Notizie Notizie Italia Ue e manovra: cronaca di una bocciatura annunciata. Ma governo rischia di schiantarsi prima su decreto fiscale

Ue e manovra: cronaca di una bocciatura annunciata. Ma governo rischia di schiantarsi prima su decreto fiscale

19 Ottobre 2018 08:53

Ultimatum Ue all’Italia, mentre il governo M5S-Lega rischia di schiantarsi contro il decreto fiscale. Una carrellata di notizie indubbiamente negative per l’Italia, assediata dai rimbrotti di Bruxelles – tra l’altro a pochi giorni dal verdetto attesissimo delle agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s – e, ora, anche dal rischio che l’esecutivo gialloverde salti. Il tutto condito con l’allarme di Mario Draghi, numero uno della Bce che, pur non facendo il nome dell’Italia, lancia l’avvertimento su cosa accade quando un paese si impunta a sfidare le regole del Patto di stabilità e crescita.

Nella sua lettera, l’Ue invece è decisamente più esplicita. A suo avviso, la manovra rappresenta una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di stabilità e crescita”. La richiesta a Roma è di rispondere entro lunedì 22 ottobre.

E’ la cronaca di una bocciatura annunciata – chiaro era stato il messaggio delle parole del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e poco dopo anche del commissario Ue al bilancio Gunther Oettinger che però, forse per ragioni di forma, aveva smentito le dichiarazioni riportate da Der Spiegel.

Una bocciatura annunciata, che però il governo rischia di non saper gestire visto che, al momento, la sua priorità non è tanto quella di adeguarsi ai dettami di Bruxelles – quella, in realtà, non è stata mai la sua priorità – quanto di rimanere compatto e solido, superando la grave crisi della “manina” che ora, come affermano fonti parlamentari del M5S, rischia di far saltare tutto,  anche perchè quel testo sulla pace fiscale che prevede l’allargamento delle maglie del condono il M5S non lo firmerà di certo.

Il rischio è così alto che, secondo altre fonti, lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe minacciato nelle ultime ore le proprie dimissioni , oppresso da un lato da Bruxelles e dall’altro dallo scontro Luigi Di Maio-Matteo Salvini sul decreto fiscale.

A fare le spese di tutto sono i titoli di stato italiani, come ha dimostrato il trend dello spread, balzato al record dall’aprile del 2013, a un passo da quota 330, a fronte di tassi sui BTP decennali schizzati fino al 3,7%.

Da Bruxelles, Conte cerca di richiamare tutti all’ordine e dopo la presunta minaccia di dimissioni afferma che la “prospettiva” di una crisi di governo “è veramente futuribile, di là da venire”, in una parola “improbabile”. Il presidente del Consiglio cita poi Max Weber:

“La politica, come diceva Max Weber, è passione, senso di responsabilità e lungimiranza. Se nascesse una crisi di governo da questa vicenda non dimostreremmo né passione, né senso di responsabilità, né lungimiranza”, ha detto.

Il premier ha preso di conseguenza il toro per le corna, decidendo di indire per la giornata di sabato un secondo Consiglio dei ministri sul decreto fiscale: Proprio ciò che vuole Luigi Di Maio, e proprio ciò che non vogliono invece la Lega e Matteo Salvini in primis.

Ma il presidente del Consiglio va dritto per la sua strada e per la prima volta mette i puntini sulle “i”, riguardo al ruolo che ricopre:

Il presidente del Consiglio sono io, decido io”.  Sul caso condono, o “dichiarazione integrativa”, il premier spiega che “più o meno i tratti fondamentali sono stati anticipati: si tratta di una dichiarazione integrativa, rispetto a quella già presentata al Fisco, che consente dei margini molto limitati e contenuti per integrare quanto non è stato dichiarato, entro il 30%, con un tetto di 100mila per periodo di imposta. E’ molto specifica, però ora lasciatemi rileggere il testo, visto che è stato oggetto di dubbi. E poi, dopo averlo verificato lo riporterò per la deliberazione definitiva, diciamo aggiuntiva, nel prossimo Consiglio dei ministri”.

Dal canto suo, in un intervento a W l’Italia di Rete 4, Di Maio precisa:

Non voglio fare il pompiere. Non sono arrabbiato per finta… in questo momento noi non possiamo votare un decreto così, poi si troverà una soluzione come abbiamo fatto altre volte”. Detto questo, “chi pensa di poter suonare il requiem di questo governo si sbaglia di grosso”.

Ma a smentirlo è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti che, oltre ad affermare che Di Maio stesso scoprirà che la famosa manina è in casa cinque stelle, avverte che, “se si continua ad attaccare chi prova a tenere in piedi la baracca, il governo non andrà molto lontano”.

Dal canto suo, sul pomo della discordia del decreto fiscale, il vicepremier pentastellato ribadisce la propria posizione:

“Non credo che neanche gli elettori della Lega si vogliano impuntare sullo scudo penale per chi si macchia del reato di riciclaggio. Questo irrigidimento di queste ora va risolto in una riunione. Sono contento che il premier Conte abbia convocato il Cdm”.

Decreto fiscale: la manina rischia di far saltare tutto

La crisi di governo è comunque tale che la stampa italiana, telegiornali e radiogiornali compresi, danno spazio più all’alta tensione e al rischio di spaccatura tra il M5S e la Lega che non alla lettera Ue che, nella serata di ieri, il commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, ha consegnato al ministro dell’economia Giovanni Tria.

La lettera è, di fatto, un ultimatum: firmata da Moscovici e dal numero due della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, la missiva parla per l’appunto di una “deviazione senza precedenti” rispetto agli obiettivi sul deficit strutturale.

Deviazione originata da un aumento della spesa primaria del 2,7%, che sfora in modo quasi plateale quel tetto dello 0,1% fissato da Bruxelles. Viene ricordata anche la bocciatura della NADef – la nota di aggiornamento sul Def – che è arrivata in casa, dall’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio).

La Commissione è pronta a stilare un nuovo rapporto sul debito italiano, presupposto che darebbe praticamente il via a una procedura di infrazione, nel caso in cui l’Italia rimanesse ferma sulle proprie posizioni.

La decisione potrebbe essere tuttavia rimandata a dopo la decisione delle due agenzie di rating, per essere ufficializzata in ogni caso entro la scadenza prevista per il prossimo 29 ottobre.

A quel punto, l’Italia avrebbe tre settimane di tempo per rispondere alla eventuale procedura. Sempre che il governo trovi la coesione necessaria per superare la crisi della manina esplosa sul decreto fiscale, e rispondere compatto a Bruxelles. Perchè ora il problema sembra essere proprio questo: quello di rimanere in piedi.

L’alternativa è che il M5S e la Lega vadano ognuno per la propria strada, come tra l’altro molti elettori vorrebbero, pronti ad affrontare la sfida delle elezioni europee del 2019. E magari, a quel punto, per Salvini sarebbe anche più semplice candidarsi alla presidenza della Commissione europea, la poltrona al momento su cui siede Jean-Claude Juncker, e a cui il leader della Lega starebbe già guardando con interesse.