Crisi governo e il ‘lascito’ della tassa da 5 MLD. Intanto è rumor su Enrico Letta premier
Italia nelle grinfie della crisi di governo M5S-Lega, innescata da Matteo Salvini, con tanto di clamoroso dietrofront: ovunque si parla, a dispetto delle smentite di Luigi Di Maio, di una possibile alleanza Pd-M5S – con indiscrezioni su Enrico Letta presente nella lista dei desiderata di Sergio Mattarella-: e mentre mancano appena 24 ore al discorso del premier Giuseppe Conte, le cui dimissioni sembrano ormai quasi certe, si inizia a pensare alle eredità che questo governo ormai moribondo si appresta a lasciare all’Italia. I lasciti sono diversi: tra questi, c’è quello di una tassa aggiuntiva che vale ben 5 miliardi.
A rivelarlo è il Sole 24 Ore, che svela praticamente uno dei tanti paradossi di questo governo. Meno tasse per gli italiani, è stato il mantra della coppia Salvini-Di Maio. E invece no.
Oltre ai dati che sono stati snocciolati di recente dalla Cgia di Mestre, e che hanno messo in evidenza come la pressione fiscale reale dei contribuenti italiani – che versano fino all’ultimo centesimo tutte le tasse, le imposte e i contribuenti previdenziali chiesti dall’amministrazione pubblica – sia pari al 48%, arriva anche la conferma dell’altra stangata che questo esecutivo ha dato all’Italia, con il mix di incertezza politica- retorica no-euro- macigno debito pubblico (debito pubblico ereditato dai governi del passato, è vero, ma debito pubblico che non è stato mai in cima alle priorità dei vari Salvini-Conte-Di Maio, più volte ai ferri corti con Bruxelles per l’evidente snobismo mostrato nei confronti delle casse dello Stato italiano).
La stangata campeggia nella prima pagina dell’edizione odierna de Il Sole 24 Ore.
“Debito pubblico: in due anni ‘tassa’ da 5 miliardi in più”: titola l’articolo. Articolo da cui emerge per l’appunto che proprio il governo M5S-Lega, tanto ossessionato dall’obiettivo di tagliare le tasse agli italiani, ha finito con il crearne una aggiuntiva, pari esattamente a 2,8 miliardi nel 2019 e ad altri 2,3 miliardi nel 2020.
“Un conto che il Paese non avrebbe dovuto pagare se, sui mercati, i BTp e i BoT si fossero comportati come i più tranquilli titoli di Stato spagnoli”, scrive il quotidiano finanziario, aggiungendo che, “in un mondo che ormai ha 15mila miliardi di bond a tassi negativi, l’Italia continuaa pagare rendimenti anomali. Eccessivi. Questo è il conto dell’incertezza. Del populismo. Della retorica no-euro”.
Tra l’altro, proprio la retorica no-euro ha reso meno efficaci le promesse di manovre più espansive di politica monetaria rilanciate a più riprese dalla Bce di Mario Draghi.
L’impatto di queste promesse sulla carta italiana è stato infatti inferiore che su altri paesi dell’area euro.
Magari sarà stata una paura anche irrazionale, ammette il Sole 24 Ore, ma “il mercato per mesi ha avuto paura che l’Italia potesse un giorno uscire dall’euro”. E la conseguenza è che i BTP sono rimasti penalizzati rispetto ad altri titoli di Stato.
A chi ragiona in termini assoluti, ed è lo stesso quotidiano che riconosce che, “da quando è uscita la prima bozza del contratto di Governo il 15 maggio 2018 – i (tassi) sui BTp decennali” sono scesi, passando dall’1,92% all’1,4% di ora), è “altrettanto vero -ricorda il quotidiano – che negli altri Paesi un tempo chiamati Pigs i tassi di mercato sono calati molto di più”.
Non per niente il calcolo è stato fatto dal Sole “prendendo le emissioni di titoli di Stato di ogni mese, e calcolando il loro costo annuo aggiuntivo rispetto ai rendimenti di durata analoga pagata dai titoli di Stato spagnoli“.
Oltre alla Spagna, “passata nello stesso periodo dall’1,32% allo 0,15% attuale”, vengono citati gli esempi del Portogallo (che ha visto quasi azzerarsi i tassi dall’1,71% allo 0,18%) e dell’Irlanda. Quest’ultimo caso è più che indicativo, visto che i tassi decennali irlandesi sono diventati negativi, capitolando al di sotto dello zero “dall’1,05% del 14 maggio 2018”.
E mentre i 5S scaricano Salvini, parlando di retromarcia vergognosa, i rumor su cosa succederà ora impazzano. Da Libero Quotidiano a Quotidiano.net si fa il nome dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta come possibile premier desiderato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Così Libero Quotidiano:
“L’ uomo del Colle sembra intenzionato a dire la sua e nelle ultime ore avrebbe fatto filtrare il nome di Enrico Letta (già premier dall’ aprile 2013 al febbraio 2014) come gradito alla carica di primo ministro. Secondo indiscrezioni ci sarebbe già stato il via libera del Pd, mentre si attende quello dei grillini. Quella di Enrico Letta, secondo i piani del Quirinale, andrebbe vista come una figura di “semi tecnico”.
Anche se poi è lo stesso Libero a riprendere un “retroscena del Corriere della Sera dal vertice a 5 Stelle di Marina di Bibbona, che domenica pomeriggio ha praticamente sancito il divorzio tra Di Maio e Salvini”.
Dal retroscena, scrive Libero, “emerge come con il Pd i 5 Stelle starebbero “già cercando di far passare l’ipotesi (senza incontrare grandi resistenze) di avere Conte ancora come premier“. Sarebbe anche un modo, si sottolinea, per “far accettare alla base il patto con il Diavolo”, il “partito di Bibbiano” appunto. Alla luce di tutto questo, si comprende meglio perché, al di là delle delusioni e dei rancori personali, Conte si sia trasformato nell’ultima settimana nel più feroce anti-Salvini d’Italia”.