Lotta all’inflazione, le scelte delle banche centrali
Il tema dell’inflazione risulta essere quanto mai attuale in questi mesi. Lo scorso 2 marzo, l’Eurostat ha diffuso il dato preliminare sull’andamento dei prezzi al consumo in area euro: è stato registrato un incremento annuale dell’8,5% rispetto al +8,6% del mese di gennaio. Il dato è stato superiore al consensus degli analisti (+8,3%).
Il problema inflazione, viene confermato quest’oggi, anche dai dati della Germania, dove il tasso viene misurato come variazione annuale dell’indice dei prezzi al consumo (Cpi), è confermato a +8,7% a febbraio. A renderlo noto è stato l’ufficio federale di statistica (Destatis), il quale ha messo in evidenza che i prezzi al consumo a febbraio 2023 sono aumentati dello 0,8% rispetto a gennaio.
I governatori dell’Eurosistema, quando si parla di inflazione invitano alla cautela. Da canto suo Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea conferma che farà di tutto per contrastare l’inflazione. Secondo Massimiliano Schena, Direttore Investimenti di Symphonia SGR, per comprendere chi ha ragione, rispetto a queste diverse prese di posizione è necessario “prendere atto che l’attività economica si è dimostrata più resistente del previsto ai multipli shock dell’ultimo anno come la stretta monetaria e la crisi energetica. Inoltre, con gli effetti positivi della riapertura post-pandemica cinese che cominciano a manifestarsi, l’inflazione si sta rivelando più persistente del previsto”.
Inflazione, numeri superiori alle attese
A febbraio, il dato preliminare sull’inflazione è risultato essere superiore alle attese. L’inflazione a livello core non ha ancora superato il picco. A rassicurare la BCE, sicuramente, ci sono gli spread sui titoli di Stato dei Paesi periferici, che non stanno soffrendo particolarmente per le recenti turbolenze di mercato. La Lagarde, nel frattempo ha confermato, nel corso dell’ultimo meeting della BCE, che i tassi verranno rialzati di 50 bo a marzo.
Massimiliano Schena ritiene che con queste premesse il rischio di una spirale tra prezzi e salari è sempre presente, soprattutto se l’economia europea continua a resistere alle profezie di recessione. Del resto, il processo inflazionistico europeo è più arretrato rispetto agli USA e le imminenti rinegoziazioni salariali potrebbero riflettere il forte rialzo dei prezzi dello scorso anno.
Secondo Schena, inoltre, sarebbe necessario chiedersi “se la corsa dei rialzi sia stata effettivamente troppo veloce. In questo senso, teoricamente, la BCE si trova in una fase più arretrata della stretta monetaria rispetto agli USA, ma bisogna considerare alcuni elementi. In primo luogo, la BCE sembra riluttante a essere troppo restrittiva rispetto alla Fed, che potrebbe limitare nei prossimi mesi il ritmo dei rialzi. In secondo luogo, la BCE dovrà tenere conto dei potenziali problemi per la stabilità finanziaria, in particolare nel mercato immobiliare e nel debito pubblico dei Paesi periferici, anche perché il TPI (lo scudo anti-spread) non è ancora stato testato”.
A tenere banco, nelle varie discussioni tra i governatori delle banche centri e Christine Lagarde, c’è il tema dell’incertezza: secondo alcuni governatori sarebbe elevata, mentre la Lagarde è di parere completamente opposto. Su questo punto, secondo Schena, è necessario domandarsi in che modo ‘incertezza possa modificare l’andamento della politica monetaria. Il rapporto tra i fattori di rischio rimane orientato al ribasso per l’economia dell’Eurozona.
A parte il venir meno di alcuni shock (in particolare la crisi energetica), la resistenza dell’economia potrebbe essere supportata da effetti post-pandemici temporanei (come lo smaltimento dei portafogli di ordinativi delle imprese) – spiega Schena -. Inoltre, il massimo impatto negativo della stretta monetaria in atto da luglio deve con ogni probabilità ancora manifestarsi.