Carige, la carica del piccolo azionista: presenta a tribunale Ue due ricorsi contro la Bce
Si chiama Francesca Corneli, è una piccola azionista di Carige e ha presentato al Tribunale dell’Unione Europea due ricorsi contro la Bce. Obiettivo, con il primo ricorso: “avere copia del provvedimento con il quale è stata disposta l’amministrazione straordinaria di Banca Carige” per chiederne poi, con il secondo ricorso, l’annullamento. E’ quanto si legge nella nota diramata dall’azionista, che è consulente legale e già vicepresidente di Asati (l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia).
“Dal 2 gennaio, Banca Carige è in amministrazione straordinaria: un provvedimento fortemente pregiudizievole di diversi diritti societari e patrimoniali dei suoi azionisti. Il 5 gennaio, tre giorni dopo il commissariamento, chiedevo anzitutto alla BCE, ma anche alle altre istituzioni coinvolte (Banca Carige, Banca d’Italia, Conservatore del Registro delle imprese), di avere copia del provvedimento. Solo in data 2 maggio è stato depositato dai Commissari, in Camera di Commercio, il provvedimento: undici pagine, delle quali dieci di omissis. Ugualmente per il provvedimento di proroga per una durata doppia rispetto a quella iniziale”.
La nota dell’azionista continua, rendendo noto come la Bce abbia negato l’accesso al documento:
” Solo in data 29 maggio, la Bce mi negava, definitivamente, l’accesso al documento, richiamandosi a un generale principio di riservatezza su tutte le attività di vigilanza, affermando: ‘La BCE ha l’obbligo di rendere conto del proprio operato principalmente al Parlamento europeo […] e di riferire regolarmente anche al Consiglio dell’Unione”.
Nella nota con cui comunica la sua decisione di far ricorso, Francesca Corneli ricorda che l’azionariato di Carige è caratterizzato da una componente retail pari al 30% del capitale e aggiunge di aver informato della sua iniziativa anche altri piccoli azionisti e ai soci rilevanti, a cominciare da Malacalza Investimenti, – azionista di maggioranza di Banca Carige con una quota del 27,8% del capitale – sperando nel loro sostegno o anche nella costituzione in giudizio.
Di Banca Carige si parla ormai da un po’ di tempo a questa parte con cadenza quotidiana, visto che tra sei giorni, il prossimo 25 luglio, scade il termine fissato dalla Bce per salvarla. In assenza di un piano preciso volto a metterla in sicurezza, la banca sarà destinata alla liquidazione. Sebbene nell’arco di questi ultimi giorni, qualche dettaglio sul piano sia emerso, ci sono anche diverse incognite su chi metterà i soldi di cui l’istituto ha bisogno, calcolati in 900 milioni di euro.
I dubbi riguardano soprattutto il finanziamento sotto forma di equity, pari a 700 milioni, che avverrà con un aumento di capitale. I 200 milioni di fabbisogno restante sarebbero reperiti, invece, attraverso l’emissione di un bond Tier 2 (con cedola compresa tra l’8 e il 9%) da suddividere tra Credito Sportivo e Mcc, cui andrebbero rispettivamente 75 e 25 milioni, mentre i restanti 100 milioni circa dovrebbe finire sul mercato.
L’unico sostegno certo è, al momento, quello dello Schema volontario dell’Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi), attraverso la conversione dei bond Carige sottoscritti per un valore di 320 milioni di euro circa.
L’assemblea per la conversione dei bond è stata fissata al prossimo 23 luglio, due giorni prima della scadenza per la presentazione di un piano di salvataggio per la banca.
Il resto dell’aumento di capitale previsto per 700 milioni dovrebbe essere finanziato da Cassa Centrale Banca e da altri soggetti privati, tra cui potrebbe comparire anche il Fondo obbligatorio dell’Fitd.
Ieri, il consiglio di amministrazione del polo trentino delle banche cooperative si è concluso senza delibere, ma alcune fonti segnalano che l’istituto potrebbe arrivare a detenere fino al 10% del capitale dopo il processo di ricapitalizzazione.
Rimane da chiarire, tra le altre cose, la posizione della famiglia Malacalza. Anche per questo, lo Schema volontario dell’Fitd sarebbe favorevole a una conversione dei bond condizionata. Lo ha reso noto oggi il Sole 24 Ore.
“A quanto risulta al Sole 24Ore, in assenza di ulteriori novità, le banche aderenti allo Schema (Volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi) potrebbero dare mandato al Consiglio di provvedere alla conversione in capitale di Carige del bond subordinato da 315 milioni. Ma condizionandone la conversione alla presentazione successiva di un piano (e della partecipazione di altri soggetti), che al momento non è ancora stata formalizzata. Come dire: sì alla conversione, ma che si faccia quando tutti gli aderenti al progetto Carige saranno noti e si sarà definitivamente chiarito l’apporto di tutti i soggetti coinvolti nel maxi- rafforzamento da 900 milioni”.
Tra l’altro, perché il piano possa delinearsi in modo efficace, è fondamentale che la famiglia Malacalza dia l’autorizzazione all’operazione di ricapitalizzazione, in assemblea. Senza questo placet – ha scritto il quotidiano di Confindustria – la banca sarebbe costretta a fronteggiare “scenari critici, liquidazione in primis“.
Il Sole 24 Ore oggi ha riportato anche i rumor sulla possibile partecipazione al piano “di un family office genovese, il cui nome rimane per ora top secret”.