punti base è una mossa da falco, sicuramente non lo è l’annuncio relativo al QE-Quantitative easing (che in Giappone continua a persistere, a fronte di un Quantitative Tightening che, dopo la Fed di Jerome Powell, sarà avviato a breve anche dalla Bce), ovvero l’annuncio di aumentare gli acquisti dei titoli di stato made in Japan fino a 9 trilioni di yen al mese, nel periodo compreso tra gennaio a marzo del 2023.

Quest’ultima è una mossa chiaramente dovish, che arriva tra l’altro in un momento in cui si apprende che, per la prima volta in assoluto, il valore di mercato dei debiti sovrani parcheggiati nel portafoglio della Bank of Japan ha superato la soglia del 50% dei titoli di stato in circolazione.

La notizia è stata diffusa con un report pubblicato ieri dalla BoJ, da cui è emerso che, alla fine di settembre, la banca centrale deteneva titoli di stato giapponesi per un valore di 535,62 trilioni di yen (l’equivalente di $3,92 trilioni) , il 50,3% dei bond in circolazione, valutati in tutto 1,04 quadrilioni di yen: la quota in mano alla Bank of Japan è cresciuta rispetto al 49,6% della fine di giugno.

A tal proposito, vale la pena ricordare che la Bank of Japan finì per essere definita perfino la meme stock in stile GameStop: non tutti sanno, forse, che la BoJ è quotata in Borsa.

Detto questo,  non è al bazooka QE ulteriormente rafforzato che i mercati finanziari globali stanno guardando.

La borsa di Tokyo è stata scioccata dalla serie di annunci della banca centrale, con l’indice Nikkei 225 che ha chiuso in calo del 2,5%.

I tassi dei titoli di stato del Giappone con scadenza a 10 anni sono balzati allo 0,46%, al valore più alto dal 2015.

Lo yen è balzato subito di quasi il 3% fino a quota JPY 133 nei confronti del dollaro Usa, accelerando il recupero degli ultimi giorni dai valori minimi degli ultimi 32 anni. Recupero che era stato sostenuto dalla decisione della Federal Reserve di Jerome Powell e della Bce di Christine Lagarde , di ridurre l’intensità delle strette monetarie dai maxi-rialzi di 75 punti base a +50 punti (mosse che però, come visto anche dalla reazione dei mercati, non implicano alcuna svolta dovish delle istituzioni).

Intervistato dal Financial Times, Mansoor Mohi-uddin, capo economista della Bank of Singapore, ha fatto espressamente il parallelismo tra quanto annunciato oggi da Kuroda & Co. e quello shock di Natale del 1989, ricordando che “la decisione della BoJ di alzare i tassi di interesse nel dicembre del 1989 provocò un grande cambiamento sui mercati giapponesi”.

Secondo Mohi-uddin, proprio quel ricordo “amplifica il significato del segnale inviato ai mercati nella giornata di oggi”, che potrebbe lasciare intendere l’intenzione della banca centrale di iniziare a considerare l’uscita dalla politica di controllo della curva dei rendimenti (YCC).

Kuroda e il paragone con la mossa BoJ del 1989

Intervistato da Bloomberg Martin Whetton, responsabile della divisione di reddito fisso e di strategia sul forex presso Commonwealth Bank of Australia, ha fatto lo stesso paragone con quel Natale di più di 30 anni fa:

E’ stato in questo stesso periodo, 33 anni fa quando, non contenta del cambio dollaro-yen, la BoJ alzò i tassi di 25 punti base, al 4,5%, nel giorno di Natale“, ha sottolineato Whetton.

Dal canto suo, nel notare il deterioramento del funzionamento del mercato dei bond, la Bank of Japan di Kuroda ha annunciato di fatto di prevedere che la revisione dell’YCC “rafforzerà la sostenibilità della politica monetaria accomodante”.

Dalla frase emerge come Kuroda non voglia affatto apparire, di colpo, più hawkish, in vista del suo addio dalla carica di governatore della banca centrale, nell’aprile del 2023.

L’impostazione generale, fino a oggi, è che per la Bank of Japan sarebbe stato inappropriato cambiare l’impostazione della politica monetaria, in un momento in cui l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia aggiunge ulteriori rischi al ribasso per l’economia del Giappone.

Ma è vero anche che il tonfo dello yen di quest’anno ha fatto scattare l’alert diverse volte tra gli stessi esponenti della Bank of Japan, che non potevano più essere ignorati.

Il crollo dello yen preoccupa da parecchio, anche perchè il Giappone è un importatore di materie prime, e l’impennata dei prezzi delle commodities scatenata dalla guerra in Ucraina ha messo in difficoltà le aziende giapponesi, alle prese con l’aumento dei costi.

L’inflazione core del Giappone ha superato inoltre il target del 2% della Bank of Japan per sette mesi consecutivi, salendo al record degli ultimi 40 anni, al 3,6%, nel mese di ottobre.  Questo, mentre diversi analisti avvertono da tempo che l’impegno della BoJ volto a difendere i target YCC ha contribuito a ridurre in modo significativo la liquidità del mercato, provocando – scrive il Financial Times – una “disfunzione” nel mercato dei titoli di stato giapponesi.

Ma l’ultimo samurai dovish cerca di spuntare la spada hawkish

Un segnale, dunque, alle aziende e al forex, Haruhiko Kuroda ha deciso di lanciarlo. Ma il nome Giappone fa rima più con deflazione che con inflazione.

Tanto che Kuroda, noto anche come l’ultimo ultimo samurai dovish , oggi stesso ha ripetuto il mantra “Non esiteremo ad allentare ulteriormente la politica monetaria in caso di bisogno”, sottolineando di ritenere che la crescita dell‘inflazione si smorzerà nel secondo semestre del 2023 e che ci vorrà del tempo prima di raggiungere, in modo sostenibile, il target sull’inflazione.

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Va ricordato che la Bank of Japan lanciò la politica dei tassi negativi nel 2016, al fine di combattere l’ostinata deflazione. I tassi sono stati fissati al -0,1%. E da allora così sono rimasti.

Ma oggi qualcosa è cambiato.