Bce, Fmi pro-Lagarde: ‘alzi ancora tassi’. Ai governi: ‘ridurre i deficit’
L’Fmi blinda la Bce di Lagare sui tassi e striglia i governi. L’alert deficit e Patto di stabilità
E ora è lo stesso Fmi, Fondo Monetario Internazionale di Kristalina Georgieva, a blindare la Bce di Christine Lagarde, sempre più falco sui tassi nella sua lotta disperata contro l’inflazione.
In un rapporto ad hoc dedicato all’economia dell’Eurozona, l’Fmi ha scritto chiaramente che la Bce deve continuare ad alzare i tassi per sfiammare la crescita dell’inflazione.
L’Fmi ha lanciato anche un appello ai governi del blocco e a tutta l’Unione europea, affinché riducano i loro deficit, parlando della necessità che vengano approvate al più presto le regole del nuovo Patto di Stabilità e di Crescita, ovvero le nuove regole che fisseranno i limiti del debito e del deficit di ciascuna nazione dell’Ue.
Non c’è pace insomma per l’area euro.
Già alle prese con una recessione tecnica e con una Bce che non ha alcuna intenzione di arretrare sui tassi, rischiando di mettere dunque di affossare ulteriormente i fondamentali dell’economia, l’Eurozona fa i conti anche con i nuovi attenti al debito e al deficit dell’istituzione di Washington.
L’ostinazione di Lagarde a lottare contro un’inflazione che è ancora più testarda di quanto previsto in precedenza dalla stessa Bce è condivisa anche dall’Fmi.
Pochi giorni fa l’assist a Lagarde era arrivato anche dall’Ocse, che aveva affermato con il suo Economic Outlook 2023 come le banche centrali, in generale, dovessero continuare ad alzare i tassi contro un’inflazione ancora persistente.
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“Bce continui ad alzare i tassi”. E c’è anche strigliata deficit ai governi
“La politica monetaria deve continuare a essere restrittiva per riportare l’inflazione al target (del 2% per la Bce e per la Fed) in modo tempestivo”, si legge nel rapporto dell’Fmi, che è stato presentato ai ministri delle finanze dell’Eurozona e alla Bce.
Il ciclo di strette monetarie della Bce, insomma, non solo non è finito, ma neanche deve finire: non solo per Lagarde, ma anche per l’Fmi.
Questo, dopo che proprio ieri l’Eurotower ha alzato i tassi sui depositi dell’area euro, che fino a poco più di un anno fa erano negativi, al 3,50%, record dal 2001.
Come se non bastasse, Washington ha ammonito anche i governi, invitandoli a tagliare la spesa pubblica:
“A continuare dovrebbe essere anche il consolidamento fiscale”. Motivo, aiutare la Bce a sfiammare l’inflazione, ovvero “indebolire le pressioni inflazionistiche”, per poi, l’Fmi questo lo concede “ricostruire uno spazio di manovra fiscale”.
Bce blindata dall’Fmi e dall’Ocse
Ieri la Bce di Lagarde, con una mossa che era largamente attesa dai mercati, ha alzato i tassi sui depositi dell’area euro al 3,5%, ovvero al record degli ultimi 22 anni, e i tassi di rifinanziamento al 4%, record dai tempi della Bce di Jean-Claude Trichet, ovvero dalla metà del 2008.
La stretta monetaria, l’ottava consecutiva da quando la Bce di Christine Lagarde è intervenuta (troppo tardi) contro l’impennata dell’inflazione dell’area euro, non è l’ultima.
Nonostante la recessione, la presidente Lagarde ha detto che un altro rialzo dei tassi, nella prossima riunione di luglio, è, infatti, “molto probabile”. E, in ogni caso, ha confermato, “non stiamo pensando di fare una pausa”, se per pausa si intende quella che era stata annunciata poco meno di 24 ore prima dalla Fed di Jerome Powell.
Ignorati del tutto gli appelli del governo Meloni, che ieri hanno visto protagoniste le nuove dichiarazioni del vicepremier e ministro di Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini.
“La presidente della Bce Lagarde si rende conto che con la sua politica sui tassi riduce di qualche decimo di punto l’inflazione ma danneggia famiglie e imprese?”, aveva detto ieri il leader della Lega, poco prima dell’annuncio.
Che se ne renda conto o meno, la Bce non ha intenzione di mollare la presa.
Ormai, dicono in molti, per Lagarde uscire vittoriosa da questa battaglia contro un’inflazione (che però è chiaramente più ostinata di lei) è una questione di principio e di credibilità.
Dall’altro lato, i critici fanno notare che a essere a rischio, ormai, è proprio la credibilità di Lagarde, e di riflesso della Bce, visto che finora l’effetto di quella carrellata di strette monetarie è stato quello di far scivolare l’economia dell’Eurozona in una condizione conclamata di recessione tecnica.
E non è certo solo la Bce a volere che i tassi continuino a salire. La visione di Lagarde è blindata dall’Fmi, e anche dall’Ocse.
“Ulteriori aumenti dei tassi di interesse sono ancora necessari in molte economie, incluse quelle degli Stati Uniti e dell’area euro”, si era espressa così l’organizzazione parigina, qualche giorno prima che la Bce e la Fed sfornassero i loro verdetti sui tassi.
Ocse e FMI approvano dunque il lavoro di Christine Lagarde, mentre la situazione in cui versa l’economia dell’area euro si fa sempre più critica.
Tra l’altro, come se non bastasse, oltre al continuo rialzi dei tassi, l’Eurozona fa fronte anche all’effetto della fine dei giochi per quella flebo monetaria nota come QE o, in termini tecnici, come Asset Purchase Program (APP-PPA in italiano), che per tanti anni ha messo in sicurezza i BTP e gli altri titoli di stato dell’area euro.
Con quel bazooka monetario ormai mandato in soffitta e soppiantato dal QT-Quantitative Tightening, i debiti sovrani dell’area euro non possono più contare sull’azione salvifica che era stata assicurata dalla Bce, e che era stata concepita dall’ex presidente dell’Eurotower Mario Draghi.
Fmi spinge per ok a nuovo Patto stabilità e di crescita
Tornando all’Fmi, l’istituzione di Washington ha premuto l’accento anche sul bisogno che i governi Ue approvino il prima possibile il nuovo Patto di stabilità e crescita, che conterrà, tra gli altri, i nuovi diktat europei sul debito e sul deficit dell’area.
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A tal proposito, anche l’Ocse aveva strigliato l’Europa sulla necessità di rimettere in ordine i propri conti pubblici, sottolineando che, a suo avviso, i governi dovrebbero contribuire alla lotta che le banche centrali hanno lanciato contro l’inflazione.
Il monito dell’Ocse era stato rivolto in particolare agli stimoli fiscali attivati contro il caro energia dal blocco, per proteggere i consumatori dal caro energia e, in particolare, dal caro bollette.
“Aiuti più mirati e una riduzione tempestiva degli aiuti complessivi aiuterebbero ad assicurare la sostenibilità fiscale, a preservare gli incentivi a consumare meno energia e a limitare gli stimoli aggiuntivi alla domanda, in un momento di elevata inflazione”, aveva scritto l’organizzazione, rimarcando la strigliata che, in questi mesi, è arrivata più volte dalla stessa Eurotower.
Anche Lagarde attenta al nodo debito pubblico
La stessa Lagarde ieri ha affondato ulteriormente il coltello nella piaga del debito:
“Con il venir meno della crisi energetica i governi dovrebbero ritirare le relative misure di sostegno tempestivamente e in maniera concordata per evitare di sospingere al rialzo le pressioni inflazionistiche di medio termine, rendendo necessaria una risposta più forte di politica monetaria”, ha detto ieri l’ex numero uno dell’Fmi, nel discorso con cui ha motivato la decisione della Bce di alzare nuovamente i tassi principali di riferimento dell’area euro.
Lagarde ha continuato, affermando che “le politiche di bilancio dovrebbero essere concepite per rendere la nostra economia più produttiva e ridimensionare gradualmente il debito pubblico elevato. Le politiche volte a migliorare la capacità di approvvigionamento dell’area dell’euro, soprattutto nel settore energetico, possono inoltre contribuire a ridurre le spinte sui prezzi nel medio periodo. La riforma del quadro di governance economica dell’UE dovrebbe essere conclusa a breve”.
L’inflazione spaventa ancora. Focus su outlook Bce
L’inflazione, in Eurozona, continua a mantenersi troppo alta. Questa la view di Christine Lagarde, che ieri è stata costretta ad annunciare anche che è stata la stessa Bce a rivedere al rialzo le stime sulla crescita dell’inflazione.
Per quanto riguarda l’inflazione headline, le stime ora sono di un tasso di inflazione al 5,4% nel 2023, in rallentamento poi al 3% nel 2024 e al 2,2% nel 2025.
Riguardo all’inflazione core, anche in questo caso l’Eurotower stima una crescita dei prezzi più persistente rispetto a quanto era emerso dall’outlook precedente:
Il ritmo di crescita dell’inflazione core atteso per l’area euro è pari così al 5,1% nel 2023, in calo al 3% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. Numeri ancora troppo forti, che dimostrano come l’Eurotower non sia ancora soddisfatta del trend delle pressioni inflazionistiche.
Ciò che preoccupa, è che le previsioni indicano un tasso di inflazione che rimarrà superiore al target prefissato dalla Bce, pari al 2%, anche nel corso del 2024. E l’Fmi non fa niente per nascondere la sua stessa preoccupazione.
Che tra l’altro scrive, nel rapporto dedicato all’Eurozona, che “si prevede che la crescita aumenterà modestamente per tutto il 2023 e il 2024, sostenuta da una lenta ripresa dei redditi reali, un ulteriore allentamento dei vincoli di offerta e una domanda esterna più solida, anche se le condizioni finanziarie continuano a inasprirsi”. Insomma, tempi duri per il blocco, mentre la battaglia contro l’inflazione non è stata ancora vinta.