Notizie Notizie Italia Tassi negativi in Giappone. L’eterna lotta della Bank of Japan per una inflazione sostenibile e lo strano caso dello yen

Tassi negativi in Giappone. L’eterna lotta della Bank of Japan per una inflazione sostenibile e lo strano caso dello yen

10 Novembre 2022 11:02

La Bank of Japan é alle prese, tuttora, con il fenomeno dei tassi negativi. Contrariamente alle principali banche centrali dei paesi avanzati, Fed, Bce e Bank of England in testa, e a molte altre dei paesi emergenti – la Bank of Japan continua a confermarsi mosca bianca nel panorama della politica monetaria mondiale. Motivo: l’inflazione, che anche se sale, non lo fa in modo sostenibile.

Bank of Japan
Bank of Japan

In questo caso, la crescita è legata infatti soprattutto al boom dei prezzi delle materie prime, e non ha basi per continuare a crescere al ritmo desiderato dalla banca centrale del Giappone, che è pari al 2%.

C’è poi lo strano caso dello yen, valuta abbattuta da forti sell off nel corso di quest’anno e che tuttavia, contrariamente a quanto si legge nei manuali di economia, non ha grandi effetti nell’accendere l’inflazione.

A confermare la situazione sui generis in cui versa il paese, è stato oggi il governatore della Bank of Japan Haruhiko Kuroda – considerato una sorta di ultimo samurai dovish , in un momento in cui i suoi colleghi si affannano ad alzare i tassi.

In un discorso proferito nella giornata di oggi, Kuroda non solo ha detto che la BoJ non si trova ancora nelle condizioni di considerare un’uscita dalle manovre maxi espansive che continua a lanciare ma, anche, che potrebbe tagliare ulteriormente i tassi, rendendoli ancora più negativi.

Bank of Japan, Kuroda: pronti a tagliare tassi negativi in caso di necessità

Un taglio dei tassi negativi è un’opzione da considerare in caso di necessità – ha detto il banchiere centrale, aggiungendo che “non si può comunque dire quanto la BOJ potrebbe rendere ulteriormente negativi i tassi”.

LEGGI ANCHE

La nuova GameStop si chiama Bank of Japan: rally da meme stock, febbre retail trader anche in Giappone

Helicopter money in Giappone e non solo in tempi di Covid. Si infiamma dibattito mai sopito su monetizzazione debito

L’Italia non è il Giappone, Bisin spiega perchè un debito monstre non sempre fa paura

Va ricordato che la Bank of Japan lanciò la politica dei tassi negativi nel 2016, al fine di combattere l’ostinata deflazione. I tassi sono stati fissati al -0,1%. E da allora così sono rimasti.

Tutto, ovviamente, dipenderà dal trend dell’inflazione in Giappone. Che però rimane sottotono, anche se, nel mese di settembre, è balzata al ritmo del 3%: si tratta comunque di un ritmo decisamente inferiore al balzo dell’inflazione al ritmo dell’8% negli Stati Uniti e del 10% nell’area euro e nel Regno Unito.

Ne è ben consapevole la Bank of Japan, che ritiene che l’attuale crescita dell’inflazione in Giappone sia temporanea e che, per questo, porta avanti la sua politica monetaria espansiva.

Certo, per il Giappone assediato per tanti anni dalla deflazione, un balzo dell’indice dei prezzi al consumo pari a +3% rappresenta un record. Escludendo l’anno fiscale 2014, condizionato dall’aumento dell’Iva all’8%, la crescita del CPI al ritmo del 3% su base annua è, di fatto, la più forte dal 1991.

A salire soprattutto i prezzi alle importazioni, che hanno trovato un assist sia nel rally dei prezzi energetici scatenato dalla guerra in Ucraina, che nel deprezzamento dello yen (che ha avuto un effetto sui prezzi dei beni importati ma che, come vedremo in seguito, non è sufficientemente efficare a far salire l’inflazione).

Molti economisti lo dicono chiaro e tondo:l’aumento dei prezzi non è dovuto al rafforzamento della domanda (in realtà questo è vero anche per l’area euro), né avviene in un contesto di boom dell’economia; questo fattore, unito al fatto che i salari non sono saliti al fine di compensare la crescita dell’inflazione, rende gli esperti prudenti sul rischio che un calo dei consumi possa portare l’economia del Giappone in un ciclo di depressione, con le famiglie che decidono di tenersi stretto il portafoglio“. (già lo fanno in tempi normali).

Tassi Giappone e inflazione: doppio enigma con lo strano caso dello yen

Dello strano caso del Giappone e, in particolare, dello yen, ha parlato tra gli altri Takeshi Tashiro, docente senior non residente del Peterson Institute for International Economics.

In un articolo pubblicato su East Asia Forum, Tashiro ha scritto che “una caratteristica peculiare dell’economia giapponese è la continua bassa inflazione, nonostante l’attuale periodo inflazionistico globale”.

Ma perché il Giappone fa fronte a una inflazione più bassa rispetto a quella del resto dei paesi avanzati, e da così tanto tempo?.

Due rebus macroeconomici assillano il Giappone: l’impatto molto basso che il tasso di cambio ha sull’inflazione e la debole crescita dei salari, spiega Tashiro:

Il primo enigma è che uno yen più debole ha un impatto molto lieve sull’inflazione e sull’economia rispetto a quanto l’analisi macroeconomica preveda. La Bank of Japan ha confermato la sua politica di tassi negativi, mentre le banche centrali di altri paesi avanzati hanno alzato i tassi, al fine di combattere l’inflazione, portando così lo yen a crollare del 30% nei confronti del dollaro Usa. Lo scorso settembre, lo yen è scivolato al minimo degli ultimi 24 anni, portando il governo a intervenire per risollevarne le quotazioni, per la prima volta dal 1998“. Detto questo, il punto è che “il deprezzamento di una valuta dovrebbe provocare l’inflazione facendo salire i prezzi delle importazioni”. E invece “la debolezza dello yen in un contesto di assenza di alta inflazione dimostra il basso impatto del deprezzamento”, continua l’analista di Peterson Institute for International Economics (PIIE) , facendo l’esempio più recente.

Nel settembre del 2022, l’indice dei prezzi alle importazioni misurato dallo yen è balzato del 48%, ma i prezzi al consumo sono saliti sono in misura modesta. E, così come in occasione di altri episodi di deprezzamento della valutacosì come quando era ancora in vigore l’Abenomics – l’inflazione domestica non è salita“.

Il secondo enigma è la bassa crescita dei salari. Nonostante il tasso di disoccupazione pari al 2,6% nel settembre del 2022, i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Gli aumenti dei prezzi delle commodities hanno scatenato in altri posti una spirale salari-prezzi. Negli Stati Uniti, con le aziende che hanno aumentato i prezzi per riflettere i costi più alti, i lavoratori hanno preteso e ricevuto aumenti delle paghe, grazie al loro forte potere contrattuale in un mercato del lavoro rigido, portando le aziende a spingere ancora più al rialzo i prezzi”. Nel caso del Giappone, “nonostante la quasi piena occupazione, le dinamiche dei salari non hanno seguito questo percorso”. (e in realtà questa è una dinamica che sta interessando anche l’area euro, in modo specifico l’Italia, anche se nel caso specifico di quest’ultima di certo non si può parlare di occupazione quasi piena).

Sfida Bank of Japan in un paese con eccessivi risparmi privati

I due rompicapi, continua l’economista, possono essere spiegati con caratteristiche tipiche del Giappone.

In primis, la domanda aggregata continua a essere insufficiente. La ripresa del Giappone dalla pandemia Covid-19 continua a essere lenta, con il Pil che si è ripreso solo dopo il secondo trimestre del 2022. La crescita rimane più bassa in modo significativo rispetto al picco (dell’espansione del Pil) precedente al Covid-19, che ha preceduto l’aumento dell’Iva del 2019. In secondo luogo, se è vero che il settore privato ha messo a posto i suoi conti, e anche in modo significativo, dalla crisi finanziaria degli anni ’90, i risparmi privati rimangono notevoli. Le famiglie sono in generale frugali nella gestione dei loro soldi e continuano ad ammassare risparmi”. E se si risparmia si consuma poco, o anche per niente.

Il risultato è un paese, il Giappone, “visto dai più come il primo esempio moderno di stagnazione secolare, così come banco di prova per lo sviluppo di una strategia di uscita.”.

Tashiro ricorda che, “dopo lo scoppio della sua economia da bolla che ha provocato la crisi finanziaria degli anni 90, il Giappone è entrato in un periodo di bassa crescita conosciuto come ‘i decenni perduti’ con il Pil che non è riuscito mai a raggiungere il suo potenziale”.

In realtà, fa notare il docente del Peterson Institute for International Economies, “se si prende in considerazione il calo della sua popolazione, la performance del Giappone nei ‘decenni perduti’ non risulta così negativa come appare. Dal 2000, la crescita del Pil pro-capite del Giappone non è stata molto inferiore a quella di molti paesi avanzati. Il tasso di disoccupazione rimane estremamente basso. La questione più sfidante risiede nel settore privato, dove sia le famiglie che le aziende hanno risparmi eccessivi, fattore che è risultato nell’assenza di soggetti richiedenti prestiti. Dall’altro lato, i deficit del governo hanno sostenuto l’economia”.

E’ possibile che i risparmi del settore privato siano eccessivi per la mancanza di opportunità di investimenti e per i cambiamenti demografici (il Giappone è il paese alle prese con l’invecchiamento della popolazione record nel mondo, insieme all’Italia) , entrambi elementi che hanno contribuito ai ‘decenni perduti’. E i bassi tassi di interesse sono conseguenza della forte presenza di istituti di erogazione di prestiti e dalla scarsità dei debitori (privati), visto che sempre più giapponesi preferiscono risparmiare per il futuro, piuttosto che spendere adesso. Le aspettative più alte di vita hanno aumentato inoltre i risparmi individuali pensionistici, mentre il calo della domanda corrente per i consumi futuri ha provocato la caduta dei prezzi: l’esito è stato un surplus di risparmi per il futuro e una flessione dei tassi di interesse”.

Di cosa ha bisogno il Giappone per uscire da questa situazione in cui è impantanata da fin troppo tempo?

Della stessa cosa di cui ha bisogno l’Italia, si potrebbe rispondere, ovvero di “riforme strutturali che incoraggino l’innovazione e la produzione”, risponde Takeshi Tashiro, del Peterson Institute for International Economics, che lancia il seguente messaggio.

Il Giappone deve ripensare la propria agenda per affrontare la questione dei risparmi privati eccessivi, e considerare modi alternativi per gestire i risparmi quando il settore privato non riesce a soddisfare la domanda. Visto l’elevato livello del debito governativo, Tokyo dovrebbe anche cercare le opportunità di investimento più promettenti, dando priorità ad alternative al deficit di bilancio che possano sostenere la domanda. La bassa inflazione in un periodo di deprezzamento dello yen dimostra che gestire l’economia in un contesto di enormi risparmi privati continua a essere la sfida principale del Giappone”.

Bank of Japan: il messaggio di Kuroda al premier Fumio Kishida

Tornando alla Bank of Japan quello che può essere per l’appunto considerato ultimo samurai dovish, ovvero il governatore Haruhiko Kuroda, ha detto oggi che, solo “quando si riusciranno a intravedere il raggiungimento del target di inflazione al 2% e gli aumenti dei salari, la BoJ potrà iniziare a discutere sull’uscita dalla politica monetaria espansiva, e andare verso la normalizzazione della politica monetaria”.

Ma, per l’appunto, “ora non ci troviamo in questa situazione” e “alzare ora i tassi di interesse provocherebbe danni a un’economia che si sta ancora riprendendo dall’impatto della pandemia. Sono consapevole – ha continuato il numero uno della banca centrale del Giappone –dell’impatto che la debolezza dello yen sta avendo sulle famiglie, che pagano prezzi alle importazioni più alti. Ma i meriti della politica della Bank of Japan superano i costi, sebbene siamo consapevoli della necessità di essere attenti riguardo ai costi di una politica monetaria prolungata”.

Il ritmo a cui i tassi di interesse negativi saranno alzati in Giappone sarà tra i fattori chiave di cui la Boj discuterà in merito alla strategia di uscita” dall’attuale politica monetaria ultra espansiva, ha continuato Kuroda: “Un altro fattore è come apportare aggiustamenti all’enorme bilancio della Bank of Japan”.

Va ricordato che la Bank of Japan lanciò la politica dei tassi negativi nel 2016, al fine di combattere l’ostinata deflazione. I tassi negativi sono stati fissati al -0,1%.

Nell’incontro di oggi con il premier giapponese Fumio Kishida, il governatore della Bank of Japan ha detto, anche, che “il rapido indebolimento dello yen è indesiderabile per l’economia. In questo senso, ho detto (a Kishida) che la BOJ presterà la dovuta attenzione ai mercati finanziari e al forex”.

Bank of Japan (Kuroda incontra premier Kishida)
Bank of Japan (Kuroda incontra premier Kishida)

Lo yen oscilla attorno a 146,16 nei confronti del dollaro, in ripresa rispetto ai 150 JPY contro il dollaro del mese di ottobre.

Il ministro delle Finanze giapponese Shunichi Suzuki aveva già ribadito la scorsa settimana l’intenzione di blindare la valuta, dicendosi pronto a intervenire di nuovo per difendere lo yen dai sell off, in caso di bisogno, facendo così capire che la sua battaglia contro gli speculatori non è ancora finita.

Abbiamo concordato sulla necessità di continuare a raggiungere una crescita economica con un trend strutturale di aumenti dei salari e con il raggiungimento del nostro target sui prezzi in modo sostenibile e stabile”, ha detto dal canto suo Kuroda al premier giapponese Kishida.

Su una possibile strategia di uscita dalla politica monetaria maxi espansiva, il governatore ha rimarcato che “è prematuro presentare dettagli di una eventuale exit strategy. Ma uno dei principali temi di dibattito sarà il ritmo dell’aumento dei tassi di breve termine della BOJ, al momento pari a -0,1%“.

Dibattito che appare ancora molto lontano, visto che “é estremamente importante per la Bank of Japan sostenere l’economia con una politica monetaria ultra-accomodante e assicurare il contesto che consenta alle aziende di alzare i salari”.