Notizie Notizie Mondo Banche Centrali Inflazione Usa e tassi Fed: CPI core agosto più delle attese. Per Powell rischio ‘mea culpa’ con taglio 50 pb, ma prima tocca alla Bce

Inflazione Usa e tassi Fed: CPI core agosto più delle attese. Per Powell rischio ‘mea culpa’ con taglio 50 pb, ma prima tocca alla Bce

11 Settembre 2024 14:57

Reso noto finalmente il grande market mover relativo allinflazione Usa, misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI e relativa al mese di agosto.

L’indicatore ha fornito indicazioni contrastanti, mettendo in evidenza da un lato il rallentamento significativo del ritmo di crescita dell’inflazione headline, al livello più basso dal febbraio del 2021, e dall’altro la persistenza dell’inflazione core, fattore che non avrà sicuramente fatto piacere alla Fed di Jerome Powell, che la prossima settimana farà il grande annuncio sui tassi. E fattore che per ora sicuramente non sta facendo piacere a Wall Street, visto che, poco dopo le 17 ora italiana, il Dow Jones segna un tonfo superiore ai 500 punti, lo S&P 500 arretra di oltre l’1%, mentre il Nasdaq Composite cede lo 0,70% circa.

Poco mosso il rapporto euro-dollaro, che oscilla attorno alla parità, alla vigilia del Bce Day, attorno a quota $1,1012. Nervosismo sul mercato dei Treasury, dove i rendimenti decennali scendono al 3,637%.

Inflazione Usa: headline in linea con le attese. Occhio al core

Il U.S. Bureau of Labor Statistics ha annunciato oggi che, nel mese di agosto il CPI headline è salito dello 0,2% su base mensile, in linea con le attese, e allo stesso ritmo di luglio.

L’indice che misura i prezzi degli affitti è salito dello 0,5%, nel mese, confermandosi “il fattore principale” che ha condizionato il rialzo del dato.

I prezzi dei beni alimentari sono saliti dello 0,1%, dopo essere cresciuti dello 0,2% a luglio, mentre l’indice dei prezzi energetici ha segnato un calo dello 0,8% durante il mese, dopo il trend invariato del mese precedente.

La componente core del dato, ovvero il CPI depurato dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari e dei beni energetici, è salita più di quanto atteso dal consensus, ovvero dello 0,3% su base mensile, rispetto al +0,2% messo in conto dagli economisti e dopo il +0,2% del mese precedente, accelerando dunque il passo.

Gli indici che sono aumentati nel mese di agosto sono stati quelli relativi ai prezzi degli affitti, dei biglietti aerei, delle assicurazioni sui veicoli a motore, dell’istruzione e degli articoli di abbigliamento.

Sono invece scesi nel mese, tra gli altri, i prezzi di auto e camion usati, di articoli per l’arredamento per la casa, così come i prezzi per le spese mediche e delle attività di ricreazione.

Su base annua, il trend del CPI headline è stato di un rialzo del 2,5%, mentre quello del CPI core è stato pari al +3,2%, in entrambi i casi in linea con le aspettative del consensus.

Se la crescita su base annua del CPI core è stata la stessa di luglio, quella dell’indice headline si è indebolita in modo significativo, rispetto al +2,9% di luglio, crescendo al ritmo più basso in oltre tre anni, ovvero dal febbraio del 2021.

I numeri relativi all’inflazione Usa erano attesi con trepidazione dai mercati e dalla Fed per avere un quadro più chiaro dell’economia degli Stati Uniti e, di conseguenza, di quelle che potrebbero essere le prossime decisioni sui tassi che la banca centrale americana annuncerà il prossimo 18 settembre, al termine della riunione di due giorni del Fomc, il suo braccio di politica monetaria.

Alcuni economisti avevano individuato in alcuni numeri precisi del CPI appena annunciato il via libera a un possibile taglio dei tassi, da parte della Fed di Jerome Powell, pari a -50 punti base, ipotesi che era stata messa però già in dubbio dal report occupazionale Usa.

Vista la persistenza delle pressioni inflazionistiche, il dato di oggi rende a questo punto ancora più improbabile la prospettiva di una prima sforbiciata dei tassi, da parte della banca centrale americana, di mezzo punto percentuale.

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Va ricordato che, contrariamente alla Bce di Christine Lagarde, che farà tra l’altro il suo grande annuncio sui tassi nella giornata di domani, giovedì 12 settembre 2024, a seguito della sforbiciata di 25 punti base annunciata il 6 giugno scorso, la Fed di Jerome Powell non ha iniziato ancora ad allentare la politica monetaria made in Usa, dopo la raffica di strette monetarie anti-inflazione che è andata avanti per due anni e che si è fermata soltanto nel luglio del 2023.

E’ da allora, di fatto, che i tassi sui fed funds rimangono inchiodati al record degli ultimi 23 anni, al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%.

Taglio tassi Fed di 25 pb o 50 pb?

Il via libera del presidente della Fed Jerome Powell a tagliare i tassi è finalmente arrivato alla fine di agosto, in occasione del simposio di Jackson Hole:

detto questo, l’interrogativo che ha assillato i mercati in queste ultime settimane è se la Fed, nell’imminente riunione di settembre, deciderà di tagliare i tassi di 25 punti base o di 50 punti base.

La scorsa settimana, alcuni dati decisamente negativi arrivati dal fronte del mercato del lavoro degli States avevano acceso, inizialmente, le speculazioni su una sforbiciata di 50 punti base.

L’incertezza su un taglio di 50 punti base si è presentata tuttavia venerdì scorso, con la pubblicazione dei Nonfarm Payrolls di agosto, ovvero del report occupazionale Usa, che ha portato diversi analisti a considerare più concreta l’ipotesi di una sforbiciata di 25 punti base.

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Oggi, a rendere l’ipotesi di un taglio dei tassi di 50 punti base da parte della Fed ancora meno probabile è stato il dato sull’inflazione Usa, in particolare quanto è emerso dalla componente core dell’indicatore che, come riassume Bloomberg, è tornata “a sorpresa” ad accelerare il passo nel mese di agosto, a causa del trend al rialzo, di nuovo, dei prezzi degli affitti.

Interpellata dalla CNBC,  nel commentare gli ultimi numeri relativi all’inflazione e guardando alla reazione dei futures sui principali indici azionari Usa, che hanno subito puntato verso il basso, Kristina Hooper, responsabile strategist della divisione dei mercati globali di Invesco, ha ricordato tra l’altro quello che sarebbe l’effetto collaterale di un taglio di 50 punti base da parte della Fed:

“Credo che la prossima settimana la Fed annuncerà un taglio di 25 punti base, in quanto una riduzione di 50 punti base farebbe scattare l’allarme e sarebbe anche un mea culpa”.

Un commento che potrebbe valere anche per la Bce?

Inflazione Usa”: lettura una tantum non dovrebbe preoccupare”

Jakob Westh Christensen, market analyst di eToro, ha commentato la lettura dell’inflazione Usa, senza mostrare grandi timori per le conseguenze che il dato potrebbe avere sulla decisione della Fed, che sarebbe ormai, a suo avviso, cosa fatta:

Il rapporto CPI di agosto è stato per lo più in linea con le aspettative degli economisti. L’inflazione complessiva è scesa al 2,5%, rispetto al 2,9% del mese precedente, e rappresenta l’aumento più contenuto in oltre tre anni e mezzo. Mentre continuiamo a vedere progressi costanti nella moderazione dell’aumento dei prezzi, l’inflazione di fondo, che esclude la volatilità di cibo ed energia, è cresciuta dello 0,3% nel mese rispetto allo 0,2% previsto. Tuttavia, per l’anno in corso, è rimasta piatta al 3,2% e questa lettura una tantum non dovrebbe destare preoccupazioni”.

“Il dato odierno è l’ultimo segnale significativo prima della riunione della Fed della prossima settimana. Ricordiamo che la Fed ha sottolineato che la sua decisione si basa su una raccolta di dati piuttosto che su un singolo punto”.

Dunque, l’analista di eToro non si è lasciato impressionare più di tanto dall’accelerazione del CPI core:

“Con il quinto mese consecutivo di calo dell’inflazione complessiva, i dati dovrebbero fornire alla Fed prove più che sufficienti. Soprattutto alla luce della recente debolezza del mercato del lavoro, i dati dovrebbero dare alla Fed carta bianca per iniziare a tagliare i tassi il 18 settembre”.

Tra gli analisti che hanno commentato i numeri sull’inflazione Usa, anche Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel, che ha parlato di una “inflazione Usa” che “si conferma sticky, dopo che la lettura pubblicata questa mattina ha evidenziato un aumento del +0,3% del dato core, rispetto al +0,2% delle attese”.

Allo stesso tempo, guardando al mercato del lavoro, Cleveland ha fatto notare che “il tasso di disoccupazione dovrebbe chiudere l’anno intorno al 4%, con un lieve aumento intorno alla metà del 2025”.

In generale, la view rimane dunque ottimista “sul fronte della crescita”.

Per l’economosta, infatti, “nonostante la debolezza del dato dei payrolls di luglio, l’economia Usa sta ancora crescendo a un ritmo del +2,4% su base annua” e l’impressione è che “i consumatori statunitensi abbiano ancora potere d’acquisto e che la recessione non sia un’ipotesi concreta, al momento”.

Ciò significa che “sul fronte della politica monetaria, le attese del mercato per un taglio dei tassi da 50 punti base si sono sensibilmente ridimensionate” e che “la Federal Reserve, nel corso della riunione di mercoledì 18 settembre, dovrebbe, quasi sicuramente, procedere con un taglio di soli 25 pb”.

“Ad ogni modo – ha concluso l’economista – la regola di Taylor, che stabilisce una relazione proporzionale tra inflazione e tassi di interesse, richiederà, entro la metà del 2025, una serie di svariati tagli da 25 punti base ciascuno”.

Bce VS Fed, tassi euro VS tassi Usa: l’analisi

Alla vigilia del BCE-Day, un’analisi sulle politiche monetarie della Fed di Jerome Powell e della Bce di Christine Lagarde è stata pubblicata da Raffaele Prencipe e André Figueira de Sousa, gestori della divisione Fixed Income Fund di DPAM, che hanno presentato l’outlook anche sulle novità che saranno annunciate dall’Eurotower nella giornata di domani:

“Prevediamo che la Bce continuerà a tagliare i tassi di riferimento, mantenendoli al di sotto di quelli della Fed. Ovviamente, l’entità dei tagli sarà maggiore negli Stati Uniti, dato che il punto di partenza dei tassi è più alto (5,375% contro 4,0%)”, hanno ricordato Prencipe e de Sousa, precisando che la Fed, che ha il “duplice mandato della stabilità dei prezzi e della massima occupazione, di recente ha spostato l’attenzione dall’inflazione all’occupazione per guidare la politica monetaria”.

Così facendo, la banca centrale americana “è diventata più accomodante di fronte al rallentamento dell’inflazione e alla normalizzazione del mercato del lavoro”.

La Bce, invece, “si concentra esclusivamente sull’inflazione, in particolare sulla crescita dei salari. Di conseguenza, è improbabile che la Bce sia apertamente accomodante” ed è dunque molto probabile,  che Lagarde e i suoi rimangano vigili “contro potenziali effetti inflazionistici di secondo impatto”.

“Tuttavia – hanno aggiunto i gestori – ci aspettiamo ancora che la Bce operi un taglio dei tassi nella riunione di domani”.

Gli esperti si sono poi espressi anche sulle differenze tra gli approcci della Fed e della Bce nei confronti delle dinamiche del mercato del lavoro, rispettivamente degli Stati Uniti e dell’Eurozona:

“Guardando al mercato del lavoro, negli Stati Uniti esso si è normalizzato dopo un periodo post-crisi molto forte. Le offerte di impiego sono tornate ai livelli pre-crisi, la creazione di posti di lavoro è rallentata e il tasso di disoccupazione è salito al 4,2%”.

In questo contesto, per quanto riguarda la Fed di Jerome Powell, c’è “la possibilità che i dati peggiorino ulteriormente e che si debbano anticipare i tagli”.

“Di contro, l’occupazione riveste un ruolo secondario per la Bce”.

Tra l’altro l’ “attuale tasso di disoccupazione nell’area euro è storicamente basso” e la “crescita dei salari è stata elevata grazie agli aumenti una tantum per compensare l’inflazione degli ultimi anni”.

Vero è che “il rischio di una spirale salari-prezzi è diminuito in modo significativo, dando alla Bce maggiore fiducia nel fatto che l’inflazione tornerà gradualmente al suo obiettivo del 2% nel tempo”.

Ma, secondo l’analisi dedicata alle prossime mosse della Fed e della Bce, “i mercati dovrebbero aspettarsi maggiore attivismo da parte della Fed, visto il suo sostegno alla massima occupazione”.

Di fatto, se negli Stati Uniti il dibattito di queste ultime settimane è stato su un taglio pari a 25 pb o a 50 pb da parte della Fed, nell’area euro gli analisti non si sono neanche azzardati a prevedere una riduzione di mezzo punto percentuale.

In generale, “la preoccupazione che i mercati finanziari abbiano prezzato troppi tagli dei tassi della Bce e della Fed è valida, ma non condividiamo questa opinione“, hanno poi scritto Raffaele Prencipe e André Figueira de Sousa , spiegando che “le aspettative del mercato sono attualmente orientate verso un cambiamento della politica monetaria da restrittiva a neutrale” ma che, allo stesso tempo, “esiste anche la possibilità che i dati economici si deteriorino ulteriormente e giustifichino un maggiore spostamento verso una politica monetaria accomodante”.

Secondo i gestori, insomma, le tendenze disinflazionistiche andranno avanti:

“Con la moderazione della crescita salariale, il rischio di una spirale salari-prezzi diminuisce, dando alle banche centrali maggiore fiducia nel fatto che l’inflazione tornerà gradualmente all’obiettivo del 2% nel medio termine. Riteniamo pertanto che i tassi di interesse siano interessanti a questi livelli”.

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