Notizie Notizie Mondo Trump rimescola ancora carte in tavola su dazi a pochi giorni da “Liberation Day”. Prove di rimbalzo a Wall Street

Trump rimescola ancora carte in tavola su dazi a pochi giorni da “Liberation Day”. Prove di rimbalzo a Wall Street

25 Marzo 2025 13:46

Si avvicina la data fatidica del 2 aprile, promossa dall’amministrazione Trump come “Liberation Day”, il giorno in cui dovrebbero entrare in vigore dazi su una vasta serie di prodotti di importazione, ma dalla Casa Bianca stanno arrivando segnali che configurerebbero se non proprio una retromarcia, quantomeno una notevole moderazione dei piani.

Nella serata di domenica Bloomberg e Wall Street Journal sono state le prime testate a riportare che l’amministrazione intende avere un approccio più moderato e non imporre dazi su interi settori industriali come automobili, prodotti farmaceutici e semiconduttori. Sembra invece che la settimana prossima sarà annunciato un pacchetto ridotto di dazi, molto più specifici e che alcuni paesi potrebbero essere esentati. La situazione rimane comunque fluida e non molto chiara. Questo è tuttavia stato sufficiente per provocare uno scatto rialzista di Wall Street, convincendo gli investitori che Trump, su questo tema, sembra ancora una volta proporre molto fumo e poco arrosto.

Dettagli ancora poco chiari su cosa succederà il 2 aprile. Trump: “la parola flessibilità è importante”

Dall’amministrazione Trump arrivano segnali spesso contradditori o semplicemente caotici, tuttavia lo schema di questi primi due mesi di attività del secondo mandato presidenziale è stato in linea di massima abbastanza coerente. Dichiarazioni e piani inizialmente molto estremi, poi un addolcimento delle posizioni con attorno molte dichiarazioni interpretabili a piacere.

“Io non cambio. Ma la parola flessibilità è importante”, ha detto ieri Trump, parlando con i giornalisti dall’Ufficio Ovale della Casa Bianca. “Ci sarà flessibilità, ma fondamentalmente  è reciproca”.

Potrei fare concessioni a molti paesi, ma è una cosa reciproca”, ha proseguito ieri il presidente americano. “E potremmo essere ancora più gentili. Come sapete, siamo stati molto gentili con molti paesi per molto tempo.” E ha aggiunto: “Annunceremo ulteriori dazi nei prossimi giorni, che riguardano automobili e anche magari legname e microchip”.

Funzionari della Casa Bianca hanno detto a Cnn e Nbc che una decisione definitiva sull’entità dei dazi promessi per il 2 aprile non è ancora stata presa.

Infine Trump ha introdotto ancora un po’ di incertezza tramite un post sul suo profilo Truth Social affermando che, a partire proprio da quella data, ogni paese importatore di petrolio o gas dal Venezuela sarà obbligato a pagare dazi del 25% su ogni scambio di qualsiasi prodotto con gli Stati Uniti.

Che paesi saranno colpiti la settimana prossima? Possibile approccio selettivo

Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha parlato con Fox News la settimana scorsa e ha detto che i dazi riguarderanno i cosiddetti “Dirty 15“, ossia il gruppo di nazioni, circa il 15%, con un persistente squilibrio commerciale nei confronti degli Stati Uniti. In ordine discendente si tratta di Cina, UE, Messico, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada e India.

L’approccio più mirato che l’amministrazione Trump sembra aver scelto potrebbe non durare per molto. Il presidente ha detto che alcuni dazi verranno dilazionati nel tempo, ma non per molto, e comunque tutto subordinato agli interessi americani.

“Ci servono acciaio, prodotti farmaceutici, ci serve alluminio, ci servono molte cose che in qualche modo non facciamo più, anche se siamo in grado di farle”, ha detto ieri Trump in conclusione dell’incontro con i giornalisti, promettendo che alcuni di quei dazi verranno annunciati “in un futuro molto vicino, non il futuro distante. Il futuro molto vicino.” I primi dazi, ha fatto capire, dovrebbero riguardare il settore automobilistico.

Il punto sui dazi finora: molti annunci, negoziazioni e dietrofront dell’ultimo minuto

Uno dei punti chiave della campagna elettorale di Trump è sempre stato quello di imporre dazi per limitare la dipendenza degli Stati Uniti da prodotti importati con l’obbiettivo di riportare la produzione industriale entro i confini statunitensi. Nei primi giorni di insediamento ha firmato diversi ordini esecutivi per dare mandato ai funzionari del suo governo per individuare diverse strategie commerciali.

La sua prima mossa, del tutto inattesa, è stato annunciare dazi del 25% contro Canada e Messico per il primo di Febbraio, motivati principalmente, a detta di Trump, dagli scarsi controlli alle frontiere dei due paesi che confinanti con gli USA. L’attuazione dei dazi non è mai arrivata, ma sono stati invece rinviati a data da destinarsi dopo che Canada e Messico hanno inviato delegazioni per negoziare e adottate qualche azione aggiuntiva sulle linee di confine.

Dazi contro la Cina sono arrivati il 4 Febbraio, ma nell‘entità del 10% e non del 60% che era stato precedentemente annunciato, a cui sono poi andati ad aggiungersi incrementi di bassa entità su dazi già esistenti di import di alluminio dal paese asiatico.

Poi è arrivata l’idea dei “dazi reciproci”, annunciata a metà Febbraio, un piano abbastanza vago con cui gli Stati Uniti avrebbero imposto dazi ad ogni paese pari alla stessa entità di quelli imposti da quei paesi sui prodotti statunitensi.

Il 3 marzo i dazi del 25% contro Canada e Messico sono entrati in vigore ma solo per tre giorni, dopodiché sono stati ulteriormente dilazionati nel tempi.

Nelle settimane centrali di marzo Trump si è particolarmente accanito con il vicino del nord. Ha diffuso una minaccia di dazi del 50% sull’alluminio e l’acciaio canadese, fatta rientrare lo stesso giorno. Successivamente ha parlato di dazi del 250% sui latticini canadesi, del 200% sul legname dello stesso paese, e del 200% sugli alcolici dell’Unione Europea. Per adesso non è stato dato seguito a quelle minacce.

Le controparti sono pronte a ritorsioni, ma dimostrano allo stesso tempo flessibilità e disponibilità a negoziare. EU, Messico e Canada hanno tutti annunciato piano di dazi contro gli Stati Uniti per poi dilazionarli.

Nonostante il rally, permane un sentiment fragile dovuto all’incertezze sulle politiche di Washington

Qualsiasi cosa succeda il 2 aprile e nelle settimane successive, la strategia dei dazi di Trump e il modo in cui essa viene comunicata proiettano un’ombra negativa sulle prospettive di crescita economica. Secondo un rapporto di S&P Global uscito lunedì le aspettative delle aziende per quest’anno sono in marzo al secondo punto più basso da ottobre 2022. Questo dovuto in parte anche alle preoccupazioni per “l’impatto di aspetti delle nuove politiche del governo”.

Un altro rapporto sempre di S&P Global rileva come il tema dei dazi sia adesso dominante nei rapporti trimestrali delle aziende.

Gli strategist di Mps Capital Services, nel loro rapporto giornaliero, rilevano come nonostante la settimana sia iniziata con un certo ottimismo sui mercati, in particolare quelli americani,  “al centro dell’attenzione rimane, tuttavia, il tema commerciale, man mano che ci avviciniamo alla data del 2 aprile”.

Nel rapporto si legge come, nonostante i segnali di ammorbidimento fatti trapelare dalla Casa Bianca, “vi è ancora molta incertezza, soprattutto sui Paesi che saranno colpiti dai dazi reciproci e sul loro ammontare”, e che, qualsiasi forma esso prenda, il nuovo round di dazi “di certo non aiuterà a supportare un sentiment già fragile.”

In attesa che Wall Street apra i battenti, Mark Haefele, chief investment officer di UBS Global Wealth Management, segnala che nella giornata di ieri le azioni statunitensi sono cresciute in seguito alla diffusione da parte dei media della notizia che l’ intervento dell’amministrazione Trump previsto per il 2 aprile sarebbe stato meno aggressivo di quanto si temeva.

“Sebbene ci si aspetti un periodo di ulteriore instabilità del mercato finanziario nel mese di aprile, il principale consiglio rimane quello di continuare a investire in azioni. Sulla base del contesto attuale, è probabile che un’ampia ondata di dazi e contromisure determini un rallentamento della crescita economica rispetto all’anno scorso, ma questo non dovrebbe impedire all’economia statunitense di aumentare di almeno il 2% – il suo tasso di crescita storico – nel corso dell’anno”, segnala Haefele.