Notizie Indici e quotazioni Mercati in rally post dati inflazione Usa: durerà? L’alert: 1/3 di questo indice è ipercomprato

Mercati in rally post dati inflazione Usa: durerà? L’alert: 1/3 di questo indice è ipercomprato

16 Novembre 2022 12:00

Il rally dei mercati, andato di scena nelle ultime sessioni, ha le basi e le ragioni per confermarsi sostenibile? A questa domanda risponde Legal & General Investment Management (LGIM), con una analisi che è stata stilata da Christopher Jeffery, responsabile della divisione inflazione e tassi di LGIM e Lars Kreckel, strategist dell’azionario globale di LGIM.

Vale la pena ricordare che Wall Street è schizzata al rialzo, con un effetto positivo sull’azionario globale, soprattutto la scorsa settimana, in particolare nella seduta di giovedì:

i buy, decisamente sfrenati, hanno portato il Dow Jones a volare di 1.200 punti circa, in rally del 3,70%; lo S&P 500 è schizzato del 5,54% mentre il Nasdaq Composite è balzato del 7,35%. Tutto, in una sola sessione. Merito del dato sull’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI).

Il dato, relativo al mese di ottobre, ha messo in evidenza un’inflazione salita del 7,7% su base annua, in deciso rallentamento rispetto al precedente rialzo dell’8,2% di settembre e a un ritmo di crescita inferiore anche rispetto al +8% atteso dal consensus.

Diminuita anche la crescita dell’inflazione core che, su base annua, è passata dal rialzo al ritmo massimo degli ultimi 40 anni pari a +6,6% di settembre, al +6,3% di ottobre.

Su base mensile, l’indice CPI è salito a ottobre dello 0,4%, meno del +0,6% atteso e come nel mese di settembre. L’indice core è avanzato, sempre su base mensile, dello 0,3%, meno del +0,5% stimato e a un ritmo dimezzato rispetto al +0,6% precedente.

Buoni motivi per sperare che la Fed di Jerome Powell, a partire dal prossimo meeting del Fomc (il braccio di politica monetaria della banca centrale americana) previsto per la metà di dicembre, alzi i tassi sui fed funds in modo meno aggressivo, ce ne sono. Ragion per cui a Wall Street sono fioccati i buy.

La borsa Usa ha puntato verso l’alto anche nella seduta di ieri, complice la pubblicazione dell’altro dato che ha confermato, di nuovo, lo smorzarsi delle pressioni inflazionistiche, ovvero l’indice dei prezzi alla produzione, sempre di ottobre.

Il sentiment si è indebolito nel finale della sessione di Wall Street, a causa della notizia dei missili che hanno colpito la Polonia, nel bel mezzo della guerra in Ucraina scatenata dall’invasione della Russia, il 24 febbraio scorso.

“Mercati: circa 1/3 titoli Stoxx 600  in ipercomprato”

Detto questo, il sentiment dei mercati sembra reggere. Tuttavia se il titolo della nota di LGIM non lascia spazio a dubbi (“Ecco perché è improbabile che l’attuale rally dei mercati duri nel tempo”), anche gli analisti di Mps Capital Services insinuano il sospetto che questo balzo recente dei mercati non abbia grandi presupposti per continuare ad andare avanti:

Circa un terzo dei titoli dello Stoxx 600 è ora in ipercomprato, la percentuale più elevata da 5 anni.
Ancor più tonici i listini statunitensi ancora una volta trainati dai semiconduttori (Sox) e tecnologici (Nasdaq). Da notare come il rialzo dei listini sia stato accompagnato ancora una volta da un rialzo della volatilità (un evento anomalo, anche se ultimamente si ripete spesso). D’altro canto questo (bear market) rally ha molto a che fare con l’attività dei fondi a strategia quantitativa. Secondo JPM, questi fondi (e.g. CTA) sarebbero stati costretti a ricomprare circa 225 Mld$ tra azioni (150 Mld$) ed obbligazioni (75Mld$) dopo il dato sull’inflazione USA”.

Veniamo ora all’analisi firmata da LGIM sull’origine del rally che i mercati hanno vissuto negli ultimi giorni e sulle ragioni per le quali è improbabile che duri nel tempo.

La settimana passata è stata archiviata come un arco temporale estremamente positivo, sia per gli asset conservativi che per quelli più rischiosi: rispetto al venerdì precedente, le azioni statunitensi hanno guadagnato oltre il 5%, mentre il rendimento dei Treasury si è ridotto di circa 35 punti base (Bloomberg, 11 novembre 2022), il tutto a poche ore di distanza sulla divulgazione dei dati sull’inflazione USA, i quali hanno rivelato che la crescita annua dei prezzi al consumo è stata del 7,7%, e quindi leggermente inferiore all’8% previsto dai maggiori economisti. Ma uno scarto così minimo, seppur positivo, è sufficiente a giustificare l’euforia che si è diffusa sui mercati? A quanto pare, in questo caso la risposta è sì, dato che due sentimenti molto potenti hanno preso il sopravvento in un ‘luogo’ spesso descritto come il risultato di un contrasto tra paura e avidità: il sollievo e la speranza”.

LGIM: “Gli investitori si permettono di sognare”

Christopher Jeffery, responsabile della divisione inflazione e tassi di LGIM e Lars Kreckel, strategist dell’azionario globale di LGIM, hanno così commentato il trend dei mercati, rimarcando che “gli investitori si permettono di sognare”.

Ovvero?

Il sollievo di cui sopra deriva dal fatto che l’indice dei prezzi al consumo core negli USA ha superato le stime 8 volte nelle ultime 12 previsioni e questo ha spinto i mercati a posticipare sempre di più la data in cui l’inflazione si sarebbe instradata verso gli obiettivi della Federal Reserve; il tutto mentre si accumulavano le opinioni secondo le quali sarebbe stata solo un fenomeno transitorio. In altre parole, i mercati si sono abituati a vedere le stime disattese, quindi, anche una piccola flessione ha portato grande euforia. Inoltre, bisogna considerare che gli ultimi 12 mesi sono stati particolarmente parchi di soddisfazioni per gli investitori, con la liquidità che l’ha fatta da padrona in un contesto di rendimenti obbligazionari in crescita e mercati azionari in difficoltà e ora che la variazione dell’IPC sembra essersi ridotta, questi ultimi possono permettersi di sperare che il peggio sia passato e che ci troviamo alla fine del ciclo di rialzi dei tassi d’interesse”.

Un attenti è tuttavia necessario, secondo gli esperti di LGIM:

“Anche se adesso riteniamo che quel momento sia sempre più vicino, non significa che dobbiamo spostarci fortemente verso gli asset più rischiosi in vista di una forte crescita entro la fine dell’anno, o si rischia che questa speranza ci uccida.

Alla domanda se il rally potrà durare, la risposta di Jeffery e Kreckel è la seguente.

Noi di LGIM riteniamo che, nonostante il recente rally, l’entrata in recessione sia ancora molto probabile e l’avvicinarsi di questa rafforzerà l’idea che i rendimenti azionari abbiano raggiunto il loro picco e, inoltre, farà sorgere dei dubbi sulle prospettive delle stesse società; infatti, nonostante i tassi di sconto ridotti, assicurarsi una stabilità azionaria è ancora molto difficile. Per questo motivo, a nostro avviso è probabile che la reazione positiva dei mercati sarà più duratura nel comparto dei rendimenti obbligazionari, rispetto al comparto equity”.

Inoltre, con il periodo della pubblicazione dei bilanci che si sta avviando a una sua conclusione, si può osservare come le previsioni per il futuro stiano diventando più pessimiste, con le stime sugli utili per i prossimi 12 mesi che si sono già ridotte dello 0,8% dopo la pubblicazione dei risultati per il secondo trimestre. Se si aggiunge che, dopo il terzo trimestre le stime si sono ridotte di un ulteriore 2,5% e che stanno continuando a contrarsi, riteniamo che la crescita degli utili per il 2023 si attesterà al 4%. Infine, guardano al quarto trimestre, le previsioni si sono già ridotte del 5% rispetto all’inizio di ottobre – oltre i normali correttivi che solitamente vediamo in questo periodo dell’anno. Se questo fosse vero, il quarto trimestre farebbe ancora registrare un segno positivo, ma confermerebbe le nostre previsioni di inizio anno, ovvero che il trend di crescita degli utili si fermerebbe sul finire del 2022″.

Questo andamento – conclude l’analisi di LGIM – ci viene confermato anche da Goldman Sachs, che ha ridotto le sue previsioni per il 2023 da +3% a 0%. Inoltre, è importante considerare che moltissime imprese di qualsiasi settore non sono riuscite a raggiungere gli obiettivi che si erano prefissate per il terzo trimestre, con le big tech che sono state le maggiori protagoniste del biasimo. Non a caso, a seguito delle pubblicazioni dei risultati nel terzo trimestre, abbiamo dovuto rivedere al ribasso le stime per il comparto tecnologico, finanziario e industriale per un range compreso tra il 12% e il 15%. Solamente le stime per i comparti non ciclici sono rimaste pressoché inalterate, mentre quelle del settore energetico sono cresciute notevolmente. In totale, il 71% delle previsioni sulle performance societarie è stato ridimensionato, evidenziando come la debolezza degli utili sia un problema troppo esteso per essere idiosincratico e che, quindi, è molto più probabile che dipenda da fattori macroeconomici”