Notizie Notizie Italia UniCredit su BTP, spread, Bce: ‘definire il debito italiano insostenibile è assurdo’

UniCredit su BTP, spread, Bce: ‘definire il debito italiano insostenibile è assurdo’

11 Luglio 2023 10:01

BTP e spread, UniCredit blinda il debito italiano. Assurdo dire che è insostenibile. Non solo governo Meloni pro-Europa, c’è anche l’assist dell’Ue e della Bce

UniCredit si erge a difesa del debito italiano, a fronte dei timori che spesso offuscano l’outlook per i BTP e, in generale, per i titoli di stato made in Italy.

A parlare è Erik Nielsen, capo economista di Piazza Gae Aulenti, secondo cui definire il debito pubblico italiano insostenibile è “assurdo”.

I motivi di una tale fiducia nei confronti del debito italiano vengono prontamente illustrati da Nielsen, e riportati in un articolo di Bloomberg, che presenta anche un grafico che riflette il trend dei tassi di interesse reali in Italia a 10 anni.

“Dopo aver trascorso le ultime settimane a discutere principalmente delle politiche monetarie europee – in particolare del fatto che la Bce (di Christine Lagarde) abbia probabilmente alzato i tassi più di quanto necessario – dedicherò la nota di oggi a una delle grandi sorprese positive che hanno caratterizzato i mercati finanziari in questi ultimi 12 mesi – ovvero agli spread sovrani dell’Italia, che hanno riportato un trend estremamente positivo”. Così Erik Nielsen, capo economista di UniCredit, in una nota di ricerca macroeconomica “Sunday Wrap”, con la data di domenica 9 luglio 2023.

La nota è stata pubblicata anche su Twitter dal profilo di Nielsen.

“Non sono molte le persone, sempre che ci siano state, che hanno stimato un restringimento degli spread italiani (spread BTP-Bund), soprattutto a fronte dell’intensità e della velocità con cui sono stati alzati i tassi, e alla luce della transizione dal QE (Quantitative easing) al QT (Quantitative Tightening)“.

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Il trend dello spread BTP-Bund in quest’ultimo anno

Con il commento, l’economista di UniCredit ha riassunto in primis il trend dello spread BTP-Bund dell’ultimo anno:

“Entro il mese di maggio dell’anno scorso, lo spread BTP-Bund a 10 anni era raddoppiato a 200 punti base circa, dai 100 punti base circa testati in quasi tutto il 2021 grazie al sostegno del PEPP (il QE pandemico lanciato da Christine Lagarde per dare un sostegno all’economia dell’area euro, piegata dalle conseguenze della pandemia Covid-19“.

“L’allargamento dello spread – ha ricordato Erik Nielsen – era stato causato soprattutto dal messaggio della Bce, la cui pazienza nei confronti dell’impatto inflazionistico dello shock dei prezzi delle materie prime era ormai agli sgoccioli”.

Nel comunicare i timori per l’impennata dell’inflazione, la Bce di Christine Lagarde, lo scorso anno, “indicava quelle che sarebbero state le strette monetarie tra le più veloci e intense degli ultimi decenni“.

Erano i tempi del governo Draghi che, qualche mese dopo, durante l’estate del 2022, sarebbe collassato.

Quando poi in Italia si tennero lo scorso autunno le elezioni politiche che avrebbero portato al potere la “coalizione formata dagli euroscettici guidati dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni (con il governo Meloni entrato in vigore a tutti gli effetti alla fine di ottobre del 2022)”, ha ricordato il Chief economics advisor di UniCredit , lo spread (BTP-Bund) si allargò ulteriormente fino a 250 punti base.

Tanto che, “nel corso dei meeting annuali dell’Fmi (Fondo Monetario Internazionale) dell’ottobre dell’anno scorso a Washington, il futuro dello spread italiano fu un argomento di conversazione frequente sia tra gli investitori che tra i funzionari”.

“Non si esagera se si afferma che si era arrivati solo a due pensieri: da un lato, c’era chi riteneva che lo spread BTP-Bund sarebbe rimasto all’interno di un range compreso tra 200 e 250 punti base (me incluso) e, dall’altro, chi sosteneva che sarebbe arrivato a livelli insostenibili”.

Quelle previsioni per certi versi apocalittiche sono state tutte testimoniate, di fatto, dai vari attenti ai BTP e al debito italiano lanciati in quei giorni febbrili precedenti le elezioni politiche del 2022 e, successivamente, nei giorni che avrebbero portato alla formazione del governo Meloni.

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UniCredit su alert Btp con Meloni: ‘Abbiamo sbagliato tutti’

Ma, “anche se in modi diversi – si legge nella nota del capo economista di UniCredit Group – abbiamo sbagliato tutti”.

“Le riunioni dell’Fmi erano a mala pena finite e già lo spread (BTP-Bund) iniziava a scendere in modo sostenuto da 250 punti base a 180 pb, per poi – dopo una breve impennata di fine anno (provocata tra l’altro, va detto, dalle critiche degli esponenti del governo Meloni alla Bce di Christine Lagarde, che faceva l’ennesimo grande annuncio dell’ennesimo rialzo dei tassi, condito tra l’altro con la minaccia QT) – calare ulteriormente fino a quei 160-170 punti base“, che il governo (Meloni) può vantare oggi.

Fatta questa lunga premessa, il capo economista di UniCredit Erik Nielsen è andato ancora più in là, rimarcando tutta la sua fiducia nel debito pubblico italiano e nel futuro, dunque, dello spread BTP-Bund e dei BTP.

In sintesi, da UniCredit è arrivato un assist alla carta italiana, più volte oggetto delle previsioni tra le più pessimistiche degli analisti.

UniCredit: il debito italiano è sostenibile

Innanzitutto, Nielsen lo ha scritto: il debito italiano è sostenibile.

Tra i motivi addotti, compare il fatto che, secondo l’economista, il rapporto debito-Pil, in quanto parametro per valutare la sostenibilità del debito pubblico di una nazione, sarebbe ingannevole.

“In passato ho discusso più volte di come il rapporto debito-Pil sia ingannevole per valutare la sostenibilità del debito di un paese. Nessuno sarebbe uscito dal college senza sapere che bisogna essere estremamente attenti nel non fare confusione tra lo stock e i flussi. In più, nessun rapporto singolo è sufficiente a scattare una fotografia talmente complessa come può essere quella della sostenibilità del debito”.

Dunque? Bocciato il parametro debito-Pil per valutare la sostenibilità del debito, cosa fare?

Erik Nielsen preferisce concentrarsi innanzitutto sulla voce spese per interessi.

Più precisamente, sul rapporto tra le spese per interessi e le entrate fiscali che, a suo avviso, rappresenta un punto da cui partire decisamente migliore, rispetto al rapporto debito-Pil, visto che “prende in considerazione le risorse a disposizione del governo, prima che si ricorra ai prestiti, che devono essere allocate per sostenere i costi di servizio del debito”.

Questo rapporto, ha precisato l’economista di UniCredit, attiene “sia alla capacità fiscale esistente che al potenziale costo politico associato al debito”.

Ed è vero che “anche il rapporto tra le spese per interessi e il Pil potrebbe funzionare come base di partenza, ma ritengo che sia meno indicativo, a causa della difficoltà in cui incorre la politica ad alzare le tasse durante una recessione”.

Di conseguenza, meglio prendere in considerazione il rapporto tra pagamenti degli interessi ed entrate fiscali che, in Italia, nel corso del 2022 è stato pari al  9%, in rialzo in via temporanea a causa dell’impatto dell’inflazione più alta sui bond indicizzati all’inflazione.

Quel valore del 9%, ha fatto notare Nielsen, è lievemente superiore rispetto a quello di altri paesi del Sud Europa e rispetto alla Francia, ma è anche inferiore a, per esempio, il ratio del Regno Unito, dove le spese per interessi incidono attualmente sulle entrate per l’11,7% (in parte in quanto gli UK sono caratterizzati da un livello inferiore del rapporto tra tasse e Pil).

Il ratio è più basso anche di quella quota che l’Italia ha destinato durante gli anni culminati nella grande crisi finanziaria ai costi di servizio del debito (all’incirca del 15%), lasciando stare gli anni precedenti all’introduzione dell’euro.

Va detto che Erik Nielsen ha ricordato nel suo commento l’outlook della sua collega, la capo economista di UniCredit per l’Italia Loredana Federico, secondo cui questo rapporto potrebbe balzare al 10-11% nei prossimi 4-5 anni in Italia, quando i tassi di interesse più elevati avranno manifestato il loro pieno impatto sullo stock del debito.

Chiusa questa parentesi, il vero peso dei costi di servizio del debito sull’economia dipende anche dai destinatari dei pagamenti delle spese per interessi, dunque a chi detiene quel debito, e dunque, nel caso italiano, da chi ha sottoscritto i titoli di stato italiano, più in generale i BTP.

Ed è qui che arriva l’altro motivo per cui UniCredit ha fiducia nel debito italiano.

UniCredit a favore di più debito pubblico in mano agli italiani?

Il capo economisha ha ricordato che quasi la metà del debito sovrano dell’Italia è in mano agli investitori italiani (attenzione, si parla di investitori italiani in generale, non di investitori retail su cui il governo Meloni ha puntato ed è destinata a puntare sempre di più con i nuovi BTP Valore , sebbene anch’essi ovviamente siano inclusi nella categoria)”.

L’Eurosistema ne detiene il 30% circa e gli investitori stranieri qualcosa come il 20%”,

Cosa significa questo?

Riguardo alla quota di pagamenti per il servizio del debito agli investitori domestici (ovvero agli investitori italiani), la spesa per interessi – ha scritto Erik Nielsen -non è altro che la circolazione domestica delle risorse”.

Si tratta dunque di qualcosa che ha conseguenze sulla distribuzione del reddito, ma che in qualche modo sostiene l’economia domestica. E così, come abbiamo visto in modo ripetuto negli ultimi decenni, gli italiani sono – in modo giusto – piuttosto contenti di detenere il debito sovrano”.

Tra l’altro, “con un patrimonio netto delle famiglie che corrisponde a sei volte il valore del Pil, esiste una considerevole fonte potenziale di finanziamento”. E qui, va detto, UniCredit sembra sposare l’idea del governo Meloni di attingere al risparmio degli italiani per convincerli a detenere più BTP nei loro portafogli.

Per quanto riguarda invece la fetta del debito italiano detenuto dall’Eurosistema, Nielsen ha ricordato che le spese per interessi, semplicemente, “vanno a incidere sui P/L della Bce da cui, dopo aver effettuato alcuni accantonamenti, derivano poi profitti potenziali (il cui ammontare dovrebbe ridursi nel corso dei prossimi anni) a favore delle casse del Tesoro”. Quindi, in teoria, anche questa non dovrebbe essere affatto una tragedia.

Infine, l’economista di UniCredit ha spiegato che il versamento di interessi ai creditori stranieri del debito italiano (che incidono per l’appunto sul debito totale per il 20%), è, semplicemente una tassa sull’economia.

Tutti questi fattori, ha così sottolineato Nielsen, se presi in considerazione e paragonati con quelli di altri paesi dell’Ocse, portano a concludere che il debito sovrano italiano – sebbene più alto di quanto sia desiderabile – non dovrebbe essere fonte di preoccupazione per i mercati finanziari”.

Debito sostenibile e spread sotto controllo grazie a Ue e Bce

Attenzione, però, a chi volesse spiegare i meriti dello spread e dei tassi dei BTP sotto controllo esclusivamente con l’atteggiamento europeo del governo Meloni, attribuendo magari colpe alla Bce di Christine Lagarde o ai paletti messi dall’Unione europea.

Il capo economista di UniCredit ha citato infatti l’importanza delle risorse che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con il Next Generation EU e dunque, di conseguenza, la necessità che l’esecutivo dia esecuzione al PNRR.

I partner europei dell’Italia hanno dato un sostegno importante ai costi italiani di servizio del debito“.

In primis c’è soprattutto l’enorme fetta di 191,5 miliardi di euro erogata a favore dell’Italia.

“Con soltanto 67 miliardi che sono stati finora erogati (e un valore utilizzato inferiore ai 30 miliardi di euro), il ruolo dell’NGEU nel restringimento dello spread BTP-Bund avvenuto negli ultimi 9-12 mesi si è manifestato in via principale con il segnale di solidarietà europea rappresentato dal NextGenerationEU stesso”.

“Allo stesso tempo – ha scritto Nielsen – guardando in avanti gli enormi finanziamenti europei a favore del governo italiano rimangono sul tavolo, fattore che dovrebbe mettere un tetto chiaro, andando in avanti, agli spread”.

C’è poi la Bce di Christine Lagarde, finita nel mirino per aver osato lanciare il QT-Quantitative Tightening, staccando così la spina al salva BTP o scudo anti-spread per eccellenza.

Erik Nielsen non vede il via al QT in modo tanto drammatico, almeno per quanto riguarda l’Italia:

La Bce continua a sostenere il debito italiano esercitando la flessibilità annunciata per il suo piano di reinvestimenti”.

Per la precisione, “il QT finora è stato più rilevante per i Bund tedeschi e gli OAT francesi, rispetto a quanto lo sia stato per i BTP italiani. Di fatto, come ha messo in evidenza il mio collega, Luca Cazzulani, combinando i piani PSPP e PEPP, gli acquisti netti di BTP effettuati dalla Bce risultano finora lievemente positivi”.

“E’ vero – ha fatto notare Erik Nielsen – che è improbabile che questa situazione continui per un arco di tempo più lungo, ma dubito che una graduale riduzione degli acquisti positivi netti possa cambiare il quadro in modo considevole”.