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Bank of Japan: Kazuo Ueda e il rebus tassi-debito

24 Febbraio 2023 11:20

Kazuo Ueda, l’economista nominato dal premier giapponese Fumio Kishida alla carica di governatore della Bank of Japan BoJ, al posto dell’attuale presidente uscente Haruhiko Kuroda, parla alla Camera bassa del Parlamento (Camera dei rappresentanti, Shūgiin), proprio nel giorno in cui vengono diramati in Giappone i numeri relativi all’inflazione. Un’inflazione che corre anche qui, testando il nuovo record in più di 40 anni, e in continua accelerazione, anche se entro i limiti previsti dal consensus.

Nella giornata di oggi si è appreso che l’inflazione del Giappone misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI è salita a gennaio su base annua del 4,3%, al di sotto dell’aumento del 4,5% atteso, ma in crescita rispetto al rialzo precedente del 4%.

Esclusa la componente dei prezzi dei beni alimentari freschi, il CPI core del Giappone è balzato del 4,2% su base annua, come da attese, in rialzo rispetto al +4% di dicembre, e al record dal settembre del 1981, dunque degli ultimi 42 anni.

L’indice CPI core core, che esclude i prezzi dei beni alimentari freschi e i prezzi dei beni energetici, è avanzato del 3,2%, in linea con le stime degli analisti ma, anche in questo caso, in accelerazione rispetto al +3% precedente.

Va ricordato che la Bank of Japan, la banca centrale del Giappone, continua a confermarsi mosca bianca tra le banche centrali più importanti al mondo, per la sua ostinazione a perseguire una politica monetaria estremamente accomodante, incentrata sui tassi negativi e sul controllo della curva dei rendimenti (YCC).

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In un momento in cui diversi sono gli operatori di mercato che scommettono su una svolta hawkish sui tassi, sulla scia del continuo infiammarsi della crescita dell’inflazione, Kazuo Ueda mette però le mani avanti.

Nella sua audizione alla Camera bassa del Parlamento del Giappone, Ueda ha detto infatti non solo che “l’attuale politica monetaria del Giappone è appropriata” ma, anche, che “di solito, la politica monetaria risponde in modo anticipato all’inflazione scatenata dalla domanda ma non in modo immediato all’inflazione scatenata dall’offerta”.

Una frase, questa,  che potrebbe essere rinfacciata in qualche modo alla Bce di Christine Lagarde da parte di chi la critica continuamente per aver deciso di alzare i tassi a fronte di un’inflazione, quella dell’Eurozona che, stando al contenuto delle polemiche, sarebbe stata provocata più dalla crisi dell’offerta, che dalla forza della domanda, dunque dei consumi, diversamente da quanto sarebbe accaduto invece negli Stati Uniti.

Giappone: un’inflazione scatenata da crisi offerta energia

Il Giappone è infatti un importatore netto di energia, acquistando da fonti estere il 90% circa della sua energia, fattore che, a causa della guerra esplosa in Ucraina esattamente un anno fa, il 24 febbraio del 2022, con l’invasione del paese da parte della Russia di Vladimir Putin, ha provocato un forte balzo dei costi, così come in Europa.

Occhio in particolare ai numeri del World Economic Forum, relativi all’autosufficienza energetica di diverse economie del mondo da cui è emerso come, nell’anno fiscale 2019, ben prima della guerra, l’autosufficienza energetica del Giappone fosse pari ad appena il 12,1%, e come il Giappone occupasse il 35esimo posto nella classifica dei 36 paesi dell’Ocse.

Ben consapevole di questo aspetto dell’economia giapponese, Kazuo Ueda ha cercato di frenare le scommesse dei falchi, ribadendo quanto detto negli ultimi mesi da quello che si accinge a diventare – ferma restando l’approvazione necessaria della Camera bassa ma anche della Camera alta del Giappone – il suo predecessore Haruhiko Kuroda: ovvero che l’obiettivo “è raggiungere la stabilità dei prezzi in modo sostenibile e stabile”.

Non solo: l’economista giapponese, ribattezzato dall’ex segretario al Tesoro Usa Larry Summers il Ben Bernanke del Giappone, ha sottolineato che “l’inflazione (del Giappone) è attesa scendere al di sotto del 2% attorno alla metà del prossimo anno fiscale” (che in Giappone inizia il 1° aprile).

Kazuo Ueda, parole dovish da candidato a numero uno BoJ

Più in generale, Ueda ha sottolineato la necessità di “guidare la politica monetaria in base all’economia, ai prezzi (dunque al trend dell’inflazione) e al loro outlook“, ricordando -altra dichiarazione dovish – che “è necessario un po’ di tempo affinché la politica monetaria produca i suoi effetti sull’economia”.

Riguardo alla curva dei rendimenti del Giappone (YCC) e al QE-Quantitative easing, il candidato del premier Kishida a prendere le redini della Bank of Japan ha sottolineato, intanto, che l’acquisto di bond (titoli di stato giapponesi) che la banca centrale continua a portare avanti non intende “monetizzare il debito” .

Sulla persistenza dei tassi negativi, questa “ha aiutato le banche e le istituzioni finanziare ad avviare la reflazione dell’economia” del Giappone, paese noto in questi ultimi anni per il fenomeno opposto a quello dell’inflazione, ovvero per la deflazione, la cui sconfitta l’attuale governatore della BoJ Haruhiko Kuroda ha tenuto fino all’ultimo ad accreditarsi.

Riguardo all’YCC, Kazuo Ueda ha aperto alla possibilità che il controllo della Bank of Japan si estenda ai rendimenti di più breve periodo, in caso di una ulteriore modifica dello strumento.

Nel caso in cui la BoJ dovesse apportare variazioni alla politica di controllo della curva dei rendimenti – ha detto il banchiere giapponese – ci sarebbero diverse opzioni sul tavolo”.

L’indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo si è concentrato sulle parole dovish di Kazuo Ueda, chiudendo in rialzo di oltre l’1%, a fronte di uno yen rimasto praticamente ingessato, sia nei confronti del dollaro Usa che dell’euro.

Nessuna sorpresa hawkish sui tassi da parte del candidato del premier Kishida a occupare lo scranno più alto della Bank of Japan.

Certo, è anche possibile che l’economista abbia cercato di scegliere un approccio low-profile per non inimicarsi i parlamentari della Camera bassa del Parlamento, che dovrà emettere il verdetto sulla sua nomina, decidendo se sarà lui il prossimo governatore della banca centrale del Giappone, come dovrà fare anche la Camera Alta.

Ma le sue parole hanno allontanato, per ora, i timori di una Bank of Japan falco, pronta all’abbandono della politica monetaria incentrata sui tassi negativi (-0,1%).

Tra l’altro, nello spiegare come la politica monetaria non tenda di solito a reagire in modo immediato a un’inflazione provocata dalla crisi dell’offerta, Ueda ha  avvertito che, in caso contrario, dunque “con l’adozione di una politica restrittiva, la BoJ rischierebbe di raffreddare la domanda, peggiorando così l’economia e zavorrando i prezzi”, in un contesto in cui, a suo avviso, già alla metà del prossimo anno fiscale il tasso di inflazione del Giappone potrebbe tornare sotto il 2%.

E, visto che l’anno fiscale in Giappone inizia il 1° aprile, questo significa che l’inflazione potrebbe bucare il target stabilito dalla Bank of Japan già nell’ottobre di quest’anno.

Insomma, così Kazuo Ueda:

“E’ probabile che in Giappone il trend dell’inflazione aumenti in modo graduale. Ci vorrà del tempo affinché l’inflazione raggiunga in modo sostenibile e stabile il target del 2% della BoJ”.

In un paese assillato dal trauma della deflazione – diametralmente opposto, viene da fare il paragone, alla Germania assillata invece dall’inflazione – l’aumento dei tassi sembra insomma ancora lontano.

Dal canto suo, il presidente uscente della Bank of Japan Haruhiko Kuroda porterà sempre con sé il rimpianto di non essere riuscito a creare in Giappone proprio quell’inflazione sostenibile  che rimane al momento, a quanto pare, ancora una sorta di Mission Impossible.

Lo ha detto lui stesso, di recente, nei giorni del World Economic Forum di Davos:

“L’unico rimpianto che ho è di non essere riuscito a riportare l’inflazione del Giappone al 2%”, ha detto Kuroda che, nel caso in cui Ueda dovesse confermare nei fatti la politica monetaria ultra dovish della banca centrale del paese, potrebbe anche perdere la reputazione di ultimo samurai dovish .

Per Haruhiko Kuroda, la consolazione comunque c’è.

Almeno, durante il mio mandato, abbiamo sradicato la deflazione – ha riconosciuto lui stesso sempre da Davos– La crescita economica si è anche rafforzata dal 2013″ e “la politica monetaria accomodante ha aiutato a cambiare la struttura economica del Giappone”.

Sarà.

Giappone e il caso debito pubblico monstre dibattuto in Italia

La politica monetaria del Giappone continua a essere attentamente monitorata dal mondo, confermandosi oggetto di dibattito, spesso, in Italia.

Il Giappone è un’economia infatti caratterizzata da un debito pubblico molto alto: la stessa croce dell’Italia. E spesso si è fatto riferimento a come, diversamente dall’Italia – per i critici costretta a sottostare alle decisioni della Bce in quanto membro dell’area euro – il paese abbia beneficiato di una politica monetaria dovish grazie alla sua banca centrale ultra colomba, la Bank of Japan.

Detto questo, il candidato del premier Kishida alla carica di numero uno della Bank of Japan, Kazuo Ueda, oggi ha detto anche una cosa, ovvero che la BoJ dovrà smettere di acquistare i titoli di stato made in Japan nel momento in cui il target sull’inflazione del Giappone, pari al 2%, verrà un giorno finalmente raggiunto in quel modo sostenibile e stabile da lui auspicato.

Fine del QE anche in Giappone? Per ora sicuramente no.

Ma Ueda ha chiarito oggi che l’acquisto su larga scala dei titoli di stato giapponesi non è volto a monetizzare il debito.

Peccato però che il Giappone venga invece citato spesso come esempio illustre di monetizzazione del debito pubblico.

Più della metà del debito Giappone nelle mani della Bank of Japan

It’s official: The BOJ now owns more than half of Japan’s bonds : è il titolo di un articolo pubblicato sull’Asahi Shimbun lo scorso 19 dicembre, dopo i dati diffusi quello stesso giorno dalla Banca centrale del Giappone. Ovvero: “E’ ufficiale: la BoJ detiene ora più della metà dei titoli di stato del Giappone”.

Dai dati, è emerso infatti che la Bank of Japan deteneva in data 30 settembre 2022, 536 trilioni di yen, l’equivalente di
$3.93 trilioni di dollari Usa dei titoli di stato, rispetto ai titoli di stato in essere per un valore di 1.066 trilioni di yen: una partecipazione  superiore al 50%, per la precisione pari al 50,26%, più di quattro volte rispetto a quella quota dell’11,48% detenuta nel 2013, quando Shinzo Abe divenne premier del Giappone.

L’Asahi rimarcava:

“Nell’ultimo decennio, gli analisti hanno lanciato l’allarme sul continuo aumento della quota di titoli di stato detenuta dalla Bank of Japan, qualcosa di estremamente insolito per la banca centrale di una importante economia, mettendo in evidenza come la politica monetaria della Bank of Japan abbia finito con l’intrecciarsi di fatto con la politica fiscale del governo” di Tokyo.

Detto questo, anche se il Giappone ha una propria banca centrale nazionale il problema del debito esiste eccome.

Non per niente un articolo di Reuters ha parlato di “Debt Time Bomb”, ovvero di bomba ad orologeria del debito, che potrebbe ostacolare la Bank of Japan nel suo tentativo di normalizzare la propria politica monetaria.

Dall’analisi di Reuters è emerso tra l’altro che nel 2022 il Giappone ha speso il 22% del suo budget annuale per rimborsare i proprio debiti e per pagare gli interessi, decisamente oltre il 15% speso per gli investimenti pubblici, l’istruzione e la difesa.

Questo rapporto, secondo le stesse proiezioni del governo di Kishida rese note a gennaio – che riflettono il recente aumento dei tassi di interesse di lungo termine -, potrebbe salire tra l’altro fino al 25%.

E secondo Reuters, un rialzo dei tassi dell’1% potrebbe far salire i costi di servizio del debito di 3,6 trilioni di yen nell’anno fiscale 2026, a fronte di un paese che, ogni anno, spende 5,4 trilioni di yen per la sua difesa.

Non proprio una cifra irrisoria, tutt’altro, in un paese in cui la quota del debito pubblico rispetto al Pil è volata al 263%: il doppio del ratio degli Stati Uniti e ai primi posti nella classifica dei paesi più indebitati al mondo. Con una popolazione, come quella italiana, che continua a far fronte alla questione dell’invecchiamento demografico.