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Silicon Valley Bank (SVB): davvero come Lehman?

12 Marzo 2023 19:37

SVB Silicon Valley Bank come Lehman Brothers?

SVB alias Silicon Valley Bank, la banca delle start up: il paragone con Lehman Brothers è la prima cosa che colpisce in questo dramma della finanza made in Usa. Ma fino a che punto ha senso?

L’accostamento è sicuramente inevitabile, in quanto si tratta della prima grande banca americana fallita dalla crisi finanziaria globale esplosa nel 2008 a seguito del crac di Lehman Brothers.

SVB è anche la seconda banca Usa più grande a collassare, nella storia made in Usa, dopo il fallimento, sempre nel 2008, di Washington Mutual.

Certo è che le immagini che sono circolate, e che hanno ritratto le autorità federali americane stazionare di fronte al quartiere federale della banca, a Santa Clara, in California, per sequestrare gli asset di una SVB ormai fallita, al fianco di diversi clienti dallo sguardo attonito e interrogativo, hanno riportato alla mente le immagini che fecero il giro del mondo ormai quasi 15 anni fa, quando le macchine fotografiche incisero nella storia della finanza la processione dei dipendenti ormai ex di Lehman Brothers.

Quelle foto di dipendenti con tanto di scatoloni in mano, che fino a qualche ora prima avevano lavorato nell’edificio della banca situato nella Midtown di Manhattan, lungo la 7th Avenue di New York, avrebbero campeggiato nelle prime pagine dei quotidiani internazionali, sancendo e descrivendo la fine di un’epoca fin troppo dorata per le banche di investimento forse anche più delle parole che cercarono di commentare e riportare lo shock avvenuto.

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Il caso Lehman Brothers

La fine dell’era di Lehman Brothers si fa risalire al 15 settembre del 2008, giorno in cui quella che era stata la quarta banca d’affari più grande degli Stati Uniti, con 25.000 dipendenti in tutto il mondo, faceva crac andando ufficialmente in bancarotta.

NEW YORK – SEPTEMBER 15: An employee of Lehman Brothers Holdings Inc. carries a box out of the company’s headquarters building (background) September 15, 2008 in New York City. Lehman Brothers filed a Chapter 11 bankruptcy petition in U.S. Bankruptcy Court after attempts to rescue the storied financial firm failed. (Photo by Chris Hondros/Getty Images)

Fondata nel 1844, la banca che era riuscita a sopravvivere alla carrellata di bancarotte delle ferrovie che nel 1800 avevano prostrato l’economia americana, alla Grande Depressione, a ben due Guerre mondiali, al buco di bilancio che si era presentato nel 1994 quando l’istituto si era separato da American Express, al collasso storico dell’hedge fund Long Term Capital Management e al default della Russia del 1998, non riuscì a sopravvivere al disastro che essa stessa creò, scommettendo sul castello di carta del business degli asset garantiti dai mutui, ovvero sui cosiddetti strumenti MBS.

Castello che si dissolse con il collasso del mercato immobiliare degli Stati Uniti e che certificò il fallimento della banca.

Lehman Brothers divenne così il triste simbolo degli eccessi della finanza che scatenarono la Crisi Finanziaria del 2007-2008 che contagiò il mondo intero.

Diverse furono le banche con bilanci intossicati da quegli investimenti in mutui subprime diventati ormai carta straccia che furono costrette a chiudere i battenti, scatenando così la Great Recession 2008, termine che viene utilizzato non solo in riferimento alla recessione che colpì gli Stati Uniti (in realtà già a fine 2007) fino al 2009, ma anche alla recessione che azzannò il mondo intero nel 2009.

Nel periodo compreso tra il quarto trimestre del 2007 e il secondo trimestre del 2009, il Pil Usa crollò del 4,3% su base reale, riportando la flessione più forte del Dopoguerra; il tasso di disoccupazione degli Stati Uniti, pari al 5% nel dicembre del 2007, volò al 9,5% nel giugno del 2009, per poi testare il picco del 10% nell’ottobre del 2009.

In media, i prezzi delle case Usa capitolarono del 30% circa dal massimo della metà del 2006 alla metà del 2009, mentre l’indice benchmark di Wall Street S&P 500 scivolò del 57% dal picco dell’ottobre del 2007 al minimo del marzo del 2009.

La ricchezza netta delle famiglie e delle organizzazioni no-profit americane scese da un valore di 69 trilioni di dollari circa del 2007 a 55 trilioni del 2009.

Una ecatombe, insomma, che contagiò in quegli anni il mondo intero.

SVB: davvero la nuova Lehman Brothers?

Si può paragonare il crac di Lehman Brothers a quello di SVB, Silicon Valley Bank, i cui annunci hanno affossato i mercati di tutto il mondo?

In un mondo che si riscopre più vulnerabile che mai, con la guerra in Ucraina provocata dall’invasione della Russia che ha stravolto i connotati della stessa scacchiere geopolitico globale, l’accostamento può avere senso.

Si sta parlando d’altronde della più grande banca americana finita nelle mani di un curatore fallimentare dal collasso di Washington Mutual avvenuto nel 2008, all’apice della crisi finanziaria globale, come scrive l‘articolo del New York Times: The Second Biggest Failure che ricorda come, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2015, furono più di 500 banche garantite dalle autorità federali a fallire.

Il New York Times lo scrive chiaro e tondo:

“Non è chiaro se il collasso di Silicon Valley Bank contagerà tutto il settore. La banca conosciuta soprattutto per aver erogato i suoi prestiti alle start-up attive nei comparti della tecnologia e dell’health-care, presentava asset per un valore di $209 miliardi alla fine dello scorso anno, confermandosi la 16esima banca più grande degli Stati Uniti. Ma il suo valore è tuttora basso rispetto alle tre banche più grandi degli Stati Uniti, ciascuna delle quali detiene asset per un valore superiore a $1 trilione, disponendo di modelli di business e di una clientela più diversificati”.

Qualcosa, dalla storia, le banche americane hanno inoltre imparato, anche se forse è il caso di dire che sono state costrette a imparare.

Quell’insieme di regole che sono state attivate per regolamentare le banche più grandi degli Stati Uniti a seguito della crisi finanziaria, prevedono infatti “richieste di capitali severe, il che significa che gli istituti devono disporre di un certo ammontare di riserve per prepararsi a momenti di crisi”.

Esistono inoltre clausole che ordinano alle banche una certa diversificazione dei loro business.

L’articolo ricorda la reazione dei mercati avvenuta nella giornata di venerdì 10 marzo, quando le notizie relative alla sospensione del titolo  SVB a Wall Street e all’annuncio della decisione della Federal Deposit Insurance Corporation (FIDC) di sequestrare gli asset della banca californiana, hanno provocato la fuga degli investitori dai titoli, anche, di altre banche.

In particolare le vendite si sono accanite contro First Republic e Signature, con il titolo Signature capitolato di quasi il 23%.

Il New York Times fa notare che i titoli delle grandi banche come JP Morgan, Wells Fargo e Citigroup sono riusciti tuttavia a schivare le vendite.

Banche regionali: la mossa di Trump sostenuta dal ceo di SVB

Va detto che le regole più severe sui capitali varate per le banche americane non sono da un po’ di tempo a questa parte più uguali per tutte.

Il quotidiano newyorchese rimarca l’intervento dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, nel 2018, firmò una proposta di legge intesa a ridurre i controlli delle autorità su molte banche regionali.

Tra i sostenitori della mossa di Trump, ci fu proprio lui, il ceo di Silicon Valley Bank (SVB), Greg Becker che, fino all’ultimo, negli ultimi giorni, ha cercato di convincere i clienti in merito alla solidità della banca.

Quella legge che porta la firma di Trump non solo provocò uno sfoltimento dei controlli precedentemente imposti a tutte le banche.

Tra le altre cose – si legge nell’articolo del New York Times – (quella legge) ha anche cambiato l’ammontare di cash che queste banche (regionali) devono detenere in bilancio per proteggersi contro l’arrivo di eventuali shock”.

Certo, se ci si limita a guardare alle banche che finanziano le start up della Slicon Valley, come ha riferito al TIME il finanziatore di una delle tante aziende che hanno rivoluzionato ultimamente il panorama della Silicon Valley, viene da fare il seguente commento:

“E’ come se la Silicon Valley si trovasse di fronte a un momento Lehman Brothers, come qualcosa che mai avrebbe dovuto accadere fosse accaduto, visto che si sta parlando di una banca di fiducia”.

Silicon Valley Bank: il parere di Larry Summers e Paul Krugman

Un alert per il futuro della Silicon Valley è stato lanciato nel corso di una intervista rilasciata a Bloomberg TV anche dall’ex segretario al Tesoro Usa, Larry Summers, che ha avvertito che, in caso di mancato intervento da parte del governo, ci potrebbero essere “conseguenze notevoli per la Silicon Vallery e per l’economia dell’intero settore del venture capital”.

Ma, al di là della Silicon Valley Bank, pochi azzardano a definire il fallimento di SVB un Lehman Brothers moment.

Tra questi c’è lo stesso Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman che, in un thread pubblicato su Twitter, ha detto che, più che essere la nuova Lehman Brothers, SVB è una “Schmoozing and Vibes Bank”.

A suo avviso, ha scritto Paul Krugman, SVB non è il preludio di una nuova crisi bancaria o finanziaria ma “sperando che queste non siano le ultime parole famose, si tratta di una crisi che può essere considerata soprattutto di settore”, e che colpisce in questo caso, per l’appunto, il venture capital.

Janet Yellen dice no bailout

Per il momento, dopo che la Federal Insurance Deposit Corporation ha assunto il controllo di Silicon Valley Bank, il governo degli Stati Uniti non sembra disposto a intervenire con una operazione di bail-out.

Lo ha detto nelle ultime ore il segretario Usa al Tesoro stesso, l’ex presidente della Fed Janet Yellen:

Lasciatemi chiarire una cosa: durante la crisi finanziaria, ci sono stati investitori e proprietari di grandi banche sistemiche che sono stati salvati con operazioni di bailout…ma le riforme che sono state varate indicano che non ricorreremo più a questi salvataggi“, ha detto Yellen.

La numero uno del dipartimento del Tesoro americano ha tuttavia riconosciuto il bisogno di salvare i depositanti:

“Siamo preoccupati per i depositanti, e siamo concentrati sul modo di soddisfare le loro necessità”.

Il punto è che, dei $173 miliardi di depositi della banca SVB, alla fine del 2022, ben $152 miliardi sono risultati non garantiti (oltre la soglia dei $250.000 garantita dall’FDIC), e solo $4,8 miliardi sono risultati totalmente garantiti.

Non per niente nelle ultime ore l’agenzia di stampa Bloomberg ha riportato che l’idea della Fed e dell’FDIC sarebbe quella di “creare un fondo che permetta alle autorità di controllo di garantire un numero più alto di depositi di quelle banche che rischiano di finire nei guai, a seguito del collasso di Silicon Valley Bank”.

Sta di fatto che l’appello di Bill Ackman, che ha invitato il governo americano, in assenza di una soluzione fornita dai capitali privati, di intervenire con una operazione di bailout, sembra essere caduto nel vuoto.

In un post pubblicato su Twitter a seguito del collasso del titolo SVB della seduta di giovedì, prima della decisione delle autorità federali di far prendere il controllo della banca all’FDIC, Bill Ackman aveva definito SVB un “importante driver di lungo termine dell’economia, visto che le società finanziate dal venture capital fanno affidamento su di essa per i prestiti e per i depositi dei loro contanti”, proponendo alle autorità federali di farsi avanti e di considerare l’opzione di un “bailout”.

Silicon Valley Bank: cosa dicono gli analisti

Ma cosa dicono gli analisti?

Da un articolo dell’Associated Press riportato da Barron’s  emergono i commenti di diversi analisti sul fallimento di SVB.

Ken Leon di CFRA Research sottolinea che i problemi della Silicon Valley Bank sono il risultato di “stress idiosincratici, e non di qualcosa che noi interpretiamo come sistemico, e che potrebbe colpire l’intero settore bancario”.

Anche perchè, aggiunge Leon, le norme più severe varate dalle autorità di regolamentazione Usa sulle banche dopo la crisi finanziaria del 2008 aiutano a contenere l’effetto contagio.

Anche gli analisti di Morgan Stanley non lasciano spazio a molti dubbi:

Vogliamo fare chiarezza…non crediamo in una crisi di liquidità (liquidity crunch) che sta colpendo le banche, e la maggior parte delle banche che copriamo  dispongono di un ampio accesso alla liquidità”.

Dal canto suo, il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen ha già definito il settore bancario americano “resiliente”, mentre Cecilia Rouse, presidente del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, ha citato anche lei le riforme del comparto sottolineando che, grazie a esse, un eventuale disastro dovrebbe essere schivato.

“Il nostro sistema bancario versa in condizioni sostanzialmente diverse rispetto a quelle di dieci anni fa”, ha detto Rouse.

Per Eric Compton, analista di Morgan Stanley, è inquietante piuttosto l’annuncio improvviso arrivato da SVB, che mette in evidenza come possa essere “molto difficile prevedere in che modo le pressioni che riguardano la raccolta possano cambiare nel corso di un solo trimestre”, così come capire “quando questi rischi potrebbero materializzarsi”.

Cosa dire del problema tassi-doom loop?

E’ vero che le banche, stando agli stessi dati della FDIC, alla fine del 2022 presentavano qualcosa come 620 miliardi di “perdite non realizzate” legate ai Treasuries di cui hanno fatto incetta.

Tuttavia, Leon di Morningstar rimarca che il caso SVB non dovrebbe contagiare in modo importante le principali banche americane, visto che queste detengono asset “in eccesso” rispetto a una eventuale perdita in cui potrebbero intercorrere nel caso in cui fossero costrette a vendere questi titoli di stato che hanno in pancia. Inoltre, le loro attività sono diversificate.

Allarme o allarmismo? Il panico seminato su Twitter e WhatsApp

Ma non mancano neanche gli scettici, che ricordano come alla fine le grandi crisi siano nate anche a causa della cosiddetta profezia che si autoavvera, che avrebbe creato nel caso di Silicon Valley Bank un panico non giustificato.

Qualcuno, interpellato dalla CNBC, ha anche parlato di una “corsa agli sportelli” che ha colpito SVB “nata da Twitter”, visto che diversi esponenti della comunità hi-tech hanno iniziato a lanciare attenti al lupo vari sulla piattaforma di Elon Musk, scatenando una situazione, più che di allarme, di allarmismo e panico.

In particolare, ha fatto notare il ceo di una società tecnologica, sono stati diversi i finanziatori di start-up che si sono catapultati su Twitter ma anche sulle varie chat di gruppo di Whatsapp di Meta-Facebook scatenando l’inferno SVB.

Tanto che dal mercato del venture capital è arrivato il racconto di un dirigente che ha paragonato l’allarme bank run risuonato sui social alla stregua di un “allarme incendio lanciato in un cinema pieno di gente, senza che ci fosse alla fine un vero incendio”.

Ma si sa, nel mondo della finanza non mancano crisi innescate proprio dal panico. Crisi che però si traducono in una raffica di licenziamenti, che sono reali, e che finiscono con creare altrettante crisi vere nel tessuto dell’economia. Provocando cadute del Pil, dunque, reali, anche se di matrice psicologica.