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Inflazione frena: con crac Svb Fed ha mani legate?

14 Marzo 2023 15:58

Inflazione Usa più lenti + caso Svb: cosa farà la Fed sui tassi?

Con l’inflazione degli Stati Uniti che sta smorzando progressivamente la sua crescita, e la paura di una crisi bancaria post crac Silicon Valley Bank (SVB), la Fed di Jerome Powell si deciderà a fare un passo indietro sui tassi?

In parte confortanti i numeri che sono arrivati dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti.

Pubblicato oggi il dato sull’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI di febbraio, particolarmente atteso dai mercati per capire le prossime mosse della Fed guidata da Jerome Powell.

L’indice CPI headline è salito del 6% su base annua, rallentando il passo rispetto al ritmo di crescita pari a +6,4% di gennaio e confermando il deciso indebolimento della fiammata dei prezzi rispetto al +9,1% di giugno.

Il dato è stato in linea con le attese. Su base mensile, il trend è stato di un rialzo dello 0,4%, in linea con le stime, anche in questo caso inferiore all’aumento precedente, che era stato dello 0,5%.

L’inflazione core misurata dal dato – dunque l’inflazione headline depurata dalle componenti più volatili, rappresentate dai prezzi energetici e alimentari – è salita invece dello 0,5% su base mensile dopo il +0,4% di gennaio, mostrando tutta la sua ostinazione a rimanere più che solida.

Su base annua, il CPI core ha segnato un rialzo del 5,5%, al di sotto del 5,6% di gennaio.

Inflazione Usa: crescita più bassa da settembre 2021

Guardando al quadro generale, la buona notizia è che l’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI, con il suo rialzo pari a +6%, ha riportato la crescita più bassa, su base annua, dal settembre del 2021.

Il minimo record in più di un anno conferma come finalmente (per i mercati ma anche per le tasche degli americani, assillati dalle rate dei mutui e dai costi di finanziamento più alti) il boom dei prezzi si stia affievolendo, a seguito dei continui rialzi dei tassi varati dalla Fed di Powell.

Insieme all’alert scattato con il crac di Silicon Valley Bank, il dato macro di oggi rafforza di conseguenza la view di un dietrofront sui tassi da parte della Federal Reserve.

Powell, e di questo i trader sembrano essere sempre più convinti, non vorrà affossare l’economia, varando strette monetarie aggressive proprio in un momento in cui, di colpo, torna lo spettro di Lehman Brothers sui mercati di tutto il mondo.

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Silicon Valley Bank (SVB): davvero come Lehman? 

Accantonando per il momento il paragone tra il crac di Svb e quello del 2008 di Lehman Brothers – che secondo diversi analisti non ha alcun senso -, quello che è certo è che il collasso di Silicon Valley Bank ha aperto infatti una voragine nel sentiment di mercato, riportando alla mente la crisi finanziaria che colpì il mondo nel 2008, falcidiando, oltre ai mercati, la stessa economia.

Paura Svb ‘infetterà’ anche tassi?

Se c’è qualcosa che infetta i mercati, è proprio la paura, unita al dubbio che un evento terribile sia alle porte.

Non per niente, non solo il caso Svb ha affossato le speculazioni dei mercati sui futuri rialzi dei tassi, portando gli analisti delle più grandi banche d’affari a rivedere i loro outlook, ma ha fatto sorgere anche dubbi sull’esito della riunione della Bce di Christine Lagarde, che si conoscerà dopodomani, giovedì 16 marzo.

SVB
SVB

Questo non significa che le aspettative su ennesimi rialzi dei tassi siano state del tutto affossate. Stando ai dati del CME Group diramati dopo la pubblicazione dell’indice CPI, i trader stanno scommettendo infatti su una stretta monetaria di 25 punti base, in occasione del prossimo meeting della Fed della prossima settimana, con una probabilità pari all’86,4%.

Si tratta di una probabilità molto alta, decisamente scattata tra l’altro rispetto a quella pari al 64% di ieri, quando diversi economisti, tra cui quelli di Goldman Sachs, avevano dichiarato di prevedere perfino un nulla di fatto sui tassi da parte della Fed, nella riunione dei prossimi 21-22 marzo. E quando Nomura Securities era andata ancora più in là, prevedendo addirittura un taglio imminente del costo del denaro Usa.

In generale, un rialzo dei tassi eccessivo, nel bel mezzo del panico sulle banche regionali che ha colpito Wall Street anche nella sessione di ieri, è stato considerato spropositato fino a qualche ora fa, con lo spettro di una crisi bancaria che si aggirava nei corridoi del mondo dell’alta finanza.

Il dato relativo all’inflazione Usa appena reso noto è quasi un’ottima scusa, per la Fed di Powell, per rallentare il passo, in un momento di vulnerabilità dei titoli delle banche.

“Crediamo che ulteriori rialzi dei tassi, in questo momento, non siano necessari – ha commentato Ian Shepherdson, chief economist di Pantheon Macroeconomics – gli effetti delle strette monetarie dell’ultimo anno, che devono ancora dispiegarsi sull’economia, sono sufficienti a riportare la crescita dell’inflazione al suo target”.

Tuttavia, è lo stesso economista a ritenere che la Fed non si fermerà, visto che “i funzionari della Fed, fino alla scorsa settimana, si sono mostrati favorevoli a ulteriori rialzi”.

Va detto inoltre che, con il grande annuncio di domenica, arrivato congiuntamente con il Tesoro di Janet Yellen e l’FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation), Washington ha fatto la sua parte nell’aiutare il mondo delle banche.

Inflazione Usa: il commento di Global X

La Fed di Jerome Powell ha alzato i tassi di interesse Usa di ben 450 punti base dal marzo del 2022, fino alla soglia compresa tra il 4,5% e il 4,75%.

Jon Maier, CIO di Global X, ha così commentato il dato relativo all’inflazione Usa, sulla scia di quanto successo alle banche americane negli ultimi giorni, facendo notare come la crescita dei prezzi sia ancora troppo alta e ben lontana dal target del 2% della banca centrale Usa:

“Dopo le burrascose giornate appena passate, con le preoccupazioni per i rischi sistemici nel sistema bancario, i dati di oggi mostrano che l’inflazione è ancora alta e persistente”.

Allo stesso tempo, il cio di Global X ha fatto notare che “i dati sono stati in gran parte conformi alle attese, con il CPI allo 0,4% e il CPI Core allo 0,5% mese su mese, mentre su base annuale le letture sono state del 6,0% per il CPI e del 5,5% per il CPI Core”.

Dai numeri è emerso che “l’inflazione di fondo è stata un po’ più rigida, con i beni alimentari e i servizi che sono rimasti elevati”. Il che significa, secondo Jon Maier, che “tutti i segnali indicano che la prossima settimana la Fed aumenterà il tasso dei federal funds di 25 punti base”.

Detto questo, “il mercato tira un sospiro di sollievo oggi sul fronte bancario, con le banche regionali che hanno registrato forti guadagni. Il rapporto odierno è stato conforme alle aspettative, consentendo al mercato di guardare ad altri fattori”.

eToro: fino a che punto la Fed terrà conto del crac Svb?

Callie Cox, US Investment Analyst di eToro, fa notare che “l’inflazione si sta muovendo nella giusta direzione” e che “anche l’inflazione dei servizi, pur rimanendo molto calda, sembra stia rientrando, se si esclude il parametro degli affitti, e questo è un dato a cui la Fed presta particolare attenzione”.

L’analista afferma tuttavia anche che “alla luce degli eventi più recenti, la lettura odierna, vista come prioritaria una manciata di giorni fa, potrebbe risultare un po’ stantia”.

“Le vicissitudini delle banche americane, infatti, hanno fatto crollare le aspettative di inflazione, con gli investitori che sembrano ritenere che la paura dell’instabilità finanziaria possa rendere più cauti i consumatori e le imprese. E in teoria, un’aria di cautela potrebbe fare gioco alla Fed, se non addirittura ‘rubarle’ il lavoro”.

Dunque?

Cox continua, aggiungendo che “è lecito affermare che la Fed terrà conto di questo aspetto nel corso della riunione della prossima settimana. Ma non sono sicura che Powell cambierà idea così facilmente come alcuni pensano. L’inflazione è ancora la priorità numero uno della Fed e il problema non svanirà, soprattutto se non si pensa che i rischi del settore bancario si diffonderanno”.

Il punto è che “ci sono molte domande su cosa succederà dopo, e giustamente”.

I problemi bancari sono vecchie ferite per molti investitori e titoli spaventosi come questi possono riaprirle – ha ricordato l’analista di eToro – Il sistema bancario tocca molti aspetti della nostra vita, dal nostro denaro a quello delle aziende che ci impiegano e alla stabilità economica delle nostre imprese. Per questo motivo, quando il sistema mostra delle crepe, la sensazione è così inquietante. I mercati si stanno preparando a ulteriori ricadute solo perché nessuno sa in definitiva dove potrebbe andare a finire”.

L’analista di eToro sintetizza la sua view sui tassi e sull’economia Usa, snocciolando anche la qualche consiglio agli investitori:

“Non pensiamo che i recenti fallimenti bancari siano una condanna per l’economia, anche se gli effetti a catena pesano sulla crescita. Per il momento, la preoccupazione maggiore è rappresentata dalle conseguenze indesiderate che si stanno verificando nei settori sensibili ai tassi. Se siete un investitore fortemente coinvolto nel settore tecnologico, finanziario o immobiliare, la vostra attenzione alla qualità è più importante che mai. Conoscete il modo in cui le vostre aziende fanno soldi e quali sono i loro rischi di bilancio. E se siete preoccupati, non abbiate paura di fare hedging”.

Guardando ai mercati, si mette in evidenza l’ottima performance di Wall Street, con il Dow Jones che balza di oltre 400 punti, dopo la pubblicazione del dato relativo all’inflazione Usa.

E’ una buona giornata – e lo era anche prima della pubblicazione dell’indice CPI – per le banche regionali, le stesse tramortite dalle vendite nelle ultime sessioni.

A dispetto della nota dell’agenzia di rating Moody’s , il titolo First Republic vola di quasi +60%, così come fa Pacwest. Acquisti anche sugli altri titoli colpiti dall’agenzia di rating, ovvero Western Alliance Bancorp (+50%), Intrust Financial Corp., UMB Financial, Zions Bancorp e Comerica.