Le società pronte a lanciarsi nel mare magnum del mercato azionario si trovano di fronte ad un grande dubbio: quotarsi nelle prossime settimane, nonostante le incognite su più fronti e l’equity in prossimità dei massimi, o rimandare l’Ipo al 2025, in attesa di un clima più sereno? A Wall Street, in particolare, la finestra più papabile per uno sbarco in borsa sembra essere quella compresa tra il Labor day (il 2 settembre) e le elezioni presidenziali del 5 novembre, giorno in cui lo scacchiere statunitense potrebbe notevolmente subire i contraccolpi dell’esito delle urne. Vediamo dunque quale scenario economico si trovano ad affrontare tutte le società che intendono compiere questo importante passo.
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Cosa sono le Ipo?
Prima di tutto, occorre ritornare sui fondamentali. Chiamiamo Ipo l’offerta pubblica iniziale, ossia quello strumento con cui una società sollecita gli investitori a puntare su di lei, mettendo pubblicamente in vendita i propri titoli. Rappresenta quindi la chiave d’accesso per i mercati finanziari, dato che la diffusione dei titoli tra il pubblico (ossia la creazione del “flottante”), è un requisito fondamentale per ottenere la quotazione dei propri titoli su un mercato regolamentato. Trattandosi di un’offerta al pubblico, prima di lanciare un’Ipo sarà necessario soddisfare numerosi controlli da parte delle autorità di vigilanza, oltre a redigere corposi prospetti informativi. Si tratta quindi di un passaggio di notevole importanza nella vita di una società, che affacciandosi al grande pubblico della Borsa aumenta la possibilità di ottenere finanziamenti, e irrobustisce di molto la propria autorevolezza e serietà nei confronti del mercato.
I dati dal mondo sulle Ipo
In base ai più recenti dati EY, si registra una crescita sostenuta sia nelle Americhe – con 86 Ipo e proventi di 17,8 miliardi di dollari, in aumento rispettivamente del 12% e del 67% su base annua – che in EMEIA (acronimo della “regione” che comprende Europa, Medio Oriente e Africa). Quest’ultima ha raggiunto il 45% del volume complessivo delle transazioni e il 46% del valore totale. Ciononostante nel primo semestre del 2024, cala del 12% il volume globale delle offerte, così come (in piccolo) si riduce del 47% il numero delle IPO sul mercato italiano, registrando addirittura una diminuzione del 95% in termini di raccolta.
I dubbi sulle presidenziali americane
Trattandosi di un passo importante – e costoso – parecchi esperti finanziari ritengono che nel periodo immediatamente prima delle elezioni saranno ben poche le società disposte a lanciare Ipo, col rischio che le turbolenze elettorali possano intaccare il successo dell’offerta. Eppure, su
Bloomberg, la co-responsabile dei mercati azionari della multinazionale Wells Fargo & Co. Clay Hale giudica il terreno ancora fertile,
aspettandosi che a quotarsi fino a Natale “siano le aziende best in class”, ossia le eccellenze delle rispettive categorie: società dalle spalle larghe, capaci di resistere ad ogni scossone e rispondere al meglio.
Tutto dipenderà anche dalla
volontà dei grandi fondi di investimento di contribuire al finanziamento (e alla crescita) di nuove società all’interno del mercato. Cosa che potrebbe essere stimolata dal recente annuncio di
Jerome Powell, alla guida della Fed, che dall’evento di Jackson Hole ha giudicato questo momento come
“giusto” per un taglio deciso dei tassi d’interesse, visto il livello dell’inflazione statunitense sceso sotto il 3%.
D’altronde, dalle ultime dichiarazioni rilasciate dai due candidati alla Casa Bianca, la democratica Harris e il repubblicano Trump, emergono numerosi dubbi circa la tenuta economica delle loro proposte. La prima infatti ipotizza una sorta di tetto ai prezzi anti inflazione, oltre ad un ampliamento del credito d’imposta per le famiglie con figli, sussidi per l’acquisto della prima casa e nuovi tax credit. Il secondo invece lancia nuovi tagli fiscali e l’eliminazione delle tasse sulla previdenza sociale. Al tutto si aggiunge l’idea-bandiera di espellere milioni di immigrati irregolari e imporre nuovi dazi sulle importazioni. Tutte proposte che, ambo i lati, rischiano seriamente di far gonfiare a dismisura l’inflazione appena rientrata, vanificando le parole di Powell e ponendo le basi per nuove politiche monetarie restrittive.
Ipo flop o rimandate
Parlando di quotazioni in borsa, negli ultimi mesi non mancano episodi di insuccesso o parzialmente deludenti. Tra questi c’è quello del brand di abbigliamento
Golden Goose, la cui Ipo (prevista per il 21 giugno scorso)
è stata annullata pochi giorni prima. I portavoce puntano il dito sulle incertezze post elettorali della Francia, portatrici di un “significativo deterioramento delle condizioni di mercato” con “un impatto sulla performance dei mercati europei e, in particolare, sul settore del lusso”.
Stessa marcia indietro per lo sbarco in borsa di
Ampere, orbitante nella galassia di Renault, la quale a inizio anno ha annunciato di
non voler più quotare in borsa la sua unità di veicoli elettrici per via delle “attuali condizioni di mercato non favorevoli”. Una scelta caratterizzata dalla prudenza, specialmente se si pensa che l
e valutazioni su Ampere erano appena passate dagli 8-10 miliardi di euro auspicati dal gruppo francese ad “appena” 6-7 miliardi.
Casi di successo e debutti più attesi
Su un versante più positivo, o quanto meno fiducioso verso il futuro, StubHub, il più grande sito di compravendita di biglietti online per eventi dal vivo infatti, ha pianificato un’Ipo dopo l’estate. Mentre Revolut, società tecnologica attiva nel campo finanziario con ricavi aumentati del 95% a 1,8 miliardi di sterline nel 2023 e fresca di licenza bancaria britannica, sembra pronta all’ingresso nel mercato nel 2025.
Non bisogna dimenticare straordinari casi di successo, come quello di
Reddit, social network con 73 milioni di utenti medi unici attivi giornalmente a metà tra l’aggregatore di news e forum, che
nel marzo 2024 ha debuttato a Wall Street con un
valore di mercato di 6,4 miliardi di dollari e una valutazione di 34 dollari per azione, la più grande mai raggiunta da una social media company, seppure in calo rispetto alla valutazione di 10 miliardi effettuata nel 2021.
Fra le ipo più attese dell’anno spunta anche quella di
Stripe, infrastruttura software che permette a privati e aziende di inviare e ricevere pagamenti via internet. A gennaio si parlava di una
valutazione intorno ai 50 miliardi anche se ad oggi non è ancora stata annunciata una data certa per il lancio. Va avanti invece il percorso – non privo di intoppi e ostacoli – del colosso cinese del fast fashion
Shein, valutata 66 miliardi di dollari fino allo scorso anno. Accantonata Wall Street, gli occhi sarebbero sulla borsa di Londra, anche se gli ostacoli burocratici (e le
proteste di numerosi attivisti) stanno rallentando quella che potrebbe rivelarsi la più grande quotazione di una società cinese negli Stati Uniti. È andata meglio invece a
Rubrik, startup americana di gestione e sicurezza dei dati nel cloud sostenuta da Microsoft, che è riuscita a
prezzare la sua IPO statunitense al di sopra del range a $32 per azione, partendo da una
valutazione di ben 4 miliardi di dollari (del 2021).
Il caso cinese
Va detto, però, che se da un lato (per lo più occidentale) i proventi legati alle Ipo aumentano rispetto allo scorso anno, la situazione è ben diversa in Cina, dove le aziende locali hanno raccolto quasi 13 miliardi di dollari nel 2024, tre quarti in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. D’altronde la Cina sta affrontando da oltre un anno una crisi economica senza precedenti, che affonda le radici in una prolungata recessione del fondamentale settore immobiliare, contorniata da una debole domanda interna e politiche nazionali di crescita ancora incapaci di revitalizzare i consumi. Uno scenario di questo tipo ha provocato un crollo del sentiment nel mercato domestico, alimentando dunque una certa cautela fra gli investitori. Ecco spiegati i dati EY, secondo cui la regione Asia Pacifico (comprendente anche la Terra del Dragone) «ha assistito a un prolungato rallentamento nel primo semestre del 2024, con sole 216 IPO quotate e 10,4 miliardi di dollari raccolti». Complessivamente, parliamo di un calo del 43% e del 73% rispettivamente per volume e valore su base annua.