Tassi Fed: che farà ora Powell? I trader rispondono

La Fed di Jerome Powell era ben consapevole del fatto che una pausa nel ciclo di rialzi dei tassi avrebbe fatto sorgere tra i trader e investitori vari il dubbio che la crisi delle banche regionali americane fosse peggiore di quanto apparisse.
Di conseguenza, la banca centrale americana si è attenuta a quanto previsto dai mercati.
Nella giornata di ieri, al termine della riunione del Fomc – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – l’annuncio non ha dunque sorpreso: una stretta monetaria di 25 punti base, che ha portato i tassi sui fed funds al nuovo range compreso tra il 4,75% e il 5%.
Se sia stato giusto o meno, lo dirà il tempo.
Tra l’altro Powell & Co. non sono riusciti a evitare una nuova ondata di sell a Wall Street, visto lo scivolone dell’indice Dow Jones di oltre 500 punti e il nuovo tonfo dei titoli delle banche regionali.
Va detto comunque che, a scatenare i nuovi smobilizzi, più che la Fed, sono state le dichiarazioni rilasciate dal segretario al Tesoro Usa Janet Yellen.
In una audizione al Congresso Usa, Yellen ha detto chiaro e tondo di non star considerando l’opzione di una blanket insurance, ovvero di una garanzia sui depositi di tutte le banche, tanto meno la possibilità di alzare il tetto massimo di garanzia, pari al momento a 250.000 dollari.
Tassi Usa, l’outlook arriva dalla curva di Powell
Ma cosa succederà da qui fino alla fine dell’anno?
Una risposta arriva dal mercato dei Treasuries Usa, in particolare dal rendimento atteso dei T-bill a tre mesi che, come fa notare un articolo di Bloomberg, nell’arco di 18 mesi è sceso a un valore inferiore rispetto a quello attuale di 134 punti base.
Risultato: il livello delle attese sui tassi è inferiore al precedente punto più basso testato nel gennaio del 2001: due mesi prima che il Pil degli Stati Uniti confermasse l’arrivo della recessione.
“Powell’s Own Guide to Recessions Shows Rate Cuts Are Coming“: è il titolo dell’articolo di Bloomberg, che fa notare come sia lo stesso parametro di Powell a mostrare che i tagli ai tassi sono in arrivo. E non si tratta di una supposizione.
L’articolo ricorda infatti la frase che il presidente della Fed Jerome Powell proferì in passato. Era il 21 marzo del 2022 quando il banchiere centrale disse, testuali parole:
“Francamente, ci sono buone ricerche formulate dallo staff della Federal Reserve che dicono davvero di guardare alla curva dei rendimenti a breve – ovvero ai primi 18 mesi. E’ questa la parte che riesce a spiegare al 100% la curva dei rendimenti. E ha senso, in quanto, se questa curva è invertita, allora significa che la Fed taglierà (i tassi), il che significa che l’economia è debole”.
Non per niente, nella giornata di ieri, dopo l’annuncio sui tassi arrivato dalla Federal Reserve, i Treasuries hanno esteso la fase rialzista, portando così i relativi rendimenti a scendere ulteriormente.
Motivo: proprio le scommesse dei trader, che ora ritengono che ben presto la banca centrale americana farà dietrofront iniziando a tagliare i tassi di interesse.
Fed, i trader scommettono su imminenti tagli tassi
I trader sono sicuri, riporta Bloomberg, che i tassi saranno tagliati a settembre, per ribaltare come minimo la stretta annunciata ieri.
Queste aspettative si scontrano in realtà con quelle comunicate ieri dalla Fed, da cui emerge l’intenzione di Powell di alzare i tassi sui fed funds un’altra volta nel corso di quest’anno.
Ma “visto l’irrigidimento della politica (monetaria) lanciato finora e il credit crunch delle banche, dalle probabilità (dei trader) emerge che la Fed dovrà tagliare i tassi più velocemente rispetto a quanto il mercato anticipa al momento – hanno commentato gli strategist di TD Securities in una nota.
E d’altronde, come ha detto chiaramente Jerome Powell, la crisi delle banche Usa può essere equiparata a un rialzo dei tassi, se non anche oltre.
“Un paio di settimane fa – dunque prima che il sistema finanziario degli Stati Uniti venisse scosso dal crac di SVB Silicon Valley Bank e dal timore di un effetto domino della fuga dei depositi sulle altre banche americane – pensavamo che avremmo rivisto al rialzo il nostro tasso terminale”, ha fatto notare il banchiere centrale, nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi arrivato dalla banca centrale americana.
Powell ha aggiunto che “potremmo pensare alla crisi che ha colpito le banche come a un rialzo dei tassi, o forse anche oltre”.
Sulla portata dell’effetto restrittivo della crisi bancaria, il numero uno della Fed non si è esposto più di tanto:
“E’ possibile che i problemi delle banche abbiano un effetto minimo oppure che possano risultare in una manovra restrittiva significativa”.
“Al momento – ha ammesso Jerome Powell – semplicemente non lo sappiamo”.
Powell ovviamente ha confermato di nuovo la determinazione della Fed a riportare il tasso di inflazione degli Stati Uniti al target del 2%, aprendo dunque alla possibilità di ulteriori strette monetarie in caso di bisogno.
Ma la risposta dei trader va verso l’opposto.
I tassi dei Treasuries a due anni sono scesi di 7 punti base, al 3,87%, dopo il tonfo di 23 punti base. Il calo dei tassi a due anni è stato inoltre superiore al dietrofront dei rendimenti dei Treasuries a 10 anni, fenomeno che ha reso la curva dei rendimenti più ripida.
E ora gli swap trader scommettono sulla fine dei rialzi dei tassi da parte della Fed con una probabilità del 50%. E’ stato tra l’altro lo stesso Powell a sottolineare che il processo di “disinflazione si sta sicuramente manifestando”.
L’opinione del portfolio strategist
Così ha commentato la mossa della Fed Michelle Cluver, Portfolio Strategist di Global X:
“La Fed ha alzato i tassi di 25 punti base, in linea con le aspettative del mercato e il loro dot plot ha continuato a riflettere un tasso terminale del 5,1%”.
Cluver ha fatto notare che, “nella prima riunione del Fomc della Fed dal crollo di SVB, si è camminato sul filo del rasoio tra l’essere troppo restrittivi nella loro lotta all’inflazione e il timore di cambiare approccio troppo presto”.
La strategist di Global X ha ricordato che, “sebbene la crisi bancaria regionale abbia fornito motivi per fermarsi, il sistema finanziario è costruito sul senso di fiducia e sulla sicurezza”. E che, di conseguenza, “un cambio di politica rischiava di dare la percezione che i problemi nel sistema bancario fossero più sistematici”.
Dunque, “il linguaggio della Fed si è concentrato sul fatto che il sistema bancario statunitense rimanesse “sano e resiliente”.
Cosa significa tutto questo in un’ottica di investimento?
“La stabilità dei depositi, piuttosto che la qualità del credito, è attualmente la principale preoccupazione – ha fatto notare Michelle Cluver – Gli strumenti di alta qualità, in particolare i buoni del Tesoro, sono al centro delle perdite non realizzate del sistema bancario. Ciò rende più efficaci gli interventi di liquidità da parte della Fed e significa che questa crisi bancaria è più facile da contenere e potrebbe creare opportunità di mercato in futuro“.