Rumor Carige, verso soluzione di sistema, con aumento capitale da 750 MLN e regia Fitd. Ubi cavaliere bianco?

Dossier Carige, finalmente la svolta, con una soluzione magari tutta italiana e dunque di sistema? “Dietro le quinte si lavorerebbe a un aumento di capitale fino a 750 milioni, quindi con altri 400-450 milioni, oltre a quei 312 milioni di euro di bond che sono stati sottoscritti dall’Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) e che con la conversione diventeranno azioni”. Così riporta il quotidiano La Repubblica, all’indomani della riunione dell’Fitd che avrebbe deciso di prendere le redini del dossier.
Questo, mentre il fondo Apollo, snobbato fin dall’inizio – prima dall’azionista di maggioranza Vittorio Malacalza poi dallo stesso Fondo interbancario – starebbe preparando una nuova proposta. E’ quanto emerge dallo stesso comunicato diramato da Banca Carige.
“Carige comunica che nella serata i Commissari hanno ricevuto da Apollo Global management una proposta di intervento a supporto della Banca. La proposta, che prevede la partecipazione del FITD e degli attuali azionisti di riferimento, è stata agli stessi prontamente inoltrata per le valutazioni del caso”.
Repubblica precisa che la proposta di Apollo recapitata ai commissari Carige sarebbe verosimilmente migliorativa, ma al momento la soluzione su cui i mercati scommettono – anzi, più che scommettere si può dire scontano, visto che la reazione è negativa – non ha più tanto a che vedere con la presenza di un fondo straniero alla BlackRock (che, come si ricorda, si è sfilata di colpo), ma con un intervento di soci, Stato e banche italiane: appunto, con una soluzione di sistema.
Così la nota che è stata diramata ieri dall’Fitd , successivamente alla riunione che ha ufficialmente bocciato la prima offerta di Apollo.
«Il Consiglio di gestione dello Schema Volontario, riunitosi in data odierna, dopo un attento esame della situazione e delle prospettive di Banca Carige, ha ritenuto di non poter accogliere l’ipotesi di intervento allo stato prospettata da un Fondo di Private Equity (ovvero dal fondo Apollo, di cui per l’ennesima volta si è deciso di non fare il nome)», si legge nel comunicato diffuso da Fitd.
Aumento capitale spaventa mercato, giù titoli bancari
Lo schema volontario del Fitd ha manifestato «al tempo stesso il fermo intendimento di intervenire, anche in tempi ristretti, nella soluzione della crisi della banca, con la disponibilità a valutare nell’ambito dei propri organi e in coerenza con le disposizioni statutarie proposte di intervento che prevedano la partecipazione degli attuali azionisti e di partner pubblici o privati».
Il comunicato del Fondo ha infine concluso che “già a partire da domani (oggi per chi legge)” sarà avviata “un’analisi approfondita degli assetti tecnici e organizzativi della banca, per definire il fabbisogno di capitale e le connesse proiezioni economico-finanziarie pluriennali, idonee a sostenere un piano industriale efficace e credibile”.
Secondo la Repubblica, “dai primi contatti sembrano fuori gioco Mps e Bper, mentre Ubi a certe condizioni potrebbe essere attratta dal dossier”. In ogni caso, precisa il quotidiano, “il partner industriale, se salterà fuori, dovrebbe coprire circa metà dei 300 milioni dei fondi che arriveranno da nuovi soci, in tandem con il Fondo tutela depositi (nella versione obbligatoria), che ha una dote versata di 1,4 miliardi pronta all’uso e potrebbe tornare un’ipotesi praticabile (benché resti pendente il ricorso dell’Antitrust Ue al verdetto della Corte di giustizia che a marzo ha demolito i veti di Bruxelles sul suo utilizzo per salvare la Tercas nel 2014). A colmare il fabbisogno resterebbe poi l’obolo degli azionisti attuali, disposti a investire fino a un centinaio di milioni (circa metà dal gruppo Malacalza, che ha il 27,7% del capitale)”.
L’impatto sui mercati è innegabile: nonostante la smentita il titolo Ubi Banca soffre, e a soffrire a Piazza Affari è l’intero comparto bancario, che gli investitori vedono alle prese con una nuova zavorra/patata bollente.
I rumor su un aumento di capitale da 750 milioni finanziato con la conversione dei bond dell’Fitd e con un intervento concertato delle banche italiane, mettono sull’attenti gli investitori che guardano agli istituti di credito, già alle prese con diverse grane (i BTP in pancia e il rischio di una loro svalutazione, legati al rischio di una procedura di infrazione contro l’Italia e, in generale, a una crisi di fiducia nei confronti del paese; i crediti deteriorati; il contesto di bassa redditività che sembra farsi ormai cronico, vista la promessa della Bce di Mario Draghi di intervenire ancora, in caso di bisogno).
Si guarda con preoccupazione alla possibilità – sempre più realistica – che le banche versino di tasca propria parte dei fondi necessari. Una prospettiva che, ovviamente, non piace al mercato.Le conseguenze sono negative, proprio per la relazione che esiste tra banche italiane e BTP (il fenomeno del cosiddetto doom loop), anche per i titoli di stato italiani.
Il Corriere della Sera riporta intanto altre indiscrezioni, secondo cui Mediocredito Centrale, istituto al 100% di Invitalia, potrebbe scendere in campo con un investimento di circa 200 milioni di euro per la banca ligure.
Mentre circolano rumor sull’identità del cavaliere bianco, che si tratti di Mediocredito Centrale o di Ubi Banca, una cosa è certa: il salvataggio su cui stanno lavorando il Fondo interbancario, lo Stato e i soci dell’istituto, volto a scongiurare la ricapitalizzazione precauzionale in stile Mps, starebbe prendendo sempre di più la forma di una soluzione di sistema. Rigorosamente made in Italy.
E sono mesi che, puntualmente, arrivano rumor di banche italiane potenzialmente orientate a salvare l’istituto.
Così scriveva Repubblica a fine maggio:
“A tornare a sorpresa sono poi le voci relative al possibile ingresso in campo per salvare Carige di una banca italiana. Niente grandi nomi come Unicredit e Intesa, ma istituti di dimensioni sostanzialmente analoghe a quelle di Carige. I nomi in circolazione sono quelli di Creval, Popolare di Sondrio e Credem. Stando a quanto scrive oggi Repubblica, potrebbero aggiungersene altri. La business combination torna quindi in auge soprattutto in virtù del fatto che il soggetto che si aggrega potrà capitalizzare benefici fiscali di poco inferiori al miliardo”.
QUI le banche aderenti allo Schema volontario del Fondo Interbancario di tutela dei depositi. C’è anche qualche nome straniero, come Citibank, Credit Agricole Italy e Credit Suisse Italy, oltre alle banche più o meno conosciute e a diverse casse di risparmio.