Notizie Notizie Mondo Banche Centrali Tassi Fed: è il momento dell’inflazione PCE core. Cosa rischia Wall Street con no tagli nel 2024

Tassi Fed: è il momento dell’inflazione PCE core. Cosa rischia Wall Street con no tagli nel 2024

29 Maggio 2024 10:20

E’ noto per essere il parametro preferito della Fed per valutare il trend dell’inflazione degli Stati Uniti e, per questo motivo, è tra i dati macro più attenzionati dai mercati per anticipare la direzione futura dei tassi sui fed funds Usa: è il PCE core, ovvero la componente core dell’indice dei prezzi delle spese per consumi personali, o anche indice dei prezzi delle spese per consumi personali depurato dalle componenti più volatili dei prezzi energetici e dei beni alimentari.

Considerato tra i market mover più importanti, questo dato macro Usa – di norma pubblicato nel rapporto relativo ai redditi e alle spese personali – sarà comunicato venerdì prossimo, 31 maggio, alle 14.30 ora italiana, dando informazioni cruciali alla Fed e ai mercati sull’andamento dei prezzi negli Stati Uniti: andamento dei prezzi che non si sta rivelando affatto all’altezza delle aspettative e delle speranze, sia della banca centrale americana guidata da Jerome Powell che dei trader visto che, negli ultimi mesi, ha confermato la battuta d’arresto di un processo di disinflazione che, fino alla fine del 2023, sembrava andare avanti spedito.

Il risultato è che la Fed di Powell rischia di non tagliare i tassi di interesse Usa neanche una volta nel corso del 2024, anche se qualche flebile speranza su una sforbiciata del costo del denaro, nell’arco di quest’anno, permane.

Non solo: ormai sono gli stessi funzionari della Federal Reserve ad ammettere che i tassi potrebbero tornare a essere anche alzati.

PCE core: mercati in attesa del parametro inflazione preferito dalla Fed

Il PCE core fa parte dell’indice generale PCE (ovvero delle spese per consumi personali) , dato che riflette i cambiamenti dei prezzi dei beni e dei servizi acquistati dai consumatori americani.

I prossimi PCE headline e PCE core – che verranno annunciati per l’appunto venerdì 31 maggio – sono relativi al mese di aprile.

Il consensus degli analisti interpellati da Bloomberg stima dati ancora piuttosto alti:

il PCE headline è atteso salire su base mensile dello 0,3%, esattamente come nel mese di marzo, e del 2,7% su base annua, come nel mese precedente.

Il parametro preferito dalla Fed, ovvero il PCE core, indice dei prezzi delle spese per consumi personali depurato dalle componenti più volatili dei prezzi energetici e dei beni alimentari, è stimato dallo stesso consensus in crescita su base annua del 2,8%, come a marzo, e dello 0,2% su base mensile, in questo caso in lieve rallentamento rispetto al rialzo dello 0,3% su base mensile registrato in precedenza.

Un indebolimento del dato, dunque, è previsto. Se questo basterà alla Fed per mostrarsi più ottimista sul trend dell’inflazione è un altro discorso.

I numeri relativi al PCE headline e al PCE core saranno annunciati insieme al rapporto sui redditi personali e le spese per consumi:

queste ultime sono attese aumentare dello 0,3%, rispetto al precedente rialzo dello 0,8%.

Stimato anche un indebolimento dei redditi personali, per cui il consensus stima un incremento pari a +0,3%, inferiore alla crescita pari a +0,5% di marzo.

Nel caso in cui confermasse il deterioramento delle spese personali e dei redditi, il rapporto in questo senso farebbe il gioco delle colombe, avallando la prospettiva di una Fed propensa ad allentare la sua politica monetaria restrittiva.

Fed con i piedi di piombo, Kashkari su rialzi: niente può essere escluso

Rimane il fatto che, più che dare rassicurazioni su tagli dei tassi Usa in arrivo, i banchieri della Fed si stanno facendo notare per cercare – e non sempre – di sedare l’ansia dei mercati scatenata dal rischio di una nuova stretta monetaria.

Ieri è stato il turno del presidente della Fed di Minneapolis Neel Kashkari – che si era fatto già notare giorni fa per le sue dichiarazioni sulla direzione futura dei tassi – che ha detto che, sebbene sia improbabile che la Fed torni a varare strette monetarie, “nessuna opzione può essere esclusa”.

Kashkari ha sottolineato anche che “non c’è alcuna fretta di tagliare i tassi” e che “è necessario attendere, per avere maggiore fiducia nell’outlook dei prezzi”.

Non solo: non può bastare certo soltanto un dato o un paio di dati per convincere la Fed che il tasso di inflazione stia seguendo il percorso giusto, avvicinandosi al ritmo di crescita annuo del 2%, obiettivo della banca centrale americana.

Per il numero uno della Fed di Minneapolis sono necessari “molti mesi di dati positivi sull’inflazione” per portare la Fed a ridurre il costo del denaro.

Queste e altre dichiarazioni rilasciate dai funzionari della Federal Reserve hanno ormai convinto gli operatori di mercato del fatto che un taglio dei tassi sui fed funds Usa – inchiodati al record degli ultimi 23 anni, nel range tra il 5,25% e il 5,5% – non avverrà né a giugno, né a luglio. Forse a settembre, o magari anche a novembre.

D’altronde, già dalla breve vita dell’euforia che era esplosa a Wall Street dopo la pubblicazione dell’altro termometro dell’inflazione, l’indice dei prezzi al consumo Usa, relativo al mese di aprile , che pur aveva confermato il rallentamento tanto auspicato dei prezzi, era emerso in modo chiaro come non fosse sufficiente un dato macroeconomico a calnare i nervi di Powell e dei mercati.

Inflazione più alta e niente taglio tassi Fed: cosa rischia Wall Street

La divisione di ricerca di RBC ha gà presentato il worst case scenario, o anche stress scenario del trend dello S&P 500 nel caso in cui la Fed decidesse di non tagliare affatto i tassi nel corso del 2024 a causa di una inflazione più elevata delle attese.

Gli analisti hanno pronosticato un dietrofront del listino benchmark di Wall Street dai 5.300 punti circa attuali a un range compreso tra 4.900 e 5.100 punti.

Praticamente, per RBC lo S&P 500 rischierebbe di concludere l’anno anche al di sotto della soglia psicologica dei 5.000 punti se l’incubo “no tagli dei tassi nel 2024” si confermasse realtà, in corrispondenza di un P/E ratio in calo fino a 20,8 volte.

Si tratta dello scenario peggiore, che si oppone allo scenario di base di RBC: quello, basato sulle proiezioni del consensus su diverse variabili economiche, secondo cui lo S&P 500 dovrebbe essere scambiato a un valore attorno a 21,5 volte gli utili entro la fine dell’anno, oscillando nel range compreso tra 5.100 e 5.300 punti, nel caso in cui l’outlook di RBC sull’eps in media delle società quotate sull’indice, pari a 237 dollari nel 2024, si concretizzasse.

Indicazioni non del tutto confortanti sono arrivate di recente dalle minute relative all’ultima riunione del Fomc, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve. I verbali hanno sottolineato che “i recenti dati mensili hanno indicato aumenti significativi delle componenti dell’inflazione dei beni e dei servizi”.

Certo, nell’ultima recente riunione del Fomc, nel commentare la decisione della Banca centrale americana di lasciare i tassi fermi al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%, è stato lo stesso Powell a rassicurare i mercati, affermando di ritenere improbabile la decisione della Fed di tornare ad alzare i tassi.

Detto questo, non è passato molto tempo prima che il timoniere della Fed venisse smentito da una stessa esponente della banca centrale da lui guidata.

LEGGI ANCHE

Tassi Fed: Powell e l’inflazione Usa che gli gioca altri brutti scherzi. Ma la frase gela i falchi

Tassi Fed: nuova batosta inflazione per Powell. Il grande rischio è ormai realtà?

E non è certo solo la Fed a essere costantemente assediata dalla bestia dell’inflazione. Oltre che negli Stati Uniti, l’ansia tassi più alti per un periodo di tempo più lungo è esplosa oggi in Australia, dove è stato pubblicato l’indice dei prezzi al consumo, tra i dati macro più importanti per monitorare il trend dell’inflazione.

Il dato ha portato i mercati a scommettere su un primo taglio dei tassi in Australia soltanto nel maggio del 2025, e di appena 25 punti base, il che significa che in Australia i tassi principali di riferimento dovrebbero rimanere inchiodati al livello attuale del 5,35% per almeno un altro anno.  L’inflazione, a quanto pare, continuerà a dare filo da torcere a diverse banche centrali per ancora molto tempo.