Bce: dalle minute dubbi su inflazione e tagli tassi. Sullo sfondo alert Trump
Dai verbali relativi all’ultimo incontro della Bce, diffusi oggi, emerge un dibattito piuttosto controverso sull’inflazione e sulle motivazioni che hanno portato al terzo taglio dei tassi di interesse. Lo scenario per dicembre è incerto, ma ancora di più lo è quello per il 2025, su cui inciderà senz’altro il fattore Trump.
I punti chiave dei verbali della Bce
Nelle minute pubblicate oggi, i funzionari hanno precisato che la decisione di tagliare i tassi a ottobre, nonostante le poche informazioni aggiuntive rispetto alla riunione di settembre, è stata dettata da “una prudente gestione del rischio”, in virtù di dati macro deboli con possibile impatto (ribassista) sulle prospettive di inflazione.
Laddove il rallentamento dell’economia emerso dagli indicatori Pmi di ottobre si fosse rivelato temporaneo, la decisione di abbassare i tassi sarebbe stata semplicemente “un anticipo” della mossa già in programma per dicembre. Al contrario, una conferma del rallentamento avrebbe giustificato ex post il taglio come un “tempestivo adeguamento della politica alle mutevoli condizioni macroeconomiche”.
Il grande dubbio sull’inflazione
Per quanto riguarda l’inflazione, c’erano sia rischi al rialzo sia al ribasso, ma il Consiglio direttivo ha ritenuto i primi meno pronunciati dei secondi. “Di conseguenza, l’inflazione probabilmente avrebbe raggiunto l’obiettivo del 2% un po’ prima del previsto. Potrebbe quindi essere inferiore nel 2025 rispetto a quanto stimato in precedenza.”
Un tema, quest’ultimo, che divide falchi e colombe della Bce. Le seconde vedono un’inflazione potenzialmente inferiore al target del 2% già nel 2025, mentre i primi avrebbero preferito avere a disposizione più informazioni per valutare i vari scenari. Ciononostante, hanno riconosciuto l’opportunità di gestire precauzionalmente il rischio e, pertanto, hanno sostenuto il taglio.
Come evidenziato da ING, i verbali “indicano che, nonostante un certo scetticismo all’interno della Bce sulla persistenza della tendenza disinflazionistica, le preoccupazioni sulla crescita e l’uso di un taglio dei tassi come strategia di gestione del rischio hanno influenzato in ultima analisi la decisione di implementare il taglio dei tassi di ottobre.”
Bce divisa su ritmo tagli tassi
Uno dei motivi del taglio è stato dunque “la necessità di anticipare la curva”, spiega ING, dopo il colpevole ritardo iniziale nell’affrontare l’ascesa dell’inflazione.
Le colombe ritengono dunque che “riportare rapidamente i tassi alla neutralità potrebbe essere sufficiente per evitare un altro episodio di politica monetaria non convenzionale, con allentamento quantitativo e tassi di interesse negativi più avanti”.
Tuttavia, gli ultimi dati sul Pil diffusi oggi hanno confermato una modesta crescita nel terzo trimestre (+0,4%), riducendo le preoccupazioni per l’economia della regione, mentre l’inflazione ha segnalato una parziale risalita a ottobre. Elementi che potrebbero far tornare alcuni membri della Bce sui propri passi in vista di dicembre.
In virtù del nuovo scenario macroeconomico, dopo le elezioni statunitensi e lo scoppio della crisi politica in Germania, i rischi per la crescita dell’eurozona restano comunque orientati al ribasso e questo dovrebbe convincere i responsabili di politica monetaria a ridurre ulteriormente i costi di finanziamento a dicembre.
Anche le ultime indicazioni dei membri del Consiglio direttivo sembrano portare in questa direzione. Il governatore della banca centrale finlandese, Olli Rehn, ha dichiarato che la disinflazione è “sulla buona strada” e che le prospettive di crescita “sembrano indebolirsi”, rafforzando la motivazione per allentare di nuovo la politica il mese prossimo. Sulla stessa lunghezza d’onda il lettone Martins Kazaks, secondo cui abbassare gradualmente i costi di prestito sembra lo scenario “più appropriato”.
Una volta assodato con ragionevole certezza che un taglio ci sarà, resta comunque da definirne l’entità, e questa dipenderà perlopiù dai prossimi dati in uscita da qui al 12 dicembre. I verbali ribadiscono che “non dovrebbe esserci alcun impegno preventivo per un particolare percorso dei tassi, per essere liberi di rispondere quando necessario”.
Il fattore Trump pesa sul tasso terminale
Con riferimento all’esito delle elezioni statunitensi, la vittoria di Donald Trump sta portando alcuni analisti a chiedersi se la Bce dovrà abbassare maggiormente i tassi a causa della minaccia di nuovi dazi che colpirebbero anche l’eurozona. In particolare, il prossimo presidente ha promesso tariffe del 60% sulla Cina e fino al 20% per tutti gli altri.
Gli economisti della banca olandese ABN Amro hanno tagliato la stima sul tasso di deposito dell’istituto di Francoforte, previsto in discesa all’1% ad inizio 2026, contro l’1,5% precedentemente atteso (attualmente si attesta al 3,25%), proprio a causa delle misure protezionistiche dell’amministrazione Trump. Gli analisti vedono persino una probabilità crescente di un ritorno dei tassi al livello zero, abbandonato nel 2022.
Deutsche Bank ha abbassato la sua previsione del tasso terminale all’1,5% dal 2,25%, considerando l’1%-1,75% come la principale zona di atterraggio per il tasso di deposito.
Alert Bce su politiche Trump
La politica commerciale degli Usa preoccupa anche alcuni funzionari della Bce. Il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, ha lanciato un monito su un possibile deragliamento dell’economia tedesca.
“I significativi dazi all’importazione di cui si è parlato potrebbero avere conseguenze negative per l’economia mondiale”, ha affermato il finlandese Olli Rehn. “Una nuova guerra commerciale è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno“, ma “se dovesse iniziare, l’Europa non deve essere impreparata”.
Il capo della banca centrale austriaca, Robert Holzmann, ha avvertito che queste politiche, se implementate, manterranno i tassi di interesse e l’inflazione statunitensi più alti, esercitando una pressione al rialzo sui prezzi anche altrove. Inoltre, questo avvicinerebbe il cambio euro/dollaro alla parità, con impatti misurabili sui costi delle importazioni, in particolare per l’energia, rendendo più difficile per la Bce raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%.
“Il programma di Trump rischia di riportare l’inflazione negli Stati Uniti“, ha ammonito il francese Francois Villeroy de Galhau. “Il protezionismo significa quasi sempre un potere d’acquisto ridotto per i consumatori. Resta da vedere se la riduzione della crescita si farà sentire di più negli Stati Uniti, in Cina o in Europa”.