Petrolio e oro volatili con tensioni in Medio Oriente tra Iran e Israele
Petrolio e oro restano osservati speciali sui mercati, in un contesto di tensioni geopolitiche che ha creato una certa volatilità sulle materie prime nelle ultime sedute. I timori di un’escalation in Medio Oriente sembrano essersi parzialmente alleviati, ma lo scenario rimane incerto.
Petrolio e oro ritracciano
Nella seduta di venerdì il petrolio (Brent) ha toccato i 92 dollari al barile per la prima volta da ottobre e l’oro spot ha superato i 2.430 dollari l’oncia, stabilendo un nuovo massimo storico intraday, per poi ritracciare parzialmente. La paura di un aggravarsi del conflitto in Medio Oriente ha alimentato le preoccupazioni per l’offerta di greggio e ha spinto la domanda di beni rifugio, in primis il metallo giallo.
Tuttavia, nella seduta odierna il Brent è tornato sotto i 90 dollari e l’oro viaggia in area 2.330 dollari, in calo rispetto alla chiusura della scorsa ottava.
Si attenuano i timori per l’offerta di petrolio
La discesa odierna delle quotazioni del greggio segue un ridimensionamento delle minacce per le forniture di greggio legate al conflitto in Medio Oriente.
Nelle ultime due settimane, infatti, i mercati hanno scontato un’estensione dello scontro tra Israele e Iran, con possibili ripercussioni significative sui flussi petroliferi. La minaccia di un attacco iraniano diretto ad Israele ha fatto temere il peggio venerdì, ma l’entità dell’attacco di questo fine settimana è stata piuttosto contenuta e Teheran si è mostrata soddisfatta dell’azione.
Tel Aviv ha limitato i danni e i suoi alleati, in primis gli Usa, spingono per una soluzione diplomatica che possa evitare una risposta militare da parte di Israele. Nel complesso, lo scenario fa presupporre che la crisi sia momentaneamente rientrata, anche se resta un cospicuo grado di incertezza.
I possibili scenari per il greggio secondo ING
Lo spettro di nuove azioni armate non consente di abbassare la guardia e mantiene in vita il rischio di impatti sulle forniture di greggio. Come sottolineano gli analisti di ING, attualmente l’Iran pompa poco più di 3 milioni di barili al giorno di greggio ed è il quarto maggior produttore dell’OPEC.
Il primo rischio è quello di sanzioni petrolifere più rigorose contro Teheran, che potrebbero comportare una perdita di offerta tra 500.000 e 1 milione di barili al giorno, tenendo il mercato petrolifero in deficit per il resto dell’anno.
In secondo luogo, Israele potrebbe rispondere con un attacco alle infrastrutture energetiche iraniane, provocando perdite di approvvigionamento ancora più significative. Infine, un’ulteriore escalation potrebbe indurre l’Iran a bloccare i flussi di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale circolano circa 20 milioni di barili al giorno.
Per ING, il rischio più probabile è l’applicazione di sanzioni più severe contro l’Iran. In caso di perdite di flussi dall’Iran, comunque, gli Usa potrebbero liberare riserve strategiche e l’Opec sfruttare parte dei 5 milioni di barili al giorno di capacità produttiva attualmente inutilizzata, per evitare una risalita eccessiva dei prezzi con effetti negativi sulla domanda.
“Sebbene i rischi siano elevati, il che dovrebbe mantenere i prezzi del petrolio relativamente ben sostenuti, l’offerta di petrolio rimane per ora intatta. Pertanto, lasciamo invariate le nostre previsioni di un Brent a 87 dollari al barile per il secondo trimestre, finché non ci sarà chiarezza su come si svilupperanno gli eventi.”
AIE: “Aumenta rischio volatilità petrolio”
Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) continua a seguire da vicino gli sviluppi della situazione in Medio Oriente. “I mercati petroliferi globali erano già tesi prima degli eventi del fine settimana”, ma gli attacchi aerei iraniani “aumentano il rischio di una maggiore volatilità nei mercati petroliferi e forniscono un nuovo promemoria dell’importanza della sicurezza petrolifera”.
Per l’Aie, i tagli alla produzione da parte dell’OPEC+ (recentemente estesi fino a metà 2024) fanno sì che i produttori non OPEC+ continueranno a guidare la crescita dell’offerta mondiale di petrolio fino al 2025. Allo stesso tempo, la crescita della domanda globale di petrolio sta rallentando e si prevede un calo a 1,2 milioni di barili al giorno quest’anno e a 1,1 mbd nel 2025”.
Secondo l’agenzia, potremmo assistere ad un “picco dei consumi entro la fine di questo decennio”, a causa di una serie di fattori strutturali che faranno calare la domanda, tra cui la diffusione delle auto elettriche, il risparmio di carburanti e gli sforzi del Medio Oriente per slegarsi dal petrolio per la produzione di energia.
L’oro può salire ancora con escalation tensioni
Per quanto riguarda l’oro, l’escalation di tensioni ha agevolato gli acquisti di beni rifugio. Questo, nonostante la forza del dollaro e le minori scommesse sui tagli dei tassi da parte della Fed. Il mantenimento dei tassi su valori più elevati per più tempo dovrebbe infatti rendere meno appetibile l’acquisto dell’oro.
Secondo Saverio Berlinzani, Analista Senior di ActivTrades, in caso di nuove escalation “il metallo giallo potrebbe accelerare ulteriormente e l’area di 3000, che per molti è il prossimo obiettivo, potrebbe non rappresentare una chimera. Inoltre, l’oro ha continuato a beneficiare della forte domanda fisica in Cina, ma anche di acquisti da Turchia e Argentina, per combattere un’inflazione galoppante.”