Tassi Fed, stime e dot plot: ecco gli ingredienti del nuovo meeting che “deluderà” Trump

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Una settimana con le banche centrali protagoniste. Ad aprire le danze oggi è stata la Bank of Japan (BoJ) che ha deciso di mantenere i tassi fermi e ha rivisto il ritmo di acquisto dei titoli di stato giapponesi (con un tapering dimezzato dal 2026 in poi). Domani toccherà alla Federal Reserve (Fed) e giovedì nuova carrellata di meeting con la Bank of England (BoE) e la Banca nazionale svizzera. Per la Fed e la BoE i mercati sono orientati per una pausa, mentre per l’istituto elvetico le attese sono per una riduzione del costo del denaro verso lo zero. Una strada che sembra tracciata per un ritorno nell’era dei tassi negativi.
Intanto proprio oggi è partita la due giorni di riunioni del Fomc, con la Banca centrale Usa che si prepara a una nuova pausa nei tagli dei tassi (quarta riunione consecutiva). Un annuncio che senza dubbio scatenerà un nuovo attacco da parte di Donald Trump all’indirizzo del presidente Jerome Powell.
Trump alla finestra
Sin dal suo insediamento il presidente Donald Trump ha lanciato, riunione dopo riunione, i suoi “appelli” affinché la Fed abbassasse i tassi. Forse è meglio definirli attacchi in piena regola verso il presidente della Fed, Jerome Powell, definito dal tycoon “un idiota” o ribattezzato “Mr too late”. Come sottolineano da Bloomberg News in un articolo dal titolo ” Trump’s Latest Attack on the Fed Zooms In on Surging Debt Costs“, la narrativa di Trump è cambiata negli ultimi mesi: se prima i tagli al costo del denaro erano invocati per sostenere l’economia nella fase di transizione verso livelli tariffari più elevati, ora il tycoon li rivendica perché necessari per affrontare l’enorme deficit di bilancio.
Un macigno, quello del debito, invocato di recente anche Moody’s Ratings. L’agenzia ha tagliato il rating a lungo termine del governo statunitense da Aaa ad Aa1, citando proprio l’aumento del deficit e il crescente onere del rifinanziamento del debito a fronte di tassi di tassi di interesse elevati. Secondo Moody’s il deficit sarà trainato principalmente dall’aumento dei pagamenti per interessi sul debito, che già quest’anno secondo le stime della Congressional Budget Office (Cbo) potrebbe avvicinarsi ai mille miliardi (952 mld) per poi superare tale sogli nel 2026 e volare fino a 1.800 miliardi nel 2035.
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Sulla questione si è soffermata di recente anche Scope ratings nel report “La traiettoria del debito pubblico e i pagamenti degli interessi degli Stati Uniti sono destinati a peggiorare e a superare quelli dei paesi sovrani”. In particolare, Eiko Sievert, senior Director del Sovereign Team di Scope Ratings e autore del report, ha posto l’accento sul fatto che in assenza di misure correttive credibili, il profilo fiscale degli Stati Uniti è destinato a deteriorarsi significativamente nei prossimi anni. Il rapporto debito/PIL è atteso al 133% entro il 2030, superando quello di altri emittenti sovrani avanzati come Francia (122%) e Regno Unito (111%). Parallelamente, la spesa per interessi sul debito raggiungerà livelli eccezionalmente elevati (12% delle entrate), con un impatto crescente sulla sostenibilità fiscale.
Ma gli economisti invitano a soppesare il rischio inflazione. La ragione? Abbassare i tassi, anche se non fosse necessario per l’economia, rischierebbe di alimentare i timori di un’inflazione più elevata. “Nel breve termine, tagliare i tassi di interesse rappresenterebbe una differenza sostanziale nel ridurre l’onere degli interessi per il governo statunitense”, ha affermato David Seif, capo economista per i mercati sviluppati di Nomura, citato da Bloomberg. Ma i benefici “potrebbero facilmente essere di breve durata” a causa delle crescenti aspettative di inflazione che alla fine hanno fatto aumentare i costi degli interessi.
Cosa aspettarsi dal Fed Day
Ma guardiamo ora a domani sera quando arriveranno le decisioni ufficiali della Fed. È ampiamente atteso che nella riunione di domani l’istituto mantenga invariati i tassi d’interesse, per la quarta decisione consecutiva da gennaio di mantenere lo status quo. “Il focus, quindi, non sarà tanto sul livello dei tassi – già largamente previsto dai mercati – quanto sulla revisione delle proiezioni economiche e sul dot plot – avverte François Rimeu, senior strategist di Crédit Mutuel Asset Management -. Le revisioni attese, legate all’evoluzione del contesto macroeconomico, dovrebbero riflettere un rallentamento della crescita, un’inflazione più persistente del previsto nonostante le sorprese positive degli ultimi mesi, e un indebolimento del mercato del lavoro. In un contesto caratterizzato da rischi di stagflazione ed elevata incertezza, è probabile che la Fed confermi un approccio prudente, rimandando eventuali tagli dei tassi finché i dati economici oggettivi (“hard data”) non giustificheranno in modo chiaro un allentamento della politica monetaria”.
Secondo l’esperto è improbabile che la Fed prenda in considerazione un taglio dei tassi finché non avrà maggiore chiarezza sugli effetti combinati delle misure economiche e normative introdotte dall’amministrazione Trump. Tuttavia, in caso di un peggioramento forte e inatteso del mercato del lavoro, potrebbe intervenire a sostegno dell’economia, a condizione che le attese di inflazione di lungo periodo restino ben ancorate.
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“Il comunicato stampa, e ancor più la sessione di domande e risposte, metteranno in evidenza l’estrema e senza precedenti incertezza che circonda le previsioni. Questa incertezza suggerisce che, per il momento, la risposta migliore della Fed sia aspettare fino a quando l’impatto delle tariffe non si manifesterà nei dati sui prezzi e sull’attività. La proiezione mediana per il tasso di politica monetaria non dovrebbe cambiare rispetto alla riunione di marzo, il che indica che la Fed vede come ottimali altri due tagli quest’anno”, indica Paolo Zanghieri, senior economist di Generali Investments sottolineando che al momento si attende ancora due tagli dei tassi quest’anno (a settembre e dicembre), ma i rischi sono orientati verso un solo taglio, alla fine dell’anno.