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Wall Street ostaggio di tassi Fed. I market mover lavoro-inflazione

8 Gennaio 2024 14:20

Investitori e trader sull’attenti a Wall Street in questi primi giorni di trading del 2024: a far piombare sui mercati la parola d’ordine cautela è sia l’attesa per i prossimi dati grande market mover in calendario negli Stati Uniti che il sospetto che la Fed di Jerome Powell impiegherà più tempo del previsto a imboccare il sentiero dei tagli ai tassi.

Il sospetto è stato rinfocolato dal report sull’occupazione Usa relativo al mese di dicembre, reso noto lo scorso venerdì: un report che ha messo in evidenza, di nuovo, la solidità del mercato del lavoro made in Usa, rendendo meno impellente la necessità di un intervento della banca centrale volto a sostenere i fondamentali dell’economia americana.

A questo punto, almeno nella settimana che si è aperta ora, la parola spetta ad alcuni dati macro cruciali che saranno diffusi nei prossimi giorni e che condizioneranno le aspettative dei mercati sulle prossime mosse della Fed:

l’indice dei prezzi al consumo, cruciale termometro dell’inflazione, che sarà diffuso giovedì 11 gennaio, e l’indice dei prezzi alla produzione, altro dato che monitora il trend dei prezzi, in calendario nella sessione di venerdì 12 gennaio.

Anticipazioni tassi Fed: la delusione per numeri troppo positivi

I numeri emersi con la pubblicazione del report occupazionale Usa hanno presentato un mercato del lavoro degli Stati Uniti più che solido: una notizia positiva per l’economia, meno per i mercati.

Wall Street ha di fatto interrotto una scia rialzista che durava da ben nove settimane, e i tassi dei Treasury Usa – che mercoledì scorso avevano riafferrato la soglia del 4% per poi riperderla –  sono tornati a puntare di nuovo oltre quel livello psicologico chiave, fino a balzare, venerdì scorso,  al record intraday del 4,103%.

Oggi il trend dei Treasury cerca di dare prova di stabilizzazione, a fronte di rendimenti che oscillano attorno al 4,05%, mentre a Wall Street prevale un certo pessimismo.

I trader si stanno chiedendo se non siano andati troppo oltre nel prevedere più di quei tagli ai tassi che gli esponenti del Fomc stesso – il braccio di politica monetaria della Fed – hanno detto di stimare per quest’anno 2024: tre, in tutto.

Wall Street prevede invece almeno il doppio di quei tagli: sei circa.

Fino alla fine del 2023, inoltre, era viva  la speranza che Powell iniziasse a sfoderare l’accetta a partire dal mese di marzo.

Gli ultimi dati arrivati la scorsa settimana hanno cambiato quelle scommesse, in alcuni casi in modo anche marcato.

Dal CME FedWatch tool, strumento che monitora le aspettative dei trader, emerge infatti che le probabilità di un taglio dei tassi Usa di 25 punti base dal livello attuale (tra il 5,25% e il 5,5%) al range compreso tra il 5% e il 5,25%, si sono ridotte dal 73,4% di una settimana fa circa al 62,3%.

D’altro canto, le probabilità che i tassi sui fed funds rimangano ai livelli attuali, ergo massimi degli ultimi 22 anni, nel mese di marzo, sono salite da appena l’11,5% di una settimana fa ad, addirittura, il 43,9%.

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Per quanto riguarda il dato sull’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo, in calendario nella giornata di giovedì, gli analisti prevedono una crescita del CPI, su base annua, nel mese di dicembre, pari a +3,2%.

La previsione è già di per sé non confortante, in quanto, se realizzata, confermerebbe un rialzo, seppure lieve, rispetto al 3,1% di novembre, riportando sul tavolo anche la possibilità di una ulteriore stretta monetaria, ovvero di un rialzo dei tassi, da parte della Federal Reserve.

Nell’ultima riunione del 2023, la Fed di Jerome Powell ha lasciato fermi i tassi sui fed funds al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%.

“I dati che certificano il rallentamento dell’inflazione sono confortanti, ma abbiamo bisogno di assistere a ulteriori prove” che dimostrino l’indebolimento dell’inflazione, ha affermato tuttavia il presidente Powell nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi.

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Non solo. Powell ha detto che “saremmo pronti a ulteriori restrizioni, nel caso in cui le ritenessimo appropriate”.

Ancora, ha avvertito il timoniere della banca centrale Usa, “manterremo la politica restrittiva fino a quando non saremo fiduciosi nel ritorno dell’inflazione al 2%”. In sintesi, parole sue, “gli esponenti del Fomc non vogliono togliere dal tavolo la possibilità di ulteriori rialzi”.

Niente, insomma, è stato ancora scritto.