Opv di Poste Italiane si farà attendere (rinvio al 2025?). Governo Meloni a caccia di investitori italiani anche per Mps

L’Opv di Poste Italiane rischia di diventare un caso e lo slittamento annunciato dal Tesoro potrebbe rivelarsi più lungo del previsto. Le ultime voci non escludono un rinvio al prossimo anno. Intanto il governo è al lavoro sulla “cessione della quota Mps e nocciolo duro di investitori italiani”.
Verso ulteriore slittamento dell’Opv Poste
Esattamente una settimana fa il Tesoro aveva annunciato che il procedimento presso la Consob per l’approvazione del prospetto relativo all’offerta di azioni da parte dello stesso Mef è stato “temporaneamente interrotto in pendenza delle decisioni e delle valutazioni in corso riguardo alle modalità e ai tempi dell’offerta”. Lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva minimizzato derubricando il tutto a dettagli tecnici in corso di definizione.
Tra i possibili nodi c’è la quota da destinare ai retail. Rispetto alle ipotesi iniziali di un 30-35%, l’ammontare per i piccoli risparmiatori potrebbe salire anche alla luce di quanto affermato dalla premier Meloni alla Camera (“Noi ragioniamo della cessione di una quota abbastanza minoritaria, dedicata esclusivamente ai retail, cioè i piccoli risparmiatori italiani e ai dipendenti di Poste. Poste, in ogni caso, deve rimanere nelle mani degli italiani ed è come il Governo si sta muovendo”) proprio due giorni prima dell’annuncio dello stop temporaneo dell’iter verso l’offerta delle azioni Poste. Parole che secondo alcuni hanno spinto il Tesoro a ragionare sull’ipotesi di un’offerta al 100% retail su cui però non ci sarebbe assonanza di vedute.
L’Opv riguarda un pacchetto del 14% circa del capitale di Poste e inizialmente sarebbe dovuta partire il 21 ottobre. Il rinvio ha fatto pensare a un posticipo di circa un mese verso metà novembre, per aspettare anche la pubblicazione dei conti trimestrali di Poste (6 novembre). Il Tesoro ha precisato che continuerà a detenere una quota, diretta ed indiretta, superiore al 50%.
Le ultime indiscrezioni, però, sembrano andare in un’altra direzione: ovvero non escludono possibili tempi più lunghi rispetto a un potenziale slittamento di un solo mese.
“Con Poste che pagherà l’interim dividend il 20 novembre (stacco il 18), non è escluso che l’OPV possa avvenire nei primi giorni di dicembre o addirittura nel 2025”, rimarcano oggi gli analisti di Equita che si aspettano un acconto dividendo di 0,30 euro per azione.
Tesoro sonda interesse delle Fondazioni
Tra le motivazioni dello slittamento, ci sarebbe la volontà da parte del governo Meloni di individuare un “nocciolo duro” di investitori nazionali (principalmente Fondazioni) che siano in grado di coprire una parte rilevante dell’offerta riservata agli istituzionali.
I rumor parlano di diverse Fondazioni che si sarebbero mostrate interessate al dossier, per un investimento complessivo di circa 150-200 milioni, ossia il 6-8% dell’offerta.
Stando a quanto riporta oggi il Corriere, alcune interlocuzioni avrebbero avuto luogo tra il Mef e i vertici delle fondazioni bancarie sull’opportunità di sottoscrivere una porzione della quota che il Tesoro metterà sul mercato. Tra queste la Crt a fianco di Cariplo, Cuneo, Cariparo e CariFirenze oltre ad altri enti che hanno già in pancia piccole quote di Poste, per creare così un nocciolo di azionisti tricolori.
Se ne parla nel 2025? Riflessi sul titolo
A livello di tempistica, la prima decade di dicembre è l’ultima finestra disponibile dell’anno e il quotidiano di via Solferino non esclude un rinvio al 2025.
“Il rinvio dell’Opv e il possibile ingresso nell’azionariato di investitori stabili come le Fondazioni sono elementi che riducono ulteriormente l’overhang (già di per sé limitato) sul titolo”, commentano ancora gli analisti di Equita. Il titolo Poste viaggia nei pressi dei massimi storici toccati proprio a seguito dell’annuncio del rinvio dell’Opv.
La cessione di una quota del 14% frutterebbe al Tesoro oltre 2,4 miliardi.
Il gruppo guidato da Matteo Del Fante attualmente vede lo Stato al 64,2% del capitale. Il 35% detenuto da Cassa depositi e Prestiti (controllata sempre dal Mef), mentre il ministero dell’Economia ha una quota diretta del 29,2 per cento. Sommando le quote dirette e indirette si arriva al 64,2%.
Avanti su cessione quota Mps
A tenere banco in via XX Settembre c’è anche il dossier Mps. Anche in questo caso l’intenzione annunciata era di cedere una quota entro fine anno, probabilmente nel corso del mese di novembre. Nelle ultime settimane è emerso forte l’interesse potenziale del patron di Banca Finint, Enrico Marchi, a guida di una potenziale cordata. Si è invece sfilato subito Leonardo Maria del Vecchio, ultimo dei sei figli del fondatore di Luxottica, che ha smentito l’interesse a partecipare alla cordata per entrare in Mps.
Sullo sfondo rimane della partita anche Unipol che per bocca del suo presidente Carlo Cimbri ha manifestato l’interesse eventuale a una piccola quota di Siena “esclusivamente in funzione di un accordo commerciale”, ossia legato al business bancassicurativo del Monte. Sul mercato più volte si sono rincorsi i rumor di un futuribile terzo polo con Bper, Sondrio e Mps insieme sotto la regia proprio di Unipol (che è già primo azionista di Bper e Sondrio).