Russia-Ucraina e Bce: ‘attenti all’errore di Trichet’. La guerra risveglia le colombe, appello dalla Grecia
La guerra Russia-Ucraina rischia di far saltare in aria i piani hawkish delle banche centrali, in primis quelli della Bce. Capitanato dalla presidente Christine Lagarde, l’Eurotower si è riunito ieri in un meeting di emergenza per discutere sugli eventuali aggiustamenti che dovrà apportare alla politica monetaria dell’area euro, sulla scia della guerra appena scoppiata, dopo l’annuncio dell’attacco all’Ucraina da parte di Vladimir Putin.
Non è mancata nelle ore precedenti la chiamata dovish dell’esponente del Consiglio direttivo Yannis Stournaras, governatore della Banca centrale della Grecia che, in un’intervista rilasciata a Reuters, è tornato ad agitare, tra le altre cose, lo spettro della deflazione in Eurozona.
Deflazione? Si chiederà qualcuno. L’impennata prevista e già in atto dei costi delle commodities non dovrebbe scatenare piuttosto un’accelerazione ulteriore dell’inflazione?
La risposta è affermativa, ma secondo Stournaras soltanto nel breve termine:
“A mio avviso ci sarà un effetto inflazionistico di breve durata, nel senso che i prezzi saliranno a causa dei costi energetici più alti”, ha detto il banchiere, aggiungendo che, tuttavia, “nel medio-lungo periodo le conseguenze saranno deflazionistiche, attraverso effetti avversi sul commercio e a causa dell’aumento dei prezzi energetici”.
La proposta al Consiglio direttivo della Bce?
Continuare ad acquistare titoli di stato dell’area euro almeno fino alla fine dell’anno. Dunque, preservare l’APP, il QE cosiddetto tradizionale.
A tal proposito vale la pena di ricordare che la fine del QE pandemico PEPP – piano di Quantitative easing anti-Covid – è prevista a fine marzo, anche se lo stop si accompagnerà ad aumento degli acquisti che avvengono tramite l’APP (asset purchase programmes) fino a un livello doppio, che verrà poi limato nel corso del 2022.
Finora, la Bce è stata piuttosto vaga nel fornire anche orientativamente una data alla fine dell’APP, precisando che gli acquisti netti di titoli di stato europei raddoppieranno a 40 miliardi di euro nel secondo trimestre del 2022, per poi scendere a 30 miliardi nel terzo trimestre, e calare ulteriormente ai 20 miliardi di euro al mese a partire da ottobre, prima di terminare il programma poco prima dell’inizio del rialzo dei tassi di interesse di riferimento della BCE (che dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno).
A tal proposito, nelle ultime settimane non sono mancate dichiarazioni di alcuni esponenti falchi che hanno provocato diversi sussulti sui mercati. Ma la guerra in Ucraina ha cambiato sicuramente il contesto in cui Francoforte opera.
Stournaras ha detto chiaramente che l’outlook sull’economia “è ora molto più incerto”, fattore che dovrebbe indurre la Bce ad adottare una certa cautela. “A giudicare la situazione da quanto sta accadendo oggi, sarei più favorevole a mantenere attivo il piano APP almeno fino alla fine dell’anno, oltre il mese di settembre, piuttosto che anticiparne la fine. Non sarei favorevole a un annuncio della fine dell’APP a marzo” (nella prossima riunione della Bce, in calendario il prossimo 10 marzo).
Decisamente meno dovish rispetto a Yannis Stournaras sono state invece le dichiarazioni dell’esponente del Consiglio direttivo della Bce Robert Holzmann che, in un’intervista rilasciata a Bloomberg, ha detto che l’attacco di Putin all’Ucraina potrebbe posticipare ma non fermare la Bce dall’uscita dai bazooka monetari che ha lanciato nel 2020, nel periodo più drammatico della pandemia Covid.
“E’ chiaro che ci stiamo muovendo per normalizzare la politica monetaria – ha detto Holzmann – E’ possibile tuttavia che la velocità (del processo) venga in qualche modo ritardata”.
Tra gli esponenti più falco della banca centrale, il governatore della banca centrale austriaca ha dovuto smorzare i toni troppo hawkish:
“Indubbiamente, l’incertezza è aumentata a causa degli sviluppi dell’Ucraina. Noi analizzeremo in modo attento quanto duramente l’economia sarà colpita”.
I mercati hanno reagito alle sue parole riducendo le scommesse su una stretta entro la fine dell’anno; si parla ora di un rialzo dei tassi di 37 punti base, rispetto alla stretta di 45 punti base precedentemente prevista.
Holzmann si è messo in evidenza alla vigilia dell’attacco della Russia di Vladimir Putin all’Ucraina con una dichiarazione che aveva fatto paventare addirittura un rialzo dei tassi PRIMA della fine del QE tradizionale.
Dall’FT appello alla Bce: attenti a non ripetere l’errore di Trichet
Un appello a Lagarde & Co. affinché non escano troppo velocemente dalla politica monetaria accomodante è stato lanciato anche dalle pagine del Financial Times, in particolare con l’articolo di Megan Greene, docente dell’Harvard Kennedy School e capo economista di Kroll. “The ECB must move slowly on interest rates“, ovvero: “la Bce deve muoversi lentamente sui tassi di interesse” il titolo del commento.
“L’ultima volta che la Banca centrale europea alzò i tassi di interesse, nel 2011, l’allora presidente Jean-Claude Trichet citò i forti rialzi dei prezzi alimentari ed energetici. L’economia crollò e l’aumento dei tassi venne velocemente ritirato. Ora, i prezzi dei beni alimentari ed energetici stanno balzando di nuovo”, si legge nell’articolo, che ricorda come, in questo contesto, “la presidente della Bce Christine Lagarde si sia rifiutata di escludere un aumento dei tassi nel 2022” e, anche, come “diversi membri falchi del Consiglio direttivo abbiano chiesto di ricorrere a una politica restrittiva in modo più veloce”.
Ma tutto questo, secondo Greene, “rischia di far ripetere alla Bce l’errore di Trichet”.
La docente comprende le preoccupazioni di Lagarde – che tra l’altro, ai mercati e alla stampa, continua a mostrare un atteggiamento sicuramente più dovish che hawkish -, visto che l’inflazione dell’area euro è balzata a gennaio di ben il 5,1% su base annua. Il problema, tuttavia, è che non c’è molto a suo avviso che Lagarde e i suoi colleghi possano fare o dovrebbero fare, visto che il principale fattore scatenante dei prezzi più alti è l’energia, che incide per poco più della metà sul dato headline (CPI)”.
“I prezzi del gas si sono quasi quadruplicati nel periodo compreso tra giugno e dicembre del 2021, per poi balzare di nuovo questa settimana, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”. Ora, “il 40% circa del gas naturale europeo è importato dalla Russia. E se la Russia deciderà di chiudere i rubinetti energetici, in ritorsione alle sanzioni, i costi energetici saliranno ancora. E anche i prezzi dei beni alimentari stanno sostenendo al rialzo l’inflazione”.
Detto questo, “eliminando questi fattori, la crescita dell’inflazione core è rallentata a gennaio a +2,3%, rispetto al +2,6% di dicembre. E, anche con la minaccia che arriva dalla Russia, i futures sui contratti del gas naturale prevedono che i prezzi scenderanno nel 2023. I futures sul petrolio Brent, per esempio, suggeriscono che i prezzi del contratto scenderanno da $100 al barile fino a $86 al barile entro la fine dell’anno”.
L’inflazione dovrebbe dunque essere davvero transitoria e comunque, anche se non lo fosse, la fiammata dei prezzi secondo Greene affosserebbe la domanda, creando una situazione in cui eventuali strette monetarie da parte della Bce sicuramente non sarebbero opportune.
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C’è poi da considerare il fatto che, “diversamente dagli Stati Uniti, la crescita dell’Eurozona è debole“, tanto che di recente “la Bundesbank ha detto di prevedere che la Germania tornerà in recessione nel primo trimestre” di quest’anno.
“Il Pil dell’Eurozona rimane al di sotto del trend precedente la pandemia. Gli elevati costi dell’energia e le restrizioni imposte per arginare il Covid hanno pesato sui consumi, e gli episodi di scarsità dell’offerta hanno pesato sulla produzione industriale. Dovremmo assistere a una ripresa (del Pil) nel secondo e terzo trimestri con l’eliminazione delle restrizioni e il calo dei nuovi contagi Covid”, spiega ancora Green, ma la ripresa “sarà compensata dallo shock di una elevata inflazione e alti costi energetici“.
Greene ricorda che sul mercato le stime aggressive sui tassi della Bce parlano di un tasso sui depositi (al momento pari a -0,50%) in rialzo di 50 punti base allo zero, entro la fine dell’anno”, fattore che ha portato gli spread tra i rendimenti dei bond periferici (vedi anche spread BTP-Bund) e tedeschi a salire”.
Il consiglio?
“La Bce deve muoversi lentamente ed evitare di essere guidata dai mercati”. Altrimenti l’errore di Trichet rischia di essere davvero dietro l’angolo. “Aumentare i tassi non smorzerà i problemi delle riforniture di petrolio o gas, e un ritiro prematuro delle misure accomodanti potrebbe uccidere la ripresa e riportare le preoccupazioni legate alla frammentazione (dell’euro). Chi non impara dalla storia rischia di ripeterla”.
Loomis Sayles (Natixis IM): banche centrali alle prese con rischi stagflazione
Il dilemma delle banche centrali viene commentato anche dal Macro Strategies Group di Loomis Sayles, affiliata di Natixis IM:
“Mentre il quadro geopolitico e umanitario è ovviamente a tinte cupe, la risposta del mercato è stata finora sorprendentemente modesta. Le nostre prospettive a lungo termine dipendono dalla lunghezza e dalla gravità del conflitto, ma ci aspettiamo una situazione piuttosto prolungata. Crediamo che il conflitto peggiorerà il contesto inflazionistico rappresentando una sorta di tassa sulla crescita globale. E ci aspettiamo un aumento dei prezzi del petrolio e del gas anche in assenza di sanzioni energetiche. La Russia che taglia la fornitura di energia all’Europa non è il nostro scenario di base, ma è una strategia cui Mosca potrebbe ricorrere come tattica di ritorsione o se gli eventi non dovessero risolversi a proprio favore. Prevediamo anche un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari: l’Ucraina è un esportatore netto di grano e l’interruzione della fornitura proveniente dall’Ucraina potrebbe avere un impatto significativo sui prezzi. In questo momento, inoltre, non crediamo che la situazione sia tale da mettere in discussione il restringimento in corso da parte delle Banche centrali. Gli Stati Uniti si sono avvicinati al picco dell’inflazione – e questo è avvenuto già prima della pressione inflazionistica legata al conflitto. La Federal Reserve è sotto pressione per un rialzo: riteniamo andrà avanti con un aumento di 25 punti base a marzo. Ci aspettiamo che le altre Banche centrali continuino con una politica più restrittiva, anche se l’entità dei rialzi dei tassi potrebbe essere ridotta. A più lungo termine, pensiamo che il conflitto renderà più complesso il quadro di politica monetaria, dato che le banche centrali sono alle prese con i rischi di una potenziale stagflazione. Riteniamo inoltre che il premio al rischio geopolitico sia elevato. C’è un rischio di coda che le tensioni si intensifichino tra le truppe russe e Nato che confinano con l’Ucraina. Questo scenario potrebbe portare ad un impegno militare diretto con le forze della Nato. E questa è una possibilità che probabilmente non è ancora prezzata nei mercati”.