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Nasdaq chiude anno da incubo: la fuga vale $7,4 trilioni

28 Novembre 2022 11:30

Tempi difficili per il Nasdaq e in generale per le Big Tech Usa – note anche con l’acronimo FAANG – che, per tanto tempo, hanno fatto la sua fortuna.

Nessuna delle 15 società hi-tech più grandi di Wall Street è riuscita a generare ritorni positivi nell’anno che sta per chiudere.

Microsoft ha assistito a un’emorragia tale da perdere dall’inizio del 2022 una capitalizzazione di ben 700 miliardi di dollari. Il valore di mercato di Meta-Facebook è crollato di oltre il 70% rispetto ai record del social network gestito da Mark Zuckerberg, bruciando più di 600 miliardi di dollari da inizio anno.

Guardando al calo sofferto dall’indice su base annua, gli investitori hanno perso 7,4 trilioni di dollari circa, pagando i ripetuti rialzi dei tassi da parte della Fed di Jerome Powell, i timori sulla persistenza dell’inflazione negli Stati Uniti e gli spettri di una recessione e/o di una stagflazione.

Come riporta un articolo della Cnbc, i tassi di interesse più elevati hanno strozzato l’accesso al capitale, e a capitolare sono stati sia i titoli del cloud che le crypto stocks, queste ultime azzannate dalle ripetute crisi e dai ripetuti scandali che hanno travolto il mondo delle criptovalute.

Nasdaq e l’annus horribilis: perdite ytd di oltre -28%

Dall’inizio dell’anno, il Nasdaq ha perso più del 28% del suo valore.

Basta osservare la tabella di cui sopra per avere un’idea della forte emorragia che ha colpito i titoli FAANG, ovvero Facebook (ora Meta), Amazon, Apple, Alphabet (Google) e Netflix.

Ma le vittime illustri sono tante: che dire di Rivian, la compagnia produttrice di auto elettriche, che si era messa in evidenza nel 2021 con un’Ipo da capogiro?.

La società nota come anti-Tesla, startup di camion, furgoni e suv elettrici partecipata da Amazon, valeva al suo debutto a Wall Street già più di BMW e quasi quanto Ford e General Motors nonostante i ricavi pari a zero, in un momento in cui impazzava a Wall Street una vera e propria EV stock mania.

I buy sfrenati portavano la capitalizzazione di Rivian a superare anche quella di Volkswagen.

Peccato che la febbre per Rivian abbia iniziato a smorzarsi dopo appena due mesi.

Già all’inizio di gennaio di quest’anno, la bolla scoppiava, con il titolo che scambiava a un valore inferiore del 50% dai suoi massimi del 16 novembre del 2021, pochi giorni dopo il lancio dell’Ipo.

Il crollo di Rivian è oggi sotto gli occhi di tutti: il gruppo EV ha perso più dell’80% del suo valore di mercato, che era arrivato a superare quota 150 miliardi di dollari.

Il brusco risveglio delle Big Tech dalla pandemia Covid. Il caso Peloton

Il brusco risveglio non è certo toccato soltanto a Rivian.

Diversi nomi illustri del Nasdaq hanno scontato l’uscita del mondo dalla fase di lockdown imposta durante il primo anno di pandemia Covid, nel 2020.

Basti pensare che, quell’anno, le cinque azioni ‘FAANG’ Facebook (Meta), Apple, Amazon, Netflix, and Google (Alphabet) avevano visto i loro titoli balzare rispettivamente del 33%, dell’81%, del 76%, del 67%, e del 31%.

Amazon si era confermata in modo indiscutibile tra i titoli Covid Winner, visto che i lockdown imposti in diverse parti del mondo avevano costretto milioni di persone a chiudersi in casa, e a fare incetta anche di beni di prima necessità online.

Tra gli altri Covid Winner, non si può non citare il caso Peloton che aveva archiviato il 2020 con un rally di ben il 368%.

Anche Peloton è caduta vittima del reopening, che ha sancito la fine della pacchia per diverse azioni.

Con il reopening, la gente è tornata a uscire di casa, nel caso della società in questione, riversandosi finalmente nelle palestre, e infliggendo così un danno non indifferente al gruppo di indoor cycling e, dunque, alle sue quotazioni in Borsa.

Dopo qualche breve parentesi all’insegna dell’euforia, si può dire che nel 2022 il titolo Peloton è caduto ufficialmente in disgrazia.

E certo il reopening non ha fatto bene neanche a un altro titolo Covid Winner, ovvero a quello del colosso dello streaming Netflix, che ha perso colpi in modo sostenuto pagando il ritorno nei cinema e nei teatri di chi, obbligato a stare a casa nei tempi di lockdown, aveva pensato bene di passare il suo tempo libero facendo scorpacciate di film.

Questo anno 2022 verrà ricordato come anno di profonda crisi anche per le Big Tech del calibro di Amazon e Meta Platforms, che non per niente hanno dovuto annunciare una carrellata di maxi-licenziamenti.  E il motivo non è solo la fine dei tempi di gloria che il mondo virtuale ha vissuto nei mesi più bui della pandemia.

C’è infatti l’inflazione che morde i risparmi e i consumi, e che tiene ben lontani i consumatori dai negozi, che siano reali o virtuali.

Con i tassi di interesse in aumento, salgono le rate sui mutui e si riduce lo spazio nei portafogli per fare shopping, già ristretto a causa dell’impatto del #caroenergia e del #carobollette.

Le aziende tagliano i loro budget di marketing e, inevitabilmente, le entrate pubblicitarie di Netflix, Facebook e Google vanno giù. Scendono dunque i ricavi e scendono gli utili. Per tagliare i costi, si dà così il via ai licenziamenti, deprimendo ulteriormente la propensione al consumo.

Le tensioni geopolitiche esplose nella guerra in Ucraina rendono il mondo più incerto: riuscire a fare previsioni è di per sé diventato difficile.

Di conseguenza, il contesto è di continuo allarme di inflazione (a causa dello shock che ha colpito l’offerta, prima con il reopening post Covid, poi con le sanzioni imposte alla Russia di Vladimir Putin che hanno tagliato la disponibilità di petrolio e altre commodities).

Il risultato è la debacle del Nasdaq a cui stiamo assistendo, così come di Wall Street in generale.  I crolli ripetuti dei pesi massimi di Wall Street hanno inferto un duro colpo anche all’indice S&P 500, che ha incassato una perdita del 15,5% dall’inizio del 2022 alla chiusura di mercoledì scorso, vigilia della festività del Thanksgiving.

Per lo S&P 500, si tratta del trend nell’arco temporale considerato (inizio anno – Thanksgiving-) peggiore dal 2008, stando a quanto riportato da un articolo della Cnbc, che ha citato i dati di Carson Group.

Nel 2008, ha ricordato Ryan Detrick, responsabile strategist di Carson, il tonfo era stato decisamente più significativo, pari a -39,5%. L’unico altro anno a partire dal 2000 in cui la performance da inizio anno al Thanksgiving è stata peggiore è il 2002, quando lo S&P 500 crollò del 18,2%. Ora il grande interrogativo è se un rally di Natale permetterà al Nasdaq & Co di limare almeno le perdite. Ma in giro c’è molto scetticismo.