Riparte countdown Carige: assemblea convocata per 20 settembre. Diluizione quota Malacalza fino al 2%
Manca esattamente un mese al giorno in cui si decideranno le sorti di Banca Carige, la banca genovese tra le protagoniste più importanti della finanza anno 2019: l’istituto ha reso noto infatti di aver fissato al 20 settembre la data dell’assemblea straordinaria che dovrà deliberare la proposta di aumento di capitale da 700 milioni di euro (che va considerata nell’ambito di un piano di rafforzamento patrimoniale complessivo di 900 milioni).
E’ da gennaio che giornalisti, analisti, politici, opinionisti, correntisti, l’Italia intera, affrontano l’ennesimo caso di una banca italiana, malata al punto da essere stata commissariata dalla Bce proprio all’inizio dell’anno.
Per l’istituto è stata resa necessaria anche l’emanazione di un decreto ad hoc da parte del governo M5S-Lega, che ha proposto tra l’altro come soluzione in extremis quella adottata per Mps, ovvero la soluzione della ricapitalizzazione precauzionale.
Si è poi scoperto poi nel corso dell’anno, quasi all’improvviso, che per Carige l’applicazione di una tale forma di salvataggio non potrà essere, in realtà, applicata. E si è visto nel frattempo come il promotore della nazionalizzazione dell’istituto ligure, il vicepremier Luigi Di Maio, affaccendato in altre faccende, abbia smesso di parlare di Carige come di Banca di Stato.
Alla fine (ma di fine di questa vicenda non si può parlare perchè tutto dipende da cosa deciderà di fare il primo azionista, ergo la famiglia Malacalza), il salvagente è stato lanciando dall’Fitd, pronto a versare la fetta più grande del rafforzamento patrimoniale necessario, insieme alla partecipazione del polo trentino delle banche di credito cooperativo, Cassa Centrale Banca.
Con l’approssimarsi della fine della pausa estiva, nelle ultime ore sono arrivate novità sulle prossime tappe cruciali per mettere in sicurezza la banca.
In una nota, la stessa Carige ha reso noto di aver fissato al 20 settembre la data dell’assemblea straordinaria sull’aumento di capitale da 700 milioni.
L’operazione avverrà, precisa l’istituto in una nota, attraverso l’emissione di 700 miliardi di nuove azioni ordinarie al prezzo di 0,001 euro. Prevista anche l’emissione di warrant.
Ulteriori dettagli sono stati riportati anche da un articolo dell’edizione odierna del Sole 24 Ore, che parla di una operazione di aumento di capitale “iper-diluitivo”, facendo riferimento per l’appunto all’ “emissione di settecento miliardi di nuove azioni al valore di 0,001 euro ciascuna, a cui si aggiunge un’emissione di un bond subordinato da 200 milioni”.
L’aumento sarebbe così diluitivo che il Messaggero rivela che, con esso, la famiglia Malacalza, da maggiore azionista con più del 27% del capitale, si ritroverebbe in mano appena il 2%, se dovesse decidere di non partecipare all’operazione.
“La famiglia Malacalza, oggi primo azionista della banca con una quota del 27,55%, dopo un investimento nell’ordine dei 420 milioni di euro, vedrà la propria partecipazione diluirsi fino a un minimo del 2% se non parteciperà. Sottoscrivendo il 27,5% degli 85 milioni di euro della tranche riservata ai soci attuali (investendo ulteriori 23,3 milioni di euro), i Malacalza vedranno invece la partecipazione diluirsi fino a quasi il 5,1%. La partecipazione potrà poi risalire fino a poco meno del 5,9%, quando grazie ai warrant gratuiti previsti in ragione di uno ogni quattro titoli sottoscritti, potranno acquistare ulteriori azioni a sconto, con ulteriore esborso”.
Assemblea straordinaria il 20/9: il ruolo dei Malacalza
La presenza dei Malacalza continua a confermarsi, secondo alcune fonti, determinante per il buon esito dell’operazione:
“Perché possa partire il piano di salvataggio della banca, in assemblea dovranno essere presenti azionisti con almeno il 20% del capitale di Carige e dovranno esprimersi a favore almeno i due terzi dei presenti – ricorda il quotidiano romano – Sarà così determinante il voto dei Malacalza, che possiedono la quota nella banca del 27,55% tramite la finanziaria Malacalza Investimenti (il capofamiglia Vittorio Malacalza ha poi ulteriori quote che portano la partecipazione al 27,7% circa): all’assemblea di dicembre in cui avevano respinto la precedente proposta di ricapitalizzazione era rappresentato il 41% del capitale, e per questo il via libera di Malacalza sembra determinante”.
Diversi i rumor che sono circolati negli ultimi mesi sulle vere intenzioni di Vittorio Malacalza & Co. e, anche, sulle vere mire di Cassa Centrale Banca su Carige (secondo alcune fonti potrebbe salire fino al 30%).
Il Sole riporta intanto che “l’aumento del capitale sociale da 700 milioni è suddiviso in quattro tranche così ripartite: 313,2 milioni allo Schema volontario, a fronte della conversione delle obbligazioni subordinate sottoscritte a novembre 2018; 63 milioni a Cassa Centrale Banca; 85 milioni come detto agli attuali azionisti di Carige, che saranno suddivisi in proporzione alla percentuale di capitale detenuta; 238,8 milioni al Fondo interbancario. Quest’ultimo soggetto garantirà la sottoscrizione dell’eventuale parte di tranche riservata agli attuali azionisti in caso di mancata sottoscrizione, integrale o parziale, da parte di questi”.
La pausa estiva avrà potuto fermare temporaneamente l’iter di salvataggio della banca, ma non i commenti di diversi attori del sistema bancario italiano.
In particolare, il dossier è stato affrontato dal numero uno dell’Abi, Antonio Patuelli, nel corso di un’intervista rilasciata al Secolo XIX dello scorso 3 agosto. “Non lo nascondo – ha ammesso Patuelli – la gestazione è stata molto complessa. Però il risultato è stato il massimo che si potesse ottenere. I timori dei sindacati? Tutte le crisi bancarie in Italia sono state gestite senza licenziamenti”.
Patuelli ha ripreso anche l’opzione nazionalizzazione per Carige tanto promossa inizialmente dal leader del M5S, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio.
Nello spiegare che la soluzione sfornata per la banca è stata la migliore soluzione possibile, il numero uno dell’Abi ha affermato che, “tanto per iniziare, lo Stato non si sobbarca un’altra nazionalizzazione, come si era riservato di fare col decreto dell’8 gennaio 2019. In secondo luogo, c’è un soggetto bancario privato, la Ccb di Trento, che si è affacciato sul dossier, come prevedeva l’applicazione della prima parte di quel decreto. E attenzione: Ccb è un soggetto molto solido, perché valutato come tale dalla Bce che è suo controllante. Il Fitd, da parte sua, ha deciso unanimamente, sia nel ramo volontario che in quello obbligatorio, di concorrere al salvataggio di Carige con la speranza che l’operazione sia coronata dal successo, non solo in termini di approvazione del progetto da parte dell’assemblea della banca, ma anche in ottica di risultati prospettici. Se quei risultati arriveranno, potremo dire di avere contribuito a salvare Carige non a fondo perduto: è quello che ci auguriamo”.