Notizie Notizie Mondo Draghi, dopo appello debito comune sbotta (ancora) contro l’Ue: ‘basta dire sempre no’

Draghi, dopo appello debito comune sbotta (ancora) contro l’Ue: ‘basta dire sempre no’

28 Febbraio 2024 10:35

L’ex presidente del Consiglio e della Bce Mario Draghi torna a lanciare un appello accorato all’Europa, nel tentativo di scuotere una Unione europea che rimane, a suo avviso, fin troppo letargica e abituata a dire ormai sempre no.

Dopo l’altro appello rilanciato qualche giorno fa con cui ha ribadito la necessità di creare un fondo di debito comune – più volte l’ex premier si è presentato a tal proposito paladino dei tanto discussi eurobond – Draghi ha parlato ieri a Strasburgo, intervenendo alla riunione della Conferenza dei presidenti delle commissioni del Parlamento europeo.

Draghi all’Ue: ‘per favore, si faccia qualcosa, non si può dire sempre no’

Così l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi:

Mi hanno chiesto al termine di Ecofin quale sia l’ordine delle riforme necessarie per l’Ue. Quale sia l’ordine non lo so, ma per favore, è il momento di fare qualcosa, decidete voi cosa ma per favore, si faccia qualcosa, non si può passare tutto il tempo a dire no.

L’incontro tra Draghi e i presidenti delle commissioni ha avuto come ordine del giorno il dossier sulla competitività, che l’ex presidente del Consiglio è stato chiamato a redigere qualche mese fa dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Parlando ieri con i presidenti delle commissioni del Parlamento europeo, Draghi ha invitato l’Ue praticamente a una rivoluzione, nell’Unione europea, che si incentri intanto sulla riforma delle regole, per la precisione su un impianto di riforme strutturali.

“I soldi sono solo un aspetto del problema. L’altro aspetto è una profonda rivisitazione delle regole che abbiamo costruito e sulle quali abbiamo lavorato. Il mercato unico è un altro esempio: le chiamavamo riforme strutturali. E’ quello che dobbiamo fare ora: riforme strutturali, a livello di Unione Europea”.

D’altronde, “il mercato unico è altamente imperfetto: ci sono centinaia di direttive che non vengono attuate, o che vengono attuate in modo diverso a seconda dei Paesi”.

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Stando alla nota dello staff di Draghi riportata da Askanews, l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato che “lo scambio ha dimostrato quanto globale e complessa sia la strada per riconquistare la nostra competitività, in particolare in termini di mobilitazione degli investimenti per le massicce esigenze” dell’Ue.

“Draghi ha sottolineato la necessità di essere competitivi per mantenere i nostri sistemi di welfare e preservare i nostri valori fondamentali’, e soprattutto ‘ha chiesto riforme strutturali a livello dell’Ue e il ritrovamento della capacità di agire collettivamente per gli interessi collettivi’.

L’ex presidente della Bce ha spiegato che “ripensare le nostre politiche economiche per aumentare la crescita della produttività e della competitività è essenziale per preservare il modello sociale unico dell’Europa”.

Draghi ha presentato ai presidenti delle Commissioni anche alcuni interrogativi a cui è di primaria importanza rispondere nel modo più efficace possibile, per il bene dell’Europa:

  • “In primo luogo, come possono le nostre istituzioni mobilitare una migliore spesa pubblica per sostenere gli investimenti privati negli innovatori che guidano la doppia transizione, verde e digitale?”
  • In secondo luogo, cosa possiamo fare per stimolare e accelerare l’innovazione pionieristica?
  • Infine: “come possiamo colmare il disallineamento delle competenze in Europa?”

Va detto che più volte Mr. Whatevet It Takes, così come è noto l’ex presidente della Bce, per la sua prontezza a fare qualsiasi cosa per blindare l’Europa dalle speculazioni di chi non esitò a scommettere sul suo collasso ai tempi della crisi dei debiti sovrani, ha strigliato l’Ue, spronandola a fare di più per colmare quel gap che la vede rimanere indietro soprattutto agli Stati Uniti, sia in termini di unione economica e politica che, di conseguenza, in termini di crescita dei mercati e di competitività.

Draghi e l’appello per una difesa Ue che sia davvero comune

L’Europa si dia una mossa, aveva già detto Draghi alla metà del mese di febbraio con un altro discorso, non risparmiando rimproveri ai cosiddetti isolazionisti.

Parole sue:

Anche i più duri isolazionisti in Europa devono rendersi conto che ogni Paese europeo è troppo piccolo da solo”.

E questo significa mettere insieme le risorse anche per il lancio di una difesa che sia davvero comune.

Nel suo discorso alla conferenza della National Association for Business Economics a Washington, dove ha ricevuto il premio Volcker alla carriera, Draghi ha affermato che “c’è un forte bisogno di coordinare le nostre spese sulla difesa per evitare i duplicati e gli sprechi”.

“D’altra parte dobbiamo investire su alcuni settori della difesa e tutto questo è possibile solo con una visione comune della difesa e della politica estera“.

Insomma, ha detto senza fare tanti giri di parole Mario Draghi, l’Europa deve “darsi una smossa” per dotarsi di una difesa che sia realmente comune.

Dal paladino degli eurobond la proposta di fondo di debito comune

Qualche giorno dopo essere stato insignito del premio Volcker, lo scorso 24 febbraio, arrivando a Gand alla riunione informale dei ministri delle Finanze (Ecofin), per confrontarsi sempre sul rapporto sulla competitività europea a cui sta lavorando, Mario Draghi ha anche sottolineato la necessità che l’Europa si doti di un fondo di debito comune, ricordando che per le transizioni digitali e green servono ben 500 miliardi di euro.

“Negli ultimi anni si sono verificati molti cambiamenti profondi nell’ordine economico globale e questi cambiamenti hanno avuto una serie di conseguenze, una delle quali è chiara: in Europa si dovrà investire una quantità enorme di denaro in un tempo relativamente breve, e sono impaziente di discutere di ciò che i ministri delle Finanze pensano e stanno preparando su come finanziare queste esigenze di investimento”, ha detto l’ex presidente del Consiglio in vista della riunione dell’Ecofin, promuovendo l’idea di un vero bazooka che doti davvero l’Unione europea di una potenza di fuoco con cui finanziare gli investimenti necessari.

A tal proposito, oltre ai risparmi pubblici sono necessari anche i risparmi privati.

Non intendo solo il denaro pubblico, ma anche i risparmi privati“, ha precisato in quella occasione: in particolare, “come si potrebbero mobilitare le risorse private in misura molto più elevata rispetto al passato”.

Anche perchè, di fatto “il denaro pubblico non sarà mai abbastanza”, in una situazione in cui è cruciale riflettere su “come mobilitare il risparmio in Europa, così come è stato mobilitato negli Stati Uniti, e a come mobilitarlo per investimenti produttivi”.

Gli Stati Uniti: quelli Stati Uniti che proprio grazie alloro capacità di essere anche nei fatti una unione, contrariamente a una Unione europea che lo è solo sulla carta, sono riusciti a tornare ai livelli precedenti la crisi finanziaria globale esplosa nel 2008, nell’arco di due anni, contro i nove che ha impiegato l’Europa.

Tra l’altro, oltre a quei 500 miliardi di euro l’anno, servirebbero risorse imponenti anche per la difesa, per l’appunto, e per lanciare altri investimenti.

I bisogni delle transizioni verde e digitale sono stimati in almeno 500 miliardi di euro l’anno, a cui vanno aggiunti la difesa, gli investimenti produttivi. Il divario dell’Ue rispetto agli Usa si sta allargando soprattutto dopo il 2010. Agli Usa sono serviti due anni per tornare ai livelli precedenti, all’Ue nove anni, e da allora non siamo saliti. C’è un gap di investimenti dell’1,5% del Pil pari a 500 miliardi di euro

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Insomma, l’Europa si muova: è questo il semplice ma forte messaggio che l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi lancia ormai da mesi.

Ma come, non abbiamo un mercato unico? Sì, in teoria, in pratica no. Ci sono tanti mercati e quindi le piccole imprese che nascono in Europa”, che puntano sull'”innovazione e sulla tecnologia, perchè abbiamo ancora tanti centri di ricerca, appena cominciano a svilupparsi si spostano e vanno negli Stati Uniti, oppure vendono agli imprenditori di altre parti del mondo”, aveva detto Draghi alla fine di novembre, durante la presentazione del libro di Aldo Cazzullo ‘Quando eravamo padroni del mondo’.

“Il modello di crescita europeo si è dissolto, fondamentalmente, quindi non possiamo più far conto su quelli che erano i pilastri di prima. Occorre reinventarsi un modo diverso di crescere: e per farlo, però, a differenza che in passato, occorre diventare Stato”.

Ancora prima, in coerenza con il suo spirito europeista, che ha sempre fatto da faro alle sue scelte, nelle vesti di presidente del Consiglio, nel marzo del 2021, Draghi aveva riproposto l’idea degli eurobond, sfidando il “nein-nee” dell’Asse del Nord, ovvero i falchi dell’Europa, Germania e Olanda in primis.

“Negli USA hanno un’unione dei mercati dei capitali, un’unione bancaria completa, e un safe asset”, aveva rimarcato.

E ancora, l’ex timoniere della Bce, noto tra le altre cose per la famosa frase – “l’euro è irreversibile” –  nel parlare degli ostacoli che bloccano il percorso verso una Europa davvero unita, aveva citato il caso del volo del calabrone, rimarcando come l’esigenza di una maggiore integrazione si fosse fatta più impellente, con una Europa davanti a un “bivio storico”:

Per prossimo volo del calabrone, Draghi aveva spiegato di intendere “il sentiero verso una politica di bilancio comune nell’Eurozona”. Ovvero il lancio degli eurobond. Qualcosa che in Europa rimane ancora una utopia – sebbene il lancio del NextGenerationEU abbia rappresentato un grande passo in avanti – per l’opposizione dei soliti falchi.

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