Banche Usa: a Wall Street torna la paura in vista stop schema Fed. Non solo NYCB: il grande attacco short
Attenzione a Wall Street, dove tra le grandi notizie di queste ultime ore si mette in evidenza la grande scommessa short contro i titoli delle banche regionali Usa, che ha consentito ai protagonisti delle vendite allo scoperto di incassare quasi 1 miliardo di dollari dall’inizio del 2024.
L’attacco short è partito sulla scia dei guai che hanno colpito la banca regionale Usa New York Community Bancorp (NYCB), vittima della sua esposizione ai problemi del mercato immobiliare commerciale americano.
Le vendite si spiegano tuttavia anche con l’arrivo di una data clou per il sistema bancario degli Stati Uniti:
quella del prossimo lunedì 11 marzo 2024, che corrisponde alla data di scadenza di uno schema lanciato dalla Fed proprio al fine di mettere in sicurezza le banche Usa.
Banche Usa: assist Fed post crac SVB al capolinea. Cosa è lo schema BTFP
Il problema che sta scatenando la furia degli short sellers contro i titoli delle banche regionali Usa è riassunto nell’acronimo BTFP, che sta per Bank Term Funding Program:
si tratta di un piano che è stato sfornato dalla Federal Reserve, banca centrale americana capitanata dal presidente Jerome Powell.
Il programma è stato attivato dalla Fed in risposta alla crisi bancaria Usa esplosa nel marzo del 2023 con il crac di tre banche regionali: Signature, Silvergate e Silicon Valley Bank (SVB).
Crac che scattò nel bel mezzo dei rialzi dei tassi di interesse che la Fed di Jerome Powell continuava a lanciare per mettere in ginocchio l’inflazione troppo alta negli Stati Uniti. Non fu una coincidenza.
Proprio quelle strette monetarie annunciate ripetutamente avevano eroso il valore dei Treasury Usa di cui le banche avevano fatto incetta e che ristagnavano da tempo nei loro bilanci.
Fu il collasso di SVB del 10 marzo del 2023 a scatenare il fenomeno del bank run, ovvero della corsa agli sportelli da parte di diversi correntisti americani che, presi dall’ansia di non poter veder tornare più indietro i loro risparmi, innescarono il fenomeno della fuga dei depositi.
Il risultato fu l’intervento delle autorità federali degli Stati Uniti che, tra le varie iniziative, lanciarono anche un piano per arginare l’emorragia di fondi dagli istituti di credito: il piano BTFP, praticamente uno schema volto ad arginare il panico, che ha permesso alle banche Usa di chiedere prestiti alla Fed presentando come garanzia i bond presenti nei loro bilanci.
Grazie a questo piano, le banche Usa sono riuscite a finanziarsi facilmente presso la Fed.
Non solo: con lo schema i bond presentati a titolo di garanzia dalle banche Usa sono stati prezzati al loro valore nominale e non al valore di mercato (che li avrebbe invece svalutati). In questo modo le banche hanno schivato una svalutazione che, per effetto dei rialzi dei tassi della Fed, avrebbe inevitabilmente colpito i titoli presenti nei loro portafogli, a danno dei loro bilanci.
Con questa mossa, insomma, come si deduce dall’articolo “Why economists are warning of another US banking crisis “, la Fed ha praticamente fatto da assist agli stessi bilanci degli istituti.
In realtà, alcuni analisti spiegano che la fine dello schema non è necessariamente sinonimo di guai in vista per le banche americane.
Detto questo, lo stop del BTFP, atteso per lunedì prossimo 11 marzo, priverà ovviamente gli istituti di credito della possibilità di finanziarsi a basso costo presso la Fed, facendo così salire i costi di accesso ai finanziamento, a danno dei margini di profitto. Ciò significa che le banche americane, per tutelarsi, potrebbero decidere di imporre tassi di interesse più alti sui prestiti che erogano ai loro clienti o di stringere i rubinetti del credito, a discapito dell’economia.
Gli ETF vittime degli short. Un anno fa il collasso di SVB
Alla fine di questo piano si affianca anche la carrellata di notizie che ha travolto di recente la banca regionale New York Community Bancorp (NYCB), con effetti che si sono manifestati anche oltreoceano e che hanno alimentato nuovi timori verso quegli istituti di credito che sono esposti al mercato immobiliare commerciale Usa.
Gli short sellert hanno fiutato prontamente l’affare, attaccando il settore delle banche regionali, in particolare l’ETF delle banche regionali Usa SPDR S&P Regional Banking ETF (KRE), vittima illustre delle speculazioni short.
E’ lo stesso trend YTD dell’ETF, capitolato dall’inizio del 2024 del 9,2% a parlare, come si legge nell’ articolo di Reuters che fa riferimento al boom delle vendite allo scoperto.
Non è tra l’altro di nessun auspicio il commento di Robert Riva, socio della divisione mercato immobiliare dello studio legale Cole Schotz.
“Credo che l’esposizione al mercato immobiliare commerciale (CRE) interesserà molte più banche”.
Per Riva, di fatto, “non si tratta di qualcosa che è limitato a qualcuno che forse sta commettendo gli stessi errori di Lehman Brothers, 15 anni più tardi. Si tratta di un problema che riguarda tutto il settore”.
Dai dati sugli attacchi short lanciati contro le banche Usa, raccolti dal gruppo Ortex, emerge che le vendite allo scoperto stanno colpendo anche l’ETF Invesco KBW Regional Banking ETF, un altro ETF che replica i titoli del comparto bancario.
Si apprende inoltre che le banche che gli short sellers stanno prendendo di mira, scommettendo sia contro l’ETF Invesco KBW che contro l’altro ETF sono Bank of Hawaii Corp (BOH.N), Axos Financial (AX.N) e Columbia Financial (CLBK), con short interest che erano pari rispettivamente al 15,98%, 11,73% e 9,38%, in data 1° marzo.
Per molti, quanto sta accadendo a Wall Street sembrerà una sorta di remake della crisi bancaria Usa esplosa esattamente in questo stesso periodo nel corso del 2023:
erano i primi giorni di marzo quando Wall Street e i mercati finanziari finirono bombardati da una raffica di sell contro i titoli bancari, scatenata dalla notizia del crac della banca regionale Usa SVB (Silicon Valley Bank). Una piccola banca made in Usa che, travolta dal panico bank run, fu costretta a chiudere i battenti.
La paura di nuovi ulteriori casi infettò i mercati finanziari di tutto il mondo, travolgendo in modo particolare Wall Street e le borse europee.
Qualcuno paragonò la fine dei giochi di SVB anche al collasso di Lehman Brothers, che 15 anni prima aveva inaugurato la crisi finanziaria globale del 2008.
D’altronde, quello di Silicon Valley Bank non sembrava un caso isolato:
il crollo si accompagnava infatti al fallimento di Signature Bank, la banca di New York specializzata nell’erogazione dei prestiti a società attive nel mondo crypto e, anche, alla fine delle trasmissioni anche per Silvergate, che era già andata in liquidazione.
Mentre nell’occhio del ciclone finivano tutte le banche regionali Usa, qualche settimana dopo esplodeva anche il caso dell’altra banca First Republic, che si sarebbe concluso con il salvataggio dell’istituto da parte della banca numero uno degli Stati Uniti per valore di asset, JP Morgan.
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Quel salvataggio, che vide JPMorgan vestire i panni del cavaliere bianco sembrò scrivere la parola fine al panico che aveva travolto Wall Street.
Nei mesei successivi, non sarebbero mancati tuttavia diversi avvertimenti sulle condizioni reali di salute delle banche regionali Usa.
Un anno dopo, con l’imminente stop del piano di sostegno della Fed, si torna a parlare delle vulnerabilità degli istituti di credito degli Stati Uniti.
Crisi banche riscattata con NYCB: Moody’s dice sempre più junk
A essere attenzionato rimane il titolo New York Community Bank (NYCB), crollato nella sessione di ieri del 23% e precipitato al valore minimo dal 1996.
Le azioni di NYCB erano già crollate del 25% nella sessione di venerdì scorso, a causa della notizia relativa all’uscita di scena del ceo Thomas Cangemi, così come anche della perdita di bilancio balzata di ben 10 volte al rosso di $2,7 miliardi nel corso del quarto trimestre del 2023.
Ad affossare ulteriormente le quotazioni della banca, sono stati anche l’annuncio sulla debolezza della rete di controlli interna e i downgrade arrivati da Moody’s e Fitch Rating nella serata di venerdì 1° marzo.
Fitch ha bocciato il rating del debito di NYCB a “junk”, mentre Moody’s ha rivisto al ribasso il suo giudizio, già pari a “junk”, portandolo ulteriormente in territorio “spazzatura”.
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