TIM: quando Telecom Italia cercò di acquistare Apple. L’incontro con Steve Jobs
Disastro Telecom Italia. Eppure ci fu un momento in cui l’attuale TIM organizzò una spedizione a Cupertino per convincere Steve Jobs a venderle Apple.
C’è stato un tempo in cui Telecom Italia ha pensato di acquistare Apple. “No, non è un refuso”: inizia così l’articolo di Bloomberg, dedicato a quegli anni in cui Telecom Italia era un gigante italiano di tutto successo, a fronte di una Apple che sgomitava per cercare di battere la rivale che, a quei tempi, era IBM (International Business Machines).
Erano i tempi in cui nessuno avrebbe potuto immaginare che la società co-fondata da Steve Jobs, nel corso dei due decenni successivi, sarebbe stata la prima quotata in Borsa a vantare una capitalizzazione di 1 trilione di dollari per poi, quest’anno, centrare l’ambita soglia di $3 trilioni.
La notizia dell’ingresso di Apple nell’Olimpo $3 trillions è stata diffusa pochi giorni fa, quando le azioni del colosso dell’iPhone hanno fatto la storia, del gruppo e della stessa Wall Street.
Era il 2 agosto del 2018, quando la Big Tech di Steve Jobs diventava ufficialmente la prima società a valere $1 trilione di dollari, raggiungendo per la prima volta una soglia che sarebbe stata centrata successivamente anche da altre colleghe Big Tech.
Chiamarle Big Tech oggi non è neanche più sufficiente, visto che la febbre AI ha fatto scattare il valore di mercato complessivo dei cosi ribattezzati Magnifici 7 a un valore pari a tre volte il Pil della Germania.
25 anni fa Telecom Italia propose a Steve Jobs di acquistare Apple
Eppure, 25 anni fa, ricorda Bloomberg nell’articolo “Telecom Italia Once Tried to Buy Apple, Now It Is in Trouble. Here’s Why”, Apple rischiava di essere fagocitata addirittura da Telecom Italia.
I dirigenti della compagnia telefonica guidata al momento dal ceo Pietro Labriola si recavano in California, per incontrare Steve Jobs in persona: in mano, il “piano audace di rilevare la società tecnologica Usa, che faceva fatica a farsi strada contro le rivali del calibro di IBM”.
Telecom Italia, ricorda Bloomberg, volava alta: all’epoca era la sesta compagnia telefonica più grande al mondo in termini di fatturato.
Il gruppo italiano valeva 90 miliardi di euro circa (l’equivalente di 100 miliardi di dollari), presentava un livello risicato di debiti, deteneva partecipazioni in decine di società tecnologiche e aveva una forza lavoro di 120.000 persone.
A distanza di 25 anni, le condizioni in cui versa Telecom Italia si sono a dir poco ribaltate. Come emerge dal grafico di Bloomberg, oggi Apple vale più di 500 volte Telecom Italia.
la compagnia telefonica italiana è zavorrata da un debito di oltre 30 miliardi di euro (su base lorda), controlla appena soltanto una società al di fuori del suo mercato domestico – l’operatore telefonico Tim Brazil, il terzo in Brasile – e impiega una forza lavoro pari ad appena 1/3 rispetto a quella degli anni in cui i suoi dirigenti incontrarono Steve Jobs.
Fattore ancora più indicativo, sottolinea l’articolo di Bloomberg, è il fatto che oggi Telecom Italia si trovi costretta a vendere la sua rete fissa, al fine di imbrigliare il suo debito monstre.
“Il probabile acquirente potrebbe essere una società americana, sebbene non un gigante del calibro di Apple ma, piuttosto, il colosso del private equity KKR”.
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TIM: Da Cupertino a Colaninno
Da Cupertino a Colaninno, scrive Bloomberg, tornando indietro nel tempo, per la precisione al 1998 quando quello che era stato un dirigente di Apple, ovvero Marco Landi, organizzò una riunione per il suo successivo datore di lavoro, Telecom Italia, stando a quanto si legge nella biografia del manager stesso, che risale al 2018.
A quel punto, il presidente dell’attuale TIM Mario Rossignolo si attivò velocemente per fare in modo che un team di Telecom Italia incontrasse Jobs al quartiere generale di Apple di Cupertino.
Fu Francesco de Leo, Direttore Generale di Telecom Italia dal 1997 al 1999, a formulare inizialmente la proposta.
Il team si presentò a Cupertino con “una offerta dettagliata volta ad acquistare Apple”, ha ricordato Rossignolo in una intervista, facendo notare che, all’epoca, l’attuale società con il valore di mercato più alto al mondo, valeva appena 5 miliardi di dollari.
Ma Jobs non capitolò, e rifiutò l’offerta di Telecom Italia, affermando di avere già un accordo con qualcun altro.
Visto con il senno di poi, “quel viaggio in California avrebbe rappresentato un importante spartiacque per la compagnia telefonica. Appena un anno più tardi – riassume Bloomberg – (Telecom Italia) sarebbe stata rilevata da un gruppo di imprenditori italiani guidati da Roberto Colaninno, al momento amministratore delegato del produttore della Vespa Piaggio, in quella che si sarebbe confermata l’operazione di takeover più grande della storia dell’Europa.
Gli investitori pagarono 100.000 miliardi di lire (l’equivalente di 50 miliardi di euro) per la società, con la metà della somma che finanzata da debiti.
Quell’Opa ostile è stata considerata da diversi esperti del mondo della finanza alla stregua della genesi di tutti i mali di Telecom Italia che, nell’ultimo decennio, ha continuato a nuotare in un mare di debiti, a fronte di utili e fatturato quasi dimezzati.
L’anno scorso TIM, ricorda Bloomberg, ha generato un fatturato di appena 16 miliardi di euro, rispetto ai 26 miliardi del 2012.
Sempre nel corso del 2022, gli utili adjusted al lordo degli interessi, delle tasse, dei deprezzamenti e degli ammortamenti sono crollati a €5,9 miliardi, dai quasi 11 miliardi di euro di 10 anni prima.
25 anni dopo, TIM-Telecom Italia rimane osservata speciale di Piazza Affari, mentre continuano ad avvicendarsi i rumor sul futuro della rete fissa.
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La scorsa settimana, l’ad di TIM Pietro Labriola, a margine dell’evento del gruppo ‘Network as a service’, ha anticipato l’emissione futura di altri bond, affrontando di nuovo il nodo del debito:
“Abbiamo un piano che prevede attraverso alcune attività la risoluzione definitiva del problema del debito – ha detto il ceo – Da tempo stiamo valutando anche ulteriori emissioni. La nostra è un’azienda che negli anni ha sempre gestito circa 3 miliardi di euro l’anno di rifinanziamento del debito. Faccio complimenti alla nostra struttura per capacità di rifinanziare in un momento cosi complesso”.
La speranza del mercato e dell’Italia tutta che ha seguito le vicende del gruppo è che davvero quella voragine creata nel bilancio dal debito monstre di questi anni possa essere, finalmente, coperta.