Recovery Fund, Merkel mette Conte sull’attenti sui Paesi frugali. Bce avverte Italia. Il test BTP futura: ‘investitori domestici WANTED’
Per Giuseppe Conte, i quattro paesi frugali – Austria, Danimarca, Olanda, Svezia – (o cinque insieme alla Finlandia), rimangono il principale ostacolo perché si concretizzi la proposta Ue del Recovery Fund, alias il Next Generation EU, come è stato ribattezzato dalla stessa Commissione europea di Ursula von der Leyen.
Di questi quattro-cinque paesi frugali, il presidente del Consiglio ha parlato in una conversazione telefonica con la cancelliera tedesca Angela Merkel, che si appresta a indossare le vesti da paciere nelle trattative sul fondo per la ripresa: in ballo 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi di euro in sussidi e 250 miliardi in prestiti.
E’ la stessa Merkel che ha avvertito Conte sull’ostacolo dei paesi frugali. In particolare, stando al retroscena riportato da La Stampa, la leader tedesca ha sottolineato che soprattutto Danimarca e Finlandia restano inflessibili.
Ma Conte non è disposto ad accettare nessun compromesso al ribasso, rifiutando l’opzione di un Recovery Fund più leggero, e si affida alla cancelliera: “Confidiamo nella tua leadership”, ha detto nel corso della conversazione telefonica. Giocando la carta del veto sul budget europeo.
Secondo il quotidiano torinese, il presidente del Consiglio riuscirebbe ad accettare anche il piano originario franco-tedesco sul Recovery Fund, quello da 500 miliardi tutti in sovvenzioni – dunque senza prestiti da rimborsare. Ma “l’importante è che il risultato finale sul Recovery Fund sia una proposta ambiziosa. Altrimenti noi non saremo molto flessibili sul budget europeo”, ha detto lui stesso. In che modo? Attraverso il veto, in particolare, sui “rebates”, gli sconti sui contributi al bilancio – ricorda La Stampa – che ammontano a circa 40 miliardi di euro e “di cui godono alcuni Paesi membri dagli anni Ottanta, grazie alle pressioni che allora fece la premier inglese Margaret Thatcher”.
Intanto la stampa mondiale dedica nuovi articoli al caso Italia: investitori domenistici wanted, scrive Bloomberg, facendo riferimento a quanto auspicato da diverse autorità italiane riguardo al debito italiano. Che il debito pubblica torni nelle mani degli italiani, insomma, che siano loro a detenerlo. Bloomberg scrive che i funzionari “stanno già lavorando su una nuova linea di difesa per la prossima crisi”, con una “strategia che comporta il coinvolgimento dei cittadini nella protezione delle finanze della Repubblica”. Prove di questa strategia sono già sotto gli occhi di tutti, con l’offerta del BTP Italia (leggi i numeri record a maggio, e la vendita, prevista per la prossima settimana, del BTP Futura, un BTP all’attacco dei risparmi fermi nei conti correnti). Grande attesa per il BTP Futura, che sarà emesso la prossima settimana, e che si rivolgerà esclusivamente ai risparmiatori retail).
La vendita dei BTP futura – scrive Bloomberg – è un tentativo di tornare al passato italiano pre-euro, quando una volta i consumatori che detenevano quasi due terzi del debito fornivano (a Roma) un cuscinetto contro gli attacchi speculativi. ‘Più coinvolgi gli investitori retail, più tieni lontane le pressioni sui finanziamenti, e minore è il rischio che un qualsiasi aumento delle emissioni destabilizzi i mercati – ha commentato Giles Gale, responsabile della strategia sui tassi europei presso NatWest Markets. “Un coinvolgimento maggiore degli investimenti retail dovrebbe aiutare (l’Italia) a ridurre la volatilità del mercato”.
Il grafico pubblicato da Bloomberg mette in evidenza il coinvolgimento attuale, se così lo si può chiamare, degli investitori italiani retail nella questione del debito pubblico.
Alla fine di marzo, gli investitori retail detenevano solo il 3,1% dei titoli pubblici dell’Italia (area viola). Un crollo epocale dell’interesse dei cittadini italiani verso i titoli di stato italiani. Bloomberg ricorda infatti che la proporzione era pari al 62,5% nel 1988, fattore che indica come ci sia un ampio mercato da sfruttare. Lo stesso numero uno della Consob Paolo Savona, ex ministro agli Affari europei del primo governo Conte M5S-Lega, si è recentemente espresso sulla questione, chiamando i risparmiatori italiani alla riscossa per salvare il paese e invocando anche i BTP di guerra.
Intervistato da Bloomberg Domenico Germano, pensionato di 84 anni, non manifesta tutto questo entusiasmo per i BTP Futura.
“Investire nei bond retail era un modo facile di fare più profitti e di proteggersi contro l’inflazione – ha spiegato, motivando la sua decisione di acquistare debito italiano agli inizi degli anni ’90, quando i rendimenti raggiunsero il 16%. Ora – aggiunge – con la stabilità monetaria, c’è meno rischio che i soldi che hai messo in banca perdano valore”. Dunque, per lui, i suoi soldi possono rimanere pure lì, fermi nei conti correnti.
Bce all’Italia: fate riforme, crescita zero già prima coronavirus
Detto questo, sempre La Stampa riporta l’appello che la Bce lancia all’Italia: “L’Italia faccia le riforme”. A dirlo senza mezzi termini è il vicepresidente della banca centrale, Luis De Guindos, che una strigliata a Roma la dà, in quanto “ora il rischio per l’Europa è una ripresa a due velocità”.
Dunque, “l’Italia sia più competitiva”. Ovvero: “Il problema dell’Italia è legato innanzitutto alla crescita che già prima del coronavirus era prossima allo zero. E’ una questione di produttività, di competitività e di riforme strutturali da completare. In questa fase della crisi, le politiche di bilancio nazionali devono essere espansive. Nel breve termine non c’è alternativa, se non spendere. Ma una volta che l’emergenza sarà alle nostre spalle, tutti i Paesi con un alto livello di debito – e non solo l’Italia- dovranno ricominciare ad affrontare il problema della sostenibilità nel medio termine e del rispetto dei parametri comunitari”.
Riguardo all’azione della Bce, alla domanda se il motto ‘Whatever it takes’ di Mario Draghi sia ancora vivo, De Guindos conferma che “come si vede dai comunicati, siamo pronti a ricalibrare le misure non convenzionali e i nostri programmi pandemici -come il Pandemic emergency purchase programme (Pepp)– affinché si adattino alle circostanze”.
Ma il numero due della Bce tiene a fare anche una importante precisazione: “Il principale antidoto non sarà la politica monetaria .- che certo noi condurremo consapevoli di non essere onnipotenti – ma l’azione di riforma e di bilancio dei governi”. Insomma, per evitare “una ripartenza a due velocità”, secondo de Guindos è fondamentale una risposta fiscale pan-europea. “Servono una unione monetaria completa, una vera unione bancaria, un solo mercato dei capitali e uno strumento fiscale congiunto”.
Detto questo, l’Italia resta un tema spinoso per l’intera Ue, in queste trattative convulse sul Recovery Fund, che sia Merkel che Conte sperano di chiudere al massimo entro la prima settimana di agosto. La Repubblica riporta lo scetticismo verso l’Italia di cui tanti tedeschi non riescono a liberarsi:
“A Berlino,una fonte sintetizza: «L’Italia è tra i Paesi che spende peggio i fondi strutturali, possiamo fidarci che spenderà meglio quelli del Recovery Fund?»”.
La Repubblica intitola non per niente l’articolo nel modo seguente:
“Angela Merkel alla guida della Ue pone condizioni all’Italia”, facendo riferimento al semestre di presidenza tedesca in Europa. C’è poi la questione del MES che, secondo quanto riporta ancora La Stampa, il premier Conte sarebbe disposto ad affrontare ma solo dopo quella del Recovery Fund. Sul fondo per la ripresa, la speranza è che si riesca ad arrivare a qualche risulato concreto in occasione della prossima riunione del Consiglio europeo, del 17-18 luglio. Sul MES un appello viene oggi dalle pagine di Repubblica, rilanciato dall’ex premier Enrico Letta:
“Siamo davanti alla crisi più profonda di sempre e l’Italia è il Paese più esposto, con una crescita del debito spaventosa. Non dobbiamo sottovalutare quello che sta per accadere, la più grande crisi sociale che abbiamo mai vissuto. Per affrontarla ci vogliono soldi da mettere nelle parti dell’economia e della società con le ferite maggiori. E siccome i soldi nazionali non bastano e spesso e volentieri sono arrivati in ritardo, e i fondi del Recovery plan non saranno visibili prima dell’anno prossimo, il ponte del Mes è fondamentale. Si tratta di 36 miliardi praticamente a tasso zero”.