Tassi Fed e inflazione Usa: ultimo atto Powell 2023. Cosa succederà

Tassi Usa sotto la lente: la comunità internazionale degli investitori si prepara all’ultimo atto della Fed del 2023.
L’ultima riunione del Fomc, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve, che ha preso il via ieri, martedì 12 dicembre, culminerà oggi, mercoledì 13 dicembre, con l’annuncio sui tassi. Un annuncio che, inevitabilmente, sarà condizionato dal dato sull’inflazione Usa reso noto nella giornata di ieri, con la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo di novembre.
La Fed terrà in considerazione anche l’altro dato termometro dell’inflazione: l’indice dei prezzi alla produzione (PP)I) Usa, appena reso noto.
- Inflazione Usa: cosa dicono gli ultimi dati CPI e PPI
- Tassi Fed: terzo nulla di fatto dal mese di luglio?
- Report occupazione Usa sposta in avanti attese tagli tassi
- Powell teme ancora inflazione, Moody’s no: Outlook tagli tassi 2024-2025
- “Fed sconnessa dalla realtà . Difficile calcolare i danni all’economia”
Inflazione Usa: cosa dicono gli ultimi dati CPI e PPI
In queste ultime due sessioni, dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti sono stati pubblicati due dati cruciali relativi all’inflazione: l’indice dei prezzi al consumo CPI e l’indice dei prezzi alla produzione PPI.
Confortanti soprattutto i segnali che sono arrivati dall’indice dei prezzi alla produzione PPI comunicato oggi. Il dato ha riportato a novembre una crescita, su base annua, pari a +0,9%, inferiore al +1% stimato dal consensus e in decisa ritirata rispetto al rialzo di ottobre, pari a +1,3%.
Su base mensile, il trend è stato piatto, dopo una flessione dello 0,4% a ottobre e rispetto al rialzo dello 0,1% stimato dagli analisti.
Escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici, l’indice PPI è stato anche in questo caso, su base mensile, invariato, rispetto al rialzo pari a +0,2% atteso.
Esclusi anche i prezzi dei servizi commerciali, il trend è stato di un aumento dello 0,1% e di una crescita, su base annua, pari a +2,5%.
Ieri è stato diffuso altro parametro tra i più cruciali per monitorare il trend dell’inflazione, ovvero l’indice CPI Usa.
Il dato è salito a novembre, su base mensile, dello 0,1%, rispetto al dato piatto atteso dal consensus degli analisti.
Su base annua, il trend è stato di un rialzo del 3,1%, in linea con le previsioni e in rallentamento rispetto al +3,2% di ottobre. E questa è sicuramente una buona notizia, che conferma l’allentamento delle pressioni inflazionistiche.
Escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e alimentari, l’inflazione core è salita su base mensile dello 0,3% e su base annua del 4% come da attese.
Fin qui tutto bene, se non fosse per il fatto che, nel mese di ottobre, il CPI core era salito su base mensile a un ritmo inferiore, pari a +0,2% rispetto a settembre.
I salari si sono confermati inoltre l’altro tasto dolente per chi si stava già sfregando le mani sognando una Fed dovish.
Di fatto, i salari orari reali hanno riportato a novembre una crescita, in media, pari a +0,2%, su base mensile, la stessa che era stata registrata a ottobre, rispetto al mese di settembre. Su base annua, inoltre, i salari sono cresciuti dello 0,8%.
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Tassi Fed: terzo nulla di fatto dal mese di luglio?
Le attese degli analisti sono per un ennesimo nulla di fatto sui tassi per la terza volta consecutiva dal mese di luglio.
I tassi sui fed funds Usa dovrebbero essere confermati all’attuale range, compreso tra il 5,25% e il 5,5%.
Sarà davvero così? E la Fed di Powell accontenterà finalmente i mercati, inaugurando l’inizio di un ciclo di tagli dei tassi, a partire dal 2024?
Di certo, le ultime dichiarazioni che sono arrivate dal timoniere della banca centrale americana, non sono state dovish. Anzi, sono state alquanto hawkish.
C’è chi ritiene tuttavia che Powell & Co. si stiano dimostrando sconnessi dalla realtà, che invocherebbe subito una carrellata di allentamenti monetari, dunque di tagli ai tassi.
La discrepanza tra quanto la Fed vorrebbe in teoria fare e le scommesse dovish dei mercati è tale che, se si guarda all’ultimo dot-plot, emerge che la Banca centrale americana sarebbe addirittura in ritardo rispetto ai rialzi dei tassi previsti da essa stessa per la fine dell’anno.
Dal documento – che mette in evidenza le previsioni degli esponenti del Fomc sulla traiettoria dei tassi – emerge infatti che il 2023 dovrebbe concludersi, in teoria, con un’altra stretta monetaria anti-inflazione.
Ciò significa, secondo Vincent Reinhart, responsabile economista di Dreyfus & Mellon ed ex esponente del Fomc che, per riallinearsi alle aspettative dei mercati, la Fed a questo punto dovrebbe almeno “rimuovere un dot..”, confermando allo stesso tempo tutta l’intenzione di riportare la crescita del tasso di inflazione al target del 2%.
Sebbene l’inflazione sia in fase di forte decelerazione, infatti, non ci siamo ancora.
Tra l’altro il report sull’occupazione Usa di novembre, più che aver dato indicazioni dovish, dunque a favore dei mercati, sembra aver avallato la necessità, per la Fed, di tenere ancora alta la guardia.
Report occupazione Usa sposta in avanti attese tagli tassi
Il report occupazionale Usa diffuso venerdì scorso ha messo in evidenza un mercato del lavoro ancora decisamente solido.
Dal dato è emerso che, nel mese di novembre, l’economia Usa ha creato 199.000 nuovi posti di lavoro, poco al di sopra dei +190.000 attesi dagli analisti intervistati da Dow Jones e a un livello ben superiore rispetto a quella crescita di 150.000 unità avvenuta a ottobre.
Non solo: il tasso di disoccupazione è sceso dal 3,9% precedente al 3,7%, quando il consensus aveva previsto un trend invariato.
La solidità del mercato del lavoro non è sfuggita ai mercati, tanto che un articolo di Reuters ha sottolineato che gli operatori stessi ritengono ora che il primo taglio dei tassi da parte della Fed non avverrà prima del maggio 2024.
Prima della diffusione del report, il mercato aveva scommesso sull’inizio dei tagli dei tassi Usa già nella riunione della Fed del mese di marzo, con una probabilità del 60% circa.
Dopo il dato, la probabilità è scivolata al di sotto del 50%, con le attese sulla prima riduzione dei tassi che si sono spostate da marzo a maggio 2024.
Powell teme ancora inflazione, Moody’s no: Outlook tagli tassi 2024-2025
Giorni fa il numero uno della Fed Jerome Powell ha rimarcato che la banca centrale Usa è pronta ad alzare ancora i tassi sui fed funds Usa, nonostante i dati macro confermino come la crescita dell’inflazione Usa stia continuando a rallentare il passo, e dopo ben 11 strette monetarie lanciate nell’arco degli ultimi due anni.
La missione hawkish di Powell è tuttavia fallita, tanto che i rally recenti dei prezzi dell’oro e del Bitcoin sono stati spiegati proprio con la convinzione, da parte degli operatori, dell’arrivo di imminenti tagli dei tassi Usa, a partire dall’inizio del 2024.
A esprimersi sulla Fed anche Moody’s, che ha detto di ritenere che il primo taglio dei tassi della Fed arriverà attorno “alla fine del secondo trimestre” del 2024 e che, complessivamente, entro il dicembre del 2024, la banca centrale americana taglierà i tassi di “almeno 100 punti base, facendoli scendere al range compreso tra il 4,25% e il 4,5%”, per poi abbassarli ulteriormente nel 2025 di altri 125 punti base, alla forchetta compresa tra il 2,75% e il 3%”.
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Nelle ultime settimane, Powell ha detto tuttavia che la Fed non è sicura di aver raggiunto livello tale da riportare inflazione al 2%.
Le stesse minute relative all’ultima riunione della Fed non hanno mostrato toni dovish, semmai il contrario.
Ma cosa prevedono gli economisti?
Michael Gapen, responsabile economista di Bank of America, ritiene che dal meeting di dicembre emergerà di fatto “un dot-plot” contenente il seguente messaggio: ‘Okay, abbiamo finito di alzare i tassi…e ora prevediamo tagli”.
Allo stesso tempo, secondo Gapen, la Fed di Jerome Powell cercherà di far capire ai mercati che l’obiettivo dei tagli dei tassi non sarà quello di salvare l’economia, ma di assicurare la stabilità del costo “reale” dei finanziamenti e di accompagnare la discesa dell’inflazione.
L’economista prevede poi un riferimento della Fed a “un ciclo graduale e cauto di allentamento” monetario, che dovrebbe scattare nel momento in cui l’indice PCE (Personal Consumption Expenditures Price Index) scendesse in modo significativo al di sotto della soglia del 3%, riportando medie annualizzate a tre o sei mesi attorno al 2,5% o a un valore inferiore.
“Fed sconnessa dalla realtà . Difficile calcolare i danni all’economia”
In un’intervista rilasciata alla CNBC, nel programma “Squawk Box Asia”, il gestore di portafoglio Paul Gambles, co-fondatore e managing partner di MBMG Group, ha fatto notare che la Fed è indietro rispetto alle scomesse dei mercati relative agli imminenti tagli dei tassi.
A suo avviso, per rimettersi al pari con le aspettative dei trader, ma anche con i fondamentali dell’economia Usa, e al fine di evitare un ciclo di politica monetaria restrittiva estremo e prolungato, la banca centrale dovrebbe sforbiciare i tassi almeno cinque volte, soltanto nel 2024.
“Credo che la politica della Fed sia così sconnessa dai fattori economici e dalla realtà al punto che neanche possiamo fare delle ipotesi su quando deciderà di svegliarsi e iniziare ad avere un’idea del danno che sta infliggendo all’economia”, ha avvertito Gambles.
C’è tuttavia un piccolo particolare.
L’opinione di Gambles è stata espressa prima della pubblicazione dell’ultimo report occupazionale Usa.
Così come prima della diffusione del dato è arrivata l’opinione di David Roche, direttore generale e strategist globale di Independent Strategy, che ha commentato alla CNBC che, a meno che non si presentino gravi shock esterni che facciano di nuovo scattare l’inflazione degli Stati Uniti, infiammando in particolare i prezzi energetici e dei beni alimentari, “è quasi certo” che la banca centrale Usa abbia messo il punto alla fase di rialzi dei tassi, e che dunque sia pronta a tagliarli.
Tra l’altro Roche crede che molti prezzi degli asset scontino ormai un’inflazione così radicata nell’economia, che la banca centrale americana non riuscirà più a riportare il trend di crescita dei prezzi a quel target del 2% della Fed.
Più che Mission Accomplished, qualcuno potrebbe dire, di fatto, missione fallita.
Tra gli economisti che hanno preso la parola dopo la pubblicazione del report occupazionale Kathy Bostjancic di Nationwide.
Interpellata dall’agenzia Reuters Bostjancic ha detto che, a suo avviso, “la Fed inizierà a tagliare i tassi entro la prima metà dell’anno prossimo”, confermando la view precedente.
L’esperta ha tuttavia ammesso che i tagli avverranno se “l’inflazione continuerà a scendere e se si verificherà un ulteriore allentamento dell’attività economica”.
Per ora, i mercati puntano su una serie di tagli che porteranno i tassi sui fed funds Usa al range compreso tra il 4% e il 4,25% entro la fine del 2024. Un valore che rimarrebbe comunque elevato, confermando il New Normal di tassi più alti per un periodo di tempo più lungo.