Notizie Notizie Mondo Banche Centrali Tassi Fed con spina inflazione: Powell azzanna ancora le colombe. Rendimenti Treasury a 2 anni scattano al 5%

Tassi Fed con spina inflazione: Powell azzanna ancora le colombe. Rendimenti Treasury a 2 anni scattano al 5%

17 Aprile 2024 09:29

Niente da fare: l’inflazione degli Stati Uniti continua a preoccupare il presidente della Fed Jerome Powell, rendendo meno probabile almeno nel breve periodo quel taglio dei tassi tanto auspicato dai mercati. E’ stato lo stesso Powell a tornare sulla questione nella giornata di ieri, in occasione di un discorso proferito al Washington Forum sull’economia canadese, che si è tenuto al Wilson Center di Washington.

“E’ chiaro che i dati recenti non ci abbiano dato maggior fiducia (nella discesa dell’inflazione verso il target del 2%), indicando anzi che è probabile che ci sia bisogno di più tempo, rispetto a quanto atteso, per raggiungere quel grado di fiducia”, ha detto Powell.

Powell deluso dall’ “assenza di ulteriori progressi” da inflazione Usa

Il presidente della Fed Jerome Powell non ha nascosto di nuovo la delusione per “l’assenza di ulteriori progressi” da parte dell’inflazione Usa, a fronte di “una crescita solida” dell’economia e della continua forza del mercato del lavoro degli Stati Uniti:

fattori, questi ultimi, più che positivi, che stanno scansando la prospettiva di un soft landing per l’economia americana, ma che stanno ostacolando al contempo il ritorno del trend delle pressioni inflazionistiche degli Stati Uniti a quel ritmo di crescita del 2%, che rappresenta il target fissato dalla stessa Fed.

Praticamente, è tornato ad ammettere il banchiere centrale, “la politica restrittiva ha bisogno di più tempo per funzionare”.

Wall Street ovviamente non ha reagito in modo positivo alle parole di Powell, con lo S&P 500 e il Nasdaq Composite che hanno chiuso la sessione in territorio negativo per la terza volta consecutiva.

Va detto allo stesso tempo che stavolta non c’è stato alcun sell off importante, molto probabilmente in quanto l’azionario Usa sta prezzando già da un po’ non solo il rischio che la Fed non tagli più i tassi come atteso in precedenza dalla stessa banca centrale americana, ma che la prossima mossa di politica monetaria possa essere addirittura di un rialzo:

tanto che la conseguenza naturale, oltre ai recenti sell che si sono abbattuti su Wall Street, è stata anche il continuo scatto dei rendimenti dei Treasury Usa, con quelli a due anni che, nella giornata di ieri, sono balzati oltre la soglia del 5%.

Tassi higher for longer in Usa. E rendimenti Treasury volano

Il messaggio tassi “higher for longer” è stato confermato sempre nella giornata di ieri anche dal vice presidente della Fed
Philip N. Jefferson che, in un discorso separato, ha sottolineato che la banca centrale americana dovrebbe essere pronta a posticipare i tagli, nel caso in cui l’inflazione degli Stati Uniti continuasse a essere ancora fin troppo elevata rispetto ai desiderata dei funzionari della Federal Reserve.

“Sebbene ci siano in atto progressi considerevoli nel far scendere l’inflazione, il lavoro di riportare l’inflazione al target del 2% in modo sostenibile non è ancora completato”, ha detto Jefferson, nel corso di un’altra conferenza che si è tenuta ieri a Washington.

Un commento sulla Fed è stato rilasciato nelle ultime ore da Alberto Tocchio, Head of European Equity and Thematics di Kairos Partners SGR, con la sua rubrica podcast periodica Market Flash.

Tocchio ha riassunto quello shock arrivato a Wall Street la scorsa settimana, con la pubblicazione del dato CPI, ovvero dell’indice dei prezzi al consumo, che ha affossato le speranze delle colombe.

Facendo il punto della situazione in cui versa Wall Street, l’esperto ha ricordato che il CPI Usa, tra i termometri più importanti per monitorare il trend dell’inflazione degli Stati Uniti, “ha sorpreso al rialzo per il terzo mese consecutivo al 3,5%, inducendo la Fed, che non riesce più a giustificarlo come temporaneo, a cambiare retorica”.

Il risultato è che “il mercato non solo ha spostato il timing per il primo taglio da giugno a settembre-ottobre, ma ne prezza appena poco più di 1 contro i 6/7 di inizio anno”.

I tassi dei Treasury a 2 anni sono saliti “di più di 30bps nelle ultime 2 settimane”, balzando ai massimi dalla fine ottobre 2023, “quando era partito il rimbalzo dell’azionario insieme al movimento ribassista dei tassi”.

Ed “effettivamente – si è chiesto e ha chiesto Tocchio – dopo la stretta creditizia più consistente in 40 anni con il rialzo tassi, l’inflazione ancora presente qui e negli USA, la riduzione della forza del consumatore, il posizionamento su azionario e sentiment quasi da record, la volatilità poteva rimanere ancora così bassa?”

Fed: gli investitori rimettono in discussione il timing dei futuri tagli

Così ha commentato il trend dei mercati in relazione al trend atteso dei tassi nell’area euro e negli Stati Uniti Gabriel Debach, Global markets strategist di eToro:

“Nelle ultime sessioni, i mercati azionari hanno manifestato un’attitudine cautelativa, con i titoli statunitensi che hanno subito un leggero ribasso, aggiungendosi al precedente calo dell’1,2% di lunedì. L’ombra delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente aleggia ancora, mentre gli investitori rimettono in discussione il timing dei futuri tagli dei tassi da parte della Fed. Queste, però, potrebbero non essere le vere preoccupazioni di lungo termine dei mercati. Potrebbe trattarsi invece di giustificazioni per una salutare presa di profitto in seguito a un rally prolungato che ha visto ben 24 nuovi massimi storici senza significative correzioni”.

Debach ha scritto nella sua nota a commento dei mercati che “la storia ci insegna che i rischi geopolitici raramente hanno un impatto di lungo termine sui mercati. Il conflitto russo-ucraino ne è un esempio. Inoltre, gli Stati Uniti, con la loro minore dipendenza energetica dalla regione, potrebbero rimanere relativamente isolati da un’eventuale escalation militare. La situazione è differente per l’Europa, dove un blocco sullo Stretto di Hormuz potrebbe incidere notevolmente, influenzando anche le forniture di gas naturale, come evidenziato dal contributo del rigassificatore di Cavarzere”.

Di fatto, “gli ultimi dati del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica riportano come il rigassificatore di Cavarzere a gennaio abbia rappresentato il 3% delle importazioni nazionali, sebbene abbia oscillato su maggiori percentuali in passato (meno del 20%)”.

“Gli investitori, inizialmente indifferenti al ritmo rallentato dei tagli dei tassi previsti per l’anno, ora sembrano turbati dal passaggio a soli 2 o forse 1 taglio (in questo momento nuovamente presente) dei tassi registrati ad aprile – ha detto ancora Gabriel Debach – Le recenti affermazioni di Jerome Powell al Wilson Center di Washington hanno gettato ulteriore incertezza: il mercato del lavoro mostra segnali solidi, ma il ritorno all’obiettivo di inflazione del 2% non ha fatto ulteriori progressi”.

Il punto è che “Powell ha evidenziato che senza una chiara direzione verso l’obiettivo di inflazione, non c’è spazio per la Fed per iniziare a ridurre i tassi di interesse. Se l’inflazione elevata dovesse persistere, il livello attuale di restrizione potrebbe rimanere in vigore più a lungo del previsto, consolidando la narrazione che i tassi potrebbero rimanere “più alti per più tempo””.

Higher for longer, dunque.

In Europa, invece, sembra soffiare un vento differente. Mentre la Fed assume una posizione cauta, la BCE sembra incline a un allentamento delle politiche, con Villeroy della Banca di Francia che anticipa una possibile riduzione dei tassi già a giugno”.